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Raphaël Krafft. Passeur

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Sono immagini di questi giorni, la polizia di frontiera greca allontana, sparando, la folla di siriani che cercano rifugio in Europa dalla devastazione della loro terra. Scene violente e ricorrenti che ci riportano indietro ad altri assalti di disperati, fili spinati, fango, bambini come fagotti; che ne è dei rifugiati nel fango in Macedonia? Dei sudanesi appostati sulle rocce a Ventimiglia, degli africani nei giardini di Como, delle famiglie somale nel parco di via Palestro a Milano? Il primo ministro greco afferma di voler difendere i confini dell’Europa, sembra convinto e sicuro di sé, noi guardiamo sfilare questa folla indistinta mentre aspettiamo che sia ora di cena, la nostra coscienza è assopita.

Il pregio di Krafft è d’aver cambiato virtualmente obbiettivo, d’aver voluto dirigere la sua macchina fotografica sul volto delle persone, riconoscendone il diritto d’appartenenza all’umanità. Emergono diffidenti, segnati dalla paura, dagli inganni, dalla fame e dai disagi. Sono storie disperate come tutte le storie di uomini che hanno perso casa, patria famiglia e cercano di ritrovare qualcosa di simile altrove.

Krafft svolge la sua ricerca su quel tratto di Alpi marittime che ci separa dalla Francia, meta desiderata dalla marea di clandestini passati attraverso orrori successivi, il deserto, i campi in Libia, i gommoni, poi finalmente le coste italiane. Da qui la risalita verso il nord, il confine e, quando hanno fortuna, Mentone. Ma la Francia, patria dei diritti umani, rifugio dorato per i gauche caviar, respinge questi disperati, nega loro la possibilità di accedere a diritti conclamati dai trattati internazionali, distrugge i loro campi di fortuna, brucia le tende e gli zaini che contengono tutta la loro storia, non permette loro di far valere lo status di rifugiati politici, li deporta oltre confine, in Italia.

La prosa di Krafft è diretta, da giornalista non si perde in preamboli, sono i fatti e le persone che contano. Il primo personaggio dei molti, e straordinari, che incontra è Hubert che vive in una baita alle Gorges du Loup, è stato a lungo in Afghanistan e si porta appresso questa cultura alla quale si era gemellato rispondendo all’invito dell’Abbé Pierre. Sperava e voleva un mondo migliore, ora si è ritirato in questa baita delle Alpi Marittime; di qui, dai sentieri che collegano Ventimiglia alla Francia, sono passati negli anni tutti i disperati che fuggono da qualcosa. Il valico di Ponte San Luigi è detto il passo della Morte, non sono necessarie spiegazioni. Il trattato di Schengen del 1995 avrebbe dovuto far dimenticare questi itinerari, i sentieri raccontano una storia passata con residui di vite, vestiti vecchi, zaini, che li costeggiano, l’ultima vittima accertata, un panettiere fiorentino risale al 1962. L’ultimo passeur, Mamadou aveva una fama atroce, sulfurea, quando lo arrestarono a Ventimiglia, era un omino gracile e zoppo.

I passeur, gli uomini che per denaro ti accompagnano oltre confine, abbandonavano i migranti sulla falesia, ne sono morti troppi scivolando sulle pareti lisce dello strapiombo sul quale si lanciavano attratti dalle luci di Mentone. L’amico di Krafft, Enzo, ha delimitato il burrone con ceppi e filo spinato nella speranza che più nessuno vi abbia a cadere.

Krafft deve fare un reportage su queste frontiere di nuovo meta di passaggi pericolosi, su questi migranti antichi e contemporanei. Si sposta dalla Francia all’Italia grazie all’ospitalità di due amici, Hubert ed Enzo. Quest’ultimo si presta ad accompagnarlo nelle ispezioni sui passi e valichi che conosce molto bene: il suo impegno politico lo ha sempre visto schierato verso il più debole in difesa di principi inalienabili di civiltà e umanità. Ma oggi la storia sembra contraddirlo. I migranti, questa folla apparentemente anonima ha vissuto ogni sorta di brutta avventura, quando Krafft offre ospitalità non è creduto, anzi, genera diffidenza e paura. I loro racconti giustificano questi atteggiamenti: c’è il giovane africano che a Roma è sfuggito a una rudimentale camera operatoria allestita dalla mafia per sottrargli un rene, sembra che la pratica sia diffusa, ma c’è anche il curdo che il rene l’ha venduto per pagare alla famiglia la speranza di una vita migliore. Invece sono qui, ammassati sulle rocce, ogni tanto qualcuno tenta di salire su un treno, qualcuno in Francia è arrivato, ma l’hanno riportato indietro. Inutili gli sforzi di tanti, anche a Parigi chi è arrivato non può contare sui trattati internazionali che forse gli garantirebbero sicurezza, ospitalità; nessuno ti ascolta, tu sei nessuno.

Questo lungo reportage, dalla Francia all’Italia e viceversa, attraverso i passi percorsi da sempre dai camminatori di San Giacomo e di Caire de la Madone, dai portatori di sale di Hyèrese della Camargue, da contrabbandieri, da antifascisti italiani, da ebrei dell’est e dell’Austria, stranieri in Italia perseguitati dalle leggi razziali, dai rifugiati di Saint-Martin-Vésubie che pensando di salvarsi, sulla fine della guerra, decidevano di passare in Francia. Qui furono deportati.

Il reportage termina con un passaggio da Entracque al Colle di Finestra per accompagnare due giovani africani, Satellite e Adeel, perseguitati in patria per non aver condiviso la brutalità delle milizie islamiche, che hanno un solo desiderio: poter studiare. Nei loro sogni in Francia potrebbero finalmente trovare pace, ospitalità, opportunità. Il viaggio inizia dalla periferia di Torino e prosegue fino a raggiungere le montagne ormai coperte di neve, viaggio pericoloso ma vanno avanti. Momenti di poesia, di grande e vera bellezza, lo scenario maestoso delle Alpi che si rivela a questi ragazzi, figli del deserto. Il camoscio subito identificato come gazzella, la neve. Poi tanta fatica, sei ore di marcia in salita, l’ultimo ostacolo è un nevaio ghiacciato dove dovranno segnare la traccia per il passaggio. Una targa commemorativa ricorda che : «Attraverso questo colle, nel settembre del 1943, centinaia di ebrei provenienti da tutta Europa cercarono spesso invano di salvarsi dalla persecuzione antisemita. Tu, che passi qui libero ricordati che questo è accaduto ogni volta che tolleri che chiunque altro non goda dei tuoi stessi diritti».

Carla Tolomeo Vigorelli

Recensione al libro Passeur di Raphaël Krafft, Keller Editore, traduzione di Luisa Sarlo, 2020, pagg. 160, euro 14,50.

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