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Sara Marconi, Desideria Guicciardini anteprima. I promessi sposi

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Scritto da Sara Marconi e illustrato da Desideria Guicciardini esce oggi la riscrittura del manzoniano I promessi sposi.

Disponibile già da qualche giorno sulle varie piattaforme, ma ora ufficialmente in libreria, il romanzo celebra in modo non canonico i 150 anni dalla scomparsa dell’autore lombardo.

Il romanzo (pagg. 239, €14,90), pubblicato da Lapis edizioni, è indirizzato verso i ragazzi dagli otto anni e riesce a rinnovare lo stile del Manzoni senza tradirlo mai. Restando cioè in perfetto equilibrio fra necessaria modernità e fedeltà all’originale. Nel campo della letteratura per ragazzi, una pubblicazione ambiziosa a tutti gli effetti.

«Mi chiedo sempre se e quando abbia senso raccontare i grandi classici – perché, insomma, non far parlare direttamente loro ma trasformarsi in intermediario, in interprete» ci dice Sara Marconi. «Il mio tentativo, almeno in questa occasione, è stato quello di provare a far emergere la grandissima potenza di questo libro per chi l’ha dimenticata o per chi non l’ha ancora scoperta.»

Come sempre, storie potenti si reggono su grandi personaggi. Così, nel reinterpretare il romanzo del Manzoni l’autrice afferma di essere «partita dai personaggi, che trovo eccezionali. «Per esempio Lucia, che secondo me soffre di una distorsione incredibile nel nostro immaginario. Una ragazza così unica, così speciale da far innamorare di sé, in un modo o nell’altro, tutti quelli che la incontrano, e a cui invece noi spesso pensiamo come a una noiosa santarellina. È a lei che Manzoni affida il senso della storia. E poi Gertrude, don Abbondio, l’innominato… tutti ancora tra noi, a un passo da noi, li incontriamo continuamente. Ho cercato di capirli, di afferrarli e possederli il più possibile; e poi li ho lasciati andare, e li ho seguiti».

Ma riscrivere significa non solo rendere originale un’opera già di per sé compiuta. Significa anche riuscire a cancellare sottotrame, personaggi minori, passaggi importanti quanto riottosi a farsi sintetizzare per giungere al cuore della storia. In altre parole, bisogna trovare il giusto compromesso fra attenzione a non stravolgere il tema e sua rinnovata fruibilità.

Ne I promessi sposi realizzato da Marconi, nulla è stato tolto. «Nel senso che racconto tutte le cose che costituiscono l’ossatura della storia: i bravi, la nottataccia di don Abbondio, il confronto con Renzo e via e via, fino alla grande pioggia liberatoria, all’incontro di Renzo con Agnese e poi ancora al doppio e triplo finale del Manzoni.

Però il libro che ho scritto è molto più breve dell’originale. Credo si capisca immediatamente che, per chi come me ama quel testo, è stato un percorso difficile, in equilibrio a ogni pagina. Ho cercato di non dimenticare mai per chi lo stavo facendo; ho sacrificato alcune parti che amo molto – come il lungo e affascinante colloquio tra il Conte zio e il padre provinciale, un capolavoro di diplomazia, un manuale di politica, ma forse meno interessante per ragazzi e ragazze. Ho tentato di tenere sempre un ritmo sostenuto, le cose succedono, non ci sono digressioni: è (anche) un grande romanzo d’avventura, pieno di colpi di scena e di svolte inattese.» 

Altro punto nodale, come abbiamo citato all’inizio, è lo stile con cui si è composto questo romanzo.

Non un calco della voce manzoniana, ma nemmeno un tenersene lontani, un cancellarla negandola.

«Io nasco storica della lingua italiana» dice Marconi, «per me la letteratura è lingua, lessico, sintassi, ritmo. E però “raccontati da” vuole dire che la voce doveva essere la mia, doveva essere vicina a quella dei lettori e delle lettrici. Ho cercato di far trapelare la voce di Manzoni (a essere onesti bisognerebbe dire “le voci”, perché si sentono ancora le diverse revisioni e l’intervento dell’ineffabile Emilia Luti, la fiorentina che l’ha aiutato a riscrivere e riscrivere ancora) senza che però prendesse il sopravvento. Ho provato a giocare con i dialoghi, facendo parlare i personaggi con le parole che gli aveva dato Manzoni, mentre la storia è detta da me. Senza però far stridere le due cose: sono echi, richiami, che coglie chi conosce bene l’originale.»

Le illustrazioni di Desideria Guicciardini giocano un ruolo importante nell’economia di questi Promessi sposi. Spesso e volentieri si slacciano dal sostegno didascalico per regalare al lettore i “sentimenti” che albergano nelle pagine della storia, facendoli risaltare.

«Ho cercato di trasmettere con i disegni l’atmosfera, il colore del romanzo. Guerra, pestilenza, carestia: questa è la cornice delle vicissitudini dei protagonisti. Dunque, le prime illustrazioni che ho fatto sono state quelle del Lazzaretto, di Milano appestata, del Foppone pieno di cadaveri, della discesa dei lanzichenecchi giù per la Valsassina. Le altre illustrazioni non avrebbero dovute scostarsi stilisticamente troppo da tali immagini. Compito non semplicissimo perché, come si sa, i registri manzoniani sono tanti.»

