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Scrivere vuol dire amatemi senza toccarmi. Intervista a Eleonora Caruso

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Eleonora C. Caruso è nata nel 1986 in provincia di Novara. Nel 2012 è uscito il suo primo romanzo Comunque vada non importa (Indiana Editore). Nel 2018 ha pubblicato con Mondadori Le ferite originali, ristampato nel 2022 dopo un passaparola entusiastico dei lettori su TikTok; nel 2019, sempre per Mondadori, è uscito Tutto chiuso tranne il cielo. Vive a Milano con il marito e la sua collezione di manga.

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Sei una valida narratrice, dall’anima un po’ nerd e dal cuore un po’ rock: quanta retromania finisce nelle tue storie, quanto vissuto quotidiano resta fuori?

Sai che in realtà non sono così retromaniaca? Al contrario, i miei libri sono sempre radicati in un presente quasi “estremo”, se si considera quanto la letteratura italiana faccia generalmente ancora fatica a parlare di internet o social network, per esempio, che sono ritenuti temi troppo “nuovi” o poco letterari. Alla fine, credo sia proprio questa “fissa” per il presente che ha fatto nascere questo romanzo che sì, parte dal presupposto che esista una setta in cui si vive come negli anni ‘90. Al contrario, di vissuto c’è molto, specie in “Doveva essere il nostro momento”

Con la tua scrittura hai dato vita a personaggi degni di una avvincente serie tv statunitense, eppure sei una riconosciuta scrittrice nata (e cresciuta) in Italia. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di genere letterario italiano, qual è quello che da scrittrice preferisci quando narri una storia?

Sarò onesta, non ne ho la minima idea! Quando qualcuno scopre che scrivo e mi fa la fatidica domanda, “libri di che genere?”, non so mai cosa rispondere. Alla fine borbotto un po’ sempre la stessa cosa “scrivo di persone, di rapporti tra le persone”. Ha un nome, questo genere?

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi?

Non ho grandi feticismi letterari, in effetti sono poco feticista con i libri in generale. Sono più legata ai singoli romanzi che non agli autori. Tra i classici Alexandre Dumas, “Il Conte di Montecristo” è uno dei miei libri preferiti in assoluto. Tra i contemporanei sono particolarmente legata a quelli che mi hanno ispirata e fatta crescere come scrittrice, come Jeanette Winterson e Michael Cunningham.

Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?

Io sono un’appassionata di storie, non importa quale sia il mezzo attraverso cui mi arrivano, quindi amo il cinema, i fumetti, le serie tv, l’animazione, i videogiochi…ma forse fumetti e videogiochi di più, perché hanno fatto parte profondamente della mia formazione. Il mio regista preferito è Park Chan-wook, coi fumetti sono più in difficoltà, sono troppi. Ho sicuramente un debole per i manga, quindi ti direi Moto Hagio, un’autrice straordinaria.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

È un lettore appassionato di personaggi, che cerca il legame più con loro che non con la trama in sé.

Come impieghi il tempo quotidiano dedicato alla scrittura delle tue storie?

Non ho una routine particolare, ma mi ritengo una scrittrice di personaggi, prima di tutto, quindi la fase più importante del lavoro per me è “sincronizzarmi” con loro. Posso benissimo passare mesi ad ascoltare le stesse tre canzoni che per me identificano un personaggio, o a guardare solo film e telefilm che lui guarderebbe, a leggere solo quello che leggerebbe. Se parliamo di battere i tasti sulla tastiera, lo faccio la sera. Ma il “sollevamento pesi” è precedente.

Quale tipo di storia non scriveresti mai?

Tre cose sono contro la mia natura di scrittrice: scrivere “per tema”, essere superficiale, mettere la trama davanti ai personaggi. Credo non scriverei mai neanche autofiction, perché mi sento molto più libera di raccontare onestamente di me attraverso la fiction. Ma magari tra un anno mi convinceranno a farlo e questa intervista sarà il modo perfetto per sfottermi.

Ti andrebbe di raccontarci quanto ti sei allenata, in tutti questi anni, per importi sulla scena letteraria?

Poco, infatti non mi sono imposta. Busso ed entro da chi mi invita.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché scrivi storie?

Perché ero una bambina molto sola, e questo è il modo che ho trovato per connettermi alle altre persone. Anni e anni fa la poeta Gemma Gaetani disse sul suo blog “Scrivere vuol dire amatemi senza toccarmi”. Quella frase è rimasta appesa da allora su tutte le mie scrivanie, credo dica tutto di me.

Ti andrebbe di dirci perché leggi (ancora, in questo mondo contemporaneo) libri?

Perché mi piacciono le storie, e trovo la scrittura in sé formalmente appagante. Amo il cinema e il fumetto, ma non godo particolarmente di un piano sequenza, o di un disegno spettacolare. Se però leggo un paragrafo fluido, una frase lunga e complessa che funziona bene, una pagina particolarmente intensa, o una struttura complessa che pare debba crollare da un momento all’altro, ma non crolla, trattengo il respiro. In quei momenti penso, come se lo avessi appena scoperto: “Oh, la scrittura è proprio bella!”.

In 24 ore di vita quotidiana, magari mentre fai altro, quante volte – tra sonno e veglia – incontri i personaggi delle tue storie? Cosa vi dite?

Costantemente. In un certo senso è un problema, perché limita in modo anche evidente i miei rapporti con gli altri e con il quotidiano. Immagino la mia vita emotiva come un canale che si biforca, da una parte c’è la mia vita, dall’altra la vita dei miei personaggi, e i due canali non sono mai aperti nello stesso momento. Fortunatamente, le persone più vicine a me lo sanno e non si offendono. O almeno credo…

Mario Schiavone

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