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Pierluigi De Palma. Bari calling

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Ho visto migliaia di concerti. Li ho visti tutti. Li avrei visti tutti se avessi visto Bob Marley, i Clash, i Sex Pistols e i Nirvana. Ma quelli purtroppo non li ho visti e non riesco ancora a farmene una ragione.

Trentatré concerti di Bruce Springsteen seguiti in carriera, la Corista di Prince, la passione per la musica e Bob Dylan, le partite di Francesco Totti, il rapporto con il padre e l’imprevedibile carriera di avvocato. Bari Calling di Pierluigi De Palma, nuovo volume della collana “Contromano” è una stralunata autobiografia rock, o narrazione di sé, oltre ad essere il racconto di una città come il capoluogo pugliese. Allo stesso tempo, è il racconto di una generazione, nata con lo sbarco sulla Luna e con l’approvazione della legge sul divorzio e cresciuta con l’Austerity, ma troppo giovane per vivere con consapevolezza ciò che accadeva all’inizio dei ’60. Il punto di vista di De Palma è trionfalmente sghembo: mentre corre sul filo dei ricordi personali – da una foto al mare che lo ritrae magro e “senza pacco” alla frequentazione del Circolo Tennis Bari – si riannoda alla memoria collettiva del Paese e alla storia di Bari. Salta dal ritratto di famiglia alla nota di costume, dalle memorie calcistiche ai concerti degli U2, dalle immaginette di San Nicola all’arrivo del Subbuteo. Altissima densità narrativa, un’imprevista e (sul serio) coinvolgente scrittura, un Amarcord che prende le movenze del free jazz e tutto rimescola e restituisce in una lettura che toglie il fiato. Sì, perché dalle pagine di Bari Calling si viene presi e trascinati, vinti dal piacere di leggere e di continuare a leggere per sempre – se fosse possibile – . Si vorrebbe sapere tutto, ma proprio tutto su Pinuccio che stava in carcere, leggere ancora del concerto di Bruce Springsteen al Madison Square Garden, di Vito Zaccaria e di Bari Vecchia, di Mario Fara detto il “Rivera del Sud” e di David Bowie al Piper. Se Bari chiama è meglio rispondere.

Paolo Melissi

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