L’ispirazione per i paesaggi che ritroviamo in varie tavole proviene dai luoghi in cui l’artista vive, cioè Lecco, ma non solo come ci confessa direttamente.

«Sembra una quisquilia, ma a seconda di dove si svolge un certo episodio lo sfondo cambia e cambia lo skyline dei monti. Per il Lazzaretto ho trovato in rete, con grandissimo divertimento, delle magnifiche foto antecedenti lo smantellamento pressoché totale della struttura.

Per la peste il mio ispiratore è senza dubbio il gruppo scultoreo in cera di Gaetano Zumbo, conservato alla Specola di Firenze.

Altre suggestioni le ho tratte dalle illustrazioni di Bernadette di Salvatore Fiume, da I promessi sposi di Guttuso.

C’è qui e là anche un po’ di Hokusai, decisamente poco lombardo ma che non posso mai dimenticare.»

Sergio Rotino

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Dopo aver pregato insieme, Renzo e fra Cristoforo si divisero. Renzo cercò tra i guariti radunati vicino alla chiesa, ma Lucia non c’era. Ora poteva soltanto trovarla malata; altrimenti… se non l’avesse trovata… non poteva pensarci.

Entrò nel quartiere delle donne, vide per terra uno dei campanelli dei monatti e se lo legò a una caviglia, così nessuno gli avrebbe chiesto cosa faceva lì. Iniziò la sua ricerca, ma dopo poco…

«Vai in quella stanza, serve aiuto!»

Un commissario lo aveva preso davvero per un monatto. “Che bestia che sono stato!” si disse Renzo. “E ora come faccio?”

Si allontanò veloce e si nascose tra due capanne, in un angoletto riparato, in modo da potersi togliere quel benedetto campanello.

E lì, proprio lì… appoggiando l’orecchio alla parete della capanna… sentì una voce che non avrebbe mai potuto confondere con nessun’altra.

«Ma quale paura?!» diceva. «Come potrei avere paura di un temporale, con tutto quello che abbiamo passato? Dio ci proteggerà anche questa volta.»

A Renzo mancò il fiato, gli mancò la voce. Per un attimo gli si piegarono le ginocchia e vide tutto buio; ma subito si riprese, girò intorno alla capanna, trovò la porta, vide chi c’era dentro.

«Lucia! Ti ho trovata! Sei tu, sei viva!» «Oddio! Che cosa… perché… sei malato?»

«Lo sono stato. E tu?»

«Anch’io. E mia madre?»

«È a Pasturo, credo stia bene. Come sei pallida…» «Sono pallida ma sono guarita. Tu, piuttosto, cosa ci fai qui?»

«Cosa ci faccio?» chiese Renzo, avvicinandosi. «Cosa ci faccio? Che domanda è? Non mi chiamo più Renzo? Non sei più Lucia?»

«Ma cosa dici?! Non ti ha detto mia madre…»

«Sono cose da scrivere, quelle?»

«Santo Cielo… sarebbe stato meglio che io fossi morta! E io che pensavo di averti dimenticato…»

«Bella speranza!»

«Renzo, ho fatto un voto!» «Un voto che non vale nulla, però! Piuttosto promettiamo insieme che la nostra prima figlia si chiamerà Maria, in onore della madre di Gesù: questo sì, che è un bel voto.» «Non sai quel che dici, vattene! Dì a mia madre che sono viva e che ho trovato un’amica, una sorella, che mi ha aiutata e mi aiuta» e Lucia indicò la donna che divideva con lei quella stanzetta, una ricca mercantessa di circa trent’anni con cui aveva passato i giorni della malattia e a cui si era affezionata moltissimo.

«Aspetta! Padre Cristoforo…»

«Cosa!?»

«È qui! Mi ha detto che facevo bene a cercarti e che Dio mi avrebbe aiutato…»

«È perché non sa del voto!»

«E come potrebbe immaginare un voto del genere?! Piuttosto: mi ha portato a vedere un malato…» e Renzo le raccontò di don Rodrigo.

«Ha detto che vuole che noi preghiamo insieme per lui… io l’ho fatto, ma come starà nell’Aldilà, poveretto, se il guaio che ha combinato su questa terra non verrà aggiustato?»

«Renzo! Non siamo noi che decidiamo il destino di un uomo! Secondo te, se io fossi morta quella notte terribile, lui non avrebbe potuto essere perdonato?»

«Va bene, basta. Padre Cristoforo mi ha chiesto di tornare a dirgli se ti avevo trovata. Vado, sentiremo cosa ne penserà lui!»

«Sì, vai, vai. Ma non tornare più qui a tentarmi. Lui ti aiuterà a mettere il cuore in pace.»

«Il cuore in pace! Questo puoi scordartelo, non succederà mai. Tu vuoi dimenticarti di me, ma io non voglio dimenticarmi di te. Vuoi condannarmi a essere arrabbiato per tutta la vita? Non saprei proprio come fare, a dimenticarti! Ho pensato sempre a te, e appena ho potuto sono venuto a cercarti!»

«Smettila, smettila» lo supplicò Lucia. «È troppo, per me! Per carità, vai da padre Cristoforo e non tornare più!»

«Vado. Ma tornerei anche se tu fossi in capo al mondo.»

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