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Peter Handke anteprima. Appetito per il mondo

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Meltemi ha portato in libreria, nella collana “Gli anelli di Saturno”, Appetito per il mondo. Saggi su letteratura, cinema e teatro di Peter Handke, nella traduzione di Davide Di Maio e Gabriella Palloni. Un’occasione imperdibile di scoprire dal di dentro il pensiero del Premio Nobel per la Letteratura 2019. In questo caso, proponiamo un estratto da Sono un abitante della torre d’avorio. 

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La letteratura è stata per me a lungo lo strumento con cui crearmi un’immagine se non chiara, perlomeno più chiara di me stesso. Mi ha aiutato a maturare una consapevolezza di esserci, di essere nel mondo. A dire il vero avevo già sviluppato una consapevolezza di me stesso prima di iniziare a occuparmi di letteratura, ma è stata la letteratura a farmi capire che tale consapevolezza non era un caso unico, una coincidenza, una malattia. Senza la letteratura tale consapevolezza mi aveva colto per così dire di sorpresa, era qualcosa di terribile, vergognoso e osceno; lo sviluppo naturale mi pareva una deviazione morale, un’onta, un motivo di vergogna, perché mi credevo il solo a perseguirlo. È stata la letteratura a rendermi consapevole di tale consapevolezza, a mostrarmi che non ero un caso unico, che anche ad altri capitava lo stesso. Lo stupido sistema educativo che i delegati dell’autorità di turno hanno adottato anche con me, come con tutti, non poteva più disporre veramente della mia persona. E così, di fatto, non sono mai stato educato dagli educatori ufficiali, ma ho sempre fatto sì che fosse la letteratura a cambiarmi. È stata la letteratura a interrogarmi, a cogliermi di sorpresa, a rivelarmi fatti di cui non ero consapevole, o lo ero solo in modo distratto. La realtà della letteratura mi ha reso attento e critico rispetto alla vera realtà. Mi ha illuminato su me stesso e su quel che accadeva attorno a me.

Da quando ho capito ciò che per me, come lettore e anche come autore, è importante nella letteratura, sono diventato

EPA/JULIEN DE ROSA

attento e critico anche nei confronti della letteratura stessa, che fa appunto parte della realtà. Da un’opera letteraria mi aspetto una novità, qualcosa che mi trasformi anche in minima parte, che mi renda consapevole di una possibilità non ancora pensata, una realtà non ancora consapevole, una nuova possibilità di vedere, parlare, pensare ed esistere. Da quando ho capito di poter cambiare me stesso con la letteratura, che la letteratura mi ha reso un altro, mi aspetto sempre da lei una nuova possibilità di cambiamento, perché non mi ritengo affatto immutabile. Dalla letteratura mi aspetto la distruzione di tutte le visioni del mondo che appaiono come tali. E poiché ho capito di aver cambiato me stesso grazie alla letteratura, e che solo con la letteratura ho potuto vivere in modo più consapevole, sono anche convinto di poter cambiare gli altri con la mia letteratura. Kleist, Flaubert, Dostoevskij, Kafka, Faulkner, Robbe-Grillet hanno cambiato la mia consapevolezza del mondo.

Ora, come autore e come lettore, non mi bastano più le possibilità già note di rappresentare il mondo. Una possibilità ha per me una validità unica. L’imitazione di una possibilità è già qualcosa di impossibile. Un modello di rappresentazione, applicato per la seconda volta, non produce più alcuna novità, al massimo una variazione. Un modello di rappresentazione applicato alla realtà per la prima volta può essere realistico, la seconda volta è già un manierismo, è irreale, per quanto possa piacergli essere considerato ancora realistico. Un tale realismo di maniera vige oggi nella letteratura tedesca. Si trascura il fatto che un metodo trovato per rappresentare la realtà, “con il tempo” perde letteralmente la sua efficacia. Un metodo acquisito non viene ripensato ogni volta, ma solo ripreso senza alcuna disamina. Si fa come se la descrizione di qualcosa di positivo (visibile, avvertibile, percepibile…) attraverso frasi familiari dal punto di vista linguistico, costruite secondo la convenzione, sia un metodo naturale, non artificiale, non un artefatto. Il metodo viene considerato natura. Una variante del realismo, in questo caso la descrizione, viene ritenuta naturale. Si definisce questa letteratura “non letteraria”, “non impreziosita”, “sobria”, “naturale” (l’espressione “copiata dalla vita” non sembra essersi affermata). In realtà, questo tipo di letteratura è tanto poco naturale quanto tutti i tipi di letteratura esistiti finora: solo una società che ha a che fare con la letteratura può trovare familiare un metodo al punto da non rendersi nemmeno più conto che la descrizione non è natura, ma metodo. Tale metodo non è ormai più oggetto di riflessione, è stato recepito. Applicato senza riflessione non è più uno strumento critico nei confronti della società, ma un oggetto d’uso della società stessa. Al lettore il metodo non pone più alcuna resistenza, non viene nemmeno più percepito da lui come tale. È naturale, è parte della società. In questo modo, però, non si trasmette più alcuna novità. Il metodo è diventato uno slogan; come conseguenza ci ritroviamo oggi con un realismo molto triviale.

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