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Pilar Quintana anteprima. La cagna

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La Tartaruga, dal 2017 entrata a far parte de La nave di Teseo, inaugura un nuovo corso, a cura di Claudia Durastanti, e lo fa portando in libreria anche il successo editoriale in America Latina La cagna, romanzo della scrittrice colombiana Pilar Quintana, con la traduzione di Pino Cacucci. L’altro titolo in uscita è La bellezza del marito di Anne Carson. 

Una riflessione feroce sulla maternità e sul desiderio istintivo di creare un legame. Sulla costa del Pacifico colombiano, in una delle regioni più povere del paese, prende vita il rapporto ossessivo di Damaris, madre mancata quasi quarant’enne, con Chirli, “cane femmina” adottata e chiamata con quel nome che avrebbe voluto per sua figlia. La natura umana si scontra con la voracità dell’universo nella vita quotidiana della donna afrodiscendente mentre è affaccendata nelle pulizie di casa, nell’essere fedele ostinata alla sua memoria, nella cura della cagna, nella gestione “intima” della sua perenne frustrazione perché “non è rimasta incinta “. Romanzo contemporaneo che amplifica la bellezza scioccante dell’ambiente in cui si susseguono le miserabili vite dei suoi personaggi dai dialoghi laconici, in cui le disgrazie sono accettate come inevitabili, in cui il sospetto è in agguato ed i precetti sociali impongono un prezzo da pagare mai scontato.

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Le ferite guarirono e la cagna cominciò a ingrassare, ma Damaris continuò a curarla come se fosse ancora debole e non aveva più remore a chiamarla Chirli né a coccolarla davanti agli altri, nemmeno con Luzmila quando andò a trovarla nel giorno della festa della mamma. Luzmila arrivò con tutta la famiglia, il marito, le figlie, il genero, le nipoti e persino la zia Gilma, che portarono in braccio sulle scale e adagiarono su una sdraio sul balcone della casa grande. Cucinarono un sancocho con carne di gallina sul focolare a legna nel gazebo, riempirono la piscina e fecero il bagno. Nessuno disse “Quanto ce la stiamo spassando alla faccia dei padroni di casa,” ma a Damaris sembrava che tutti lo stessero pensando e, sebbene ridesse delle battute e giocasse con le bambine, lei non se la stava affatto spassando. Si sentiva mortificata per quello che avrebbe pensato la gente se li avesse visti in quel momento a occupare la casa dei Reyes.

La zia Gilma si sventolava con il ventaglio sulla sdraio del balcone come una regina, Rogelio se ne stava stravaccato su un’altra sdraio accanto alla piscina, Luzmila e suo marito, seduti sul bordo, bevevano al collo da una bottiglia di aguardiente, le bambine facevano piroette nell’acqua e Damaris, che era appena uscita dall’acqua, si lasciava dietro una scia di gocce lungo il vialetto lastricato, con il suo culo gigantesco nei pantaloncini e la canottierina stinta che usava come costume da bagno o per lavorare. Damaris pensava che nessuno avrebbe mai potuto prenderli per i proprietari del posto. Erano un gruppo di neri poveri e malvestiti che usavano le cose dei ricchi. Morti di fame che si spacciavano per signori, ecco cosa avrebbe pensato la gente, e Damaris moriva di vergogna perché per lei apparire come una profittatrice era una cosa tremenda e deplorevole quanto l’incesto o il delitto. Si sedette sul pavimento con le gambe distese e si appoggiò al muretto del gazebo. La cagna si sdraiò accanto, mise la testa sulla sua coscia e lei cominciò ad accarezzarla. Luzmila le guardò scuotendo la testa, e poi offrì da bere a Rogelio. “Ti ha già sbattuto fuori dal letto per farci stare la cagna?” gli chiese. “Perché a pranzo la porzione migliore l’ha servita a quella.” Luzmila esagerava. Damaris aveva in effetti servito una porzione di sancocho alla cagna, ma era soltanto la pelle della gallina e un pezzettino di carne. “Non ancora,” rispose Rogelio, “però non lo so perché spreca tanto tempo con quella bestiola che si è persa nella boscaglia e ha provato la vita selvatica. Glielo dico sempre che continuerà a scappare.”

 

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