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Selvaggio Ovest. Intervista a Daniele Pasquini

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Per Le Tre Domande del Libraio questa settimana incontriamo lo scrittore toscano Daniele Pasquini, da poche settimane arrivato sugli scaffali delle librerie con “Selvaggio Ovest”, un romanzo edito da Nn Editore che ci porta in una Maremma di fine Ottocento facendoci cavalcare in territori di confine di una Italia inaspettata.

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Daniele, ti avevamo lasciato un paio di anni fa con un romanzo molto amato in libreria, “Un naufragio” edito da Sem, ti ritroviamo con un romanzo di formazione che è anche un vero e proprio “western” di ambientazione italiana nella Maremma toscana, tra briganti e butteri. Ti va di raccontarci il tuo percorso nella scrittura, la formazione letteraria che ha ispirato questo western all’italiana e come sei arrivato alla casa editrice milanese Nn Editore, che tanta America di confine ha raccontato in quasi dieci anni di vita?

Con “Un naufragio” avevo iniziato a rendermi conto che il caro vecchio adagio scrivi di ciò che conosci mi andava stretto, rischiavo di finire nelle sabbie mobili dell’autofiction e del soliloquio. Avevo intuito che nell’immaginario avventuroso avrei potuto trovare delle opportunità narrative. Pertanto per parlare di relazione di coppia, di amore e di fragilità avevo fatto ricorso all’immaginario survivalista dell’isola deserta: era un naufragio anche metaforico, ma la dimensione avventurosa in realtà era già centrale.  Con “Selvaggio Ovest” ho alzato, e di molto credo, la posta della scommessa. Si tratta di un romanzo di ambientazione storica che aderisce fedelmente ai canoni del western letterario.  Da amante della letteratura americana sono incappato nel corso degli anni in molti grandi romanzi di frontiera – un filone davvero ampio ed eterogeneo, in cui si potrebbe inserire tanto Steinbeck quanto McCarthy – e che mi hanno senz’altro ispirato. Poi l’incontro con autori come McMurtry e A.B. Guthrie mi hanno spinto ad approfondire. Per mille ragioni trovavo ridicola l’ipotesi di scrivere un romanzo ambientato in Texas o in Wyoming, anche perché il western doveva essere un mezzo, non un fine. Poi una stratificazione di suggestioni mi ha condotto fino alla Maremma di fine ‘800, e al preciso momento storico in cui il far-west, attraverso il circo di Buffalo Bill, arrivò in Italia. Volevo parlare del potere delle parole e delle storie nella costruzione dell’identità di ciascuno, di filiazione e di eredità, e per farlo mi sono messo in sella. Sono davvero felice che NN abbia puntato con forza su questa storia, mentre immaginavo i butteri silenziosi di Selvaggio Ovest ho pensato spesso ai fratelli McPheron, gli allevatori di bestiame che vivono ai margini di Holt, nell’universo di Kent Haruf.


Un romanzo che trasporta il West americano in terra toscana, e lo trasforma in una storia incredibile e avvincente di frontiera fatta di butteri e briganti, fuorilegge e pistoleri, spettacoli e avventure. Per i nostri lettori forti di Satisfiction ci vuoi dettagliare la storia e i personaggi che animano le pagine di “Selvaggio Ovest” ?

La trama è piuttosto difficile da sintetizzare. Siamo alla fine dell’800, in una porzione di Maremma ispirata al territorio nei dintorni dell’odierna Alberese. Alla base di tutto c’è un furto di cavalli da parte di un brigante di nome Occhionero: come è noto, sia nel West americano che nell’Ovest maremmano, i cavalli sono importantissimi. Le vicende e i destini dei personaggi – il buttero Giuseppe detto “Penna”, il figlio adottivo Donato, i briganti, la carbonaia Gilda, il carabiniere Orsolini – si incrociano a più riprese, in un movimento costante di inseguimenti e fughe. Nel western, per magia, capita sempre un fatto: sulla frontiera, anche se è vasta e disabitata, si finisce sempre col ritrovarsi. E infine come accennavo avviene anche un incontro con il vero far-west: tra la tappa romana e quella fiorentina della tournée del Wild West Show di Buffalo Bill gli eventi prendono una piega inaspettata, ed è nuovamente un furto di cavalli ad innescare la vicenda. Posso dire che ci sono di mezzo i Sioux, che a Firenze la storia ha un’ulteriore svolta, e che c’è una “resa dei conti” finale.

Il mondo dei butteri e dei cavalli in un’Italia giovane di fine Ottocento come quello dei cowboy americani. A partire dalla Maremma di quegli anni, vogliamo raccontare analogie e differenze tra i due mondi ma anche raccontare lo spirito Lonesome Dove di Larry McMurtry, citato in quarta di copertina, che aleggia nel romanzo ?

È partito tutto con alcune analogie paesaggistiche: natura incontaminata, ambienti non antropizzati, pianure e boschi. Poi ho scoperto il mondo dei butteri, mandriani a cavallo che guidano le mandrie al pascolo brado. Al netto di questo, lo scarto di immaginario c’è ed è incolmabile: il Vecchio West è il mito su cui si è fondata l’America, le storie di frontiera sono state per gli USA ciò che i poemi omerici furono per l’antichità. Le dime novel che romanzavano ed ingigantivano le cronache della vita nell’Ovest vendevano centinaia di migliaia di copie, e quando Buffalo Bill nel 1890 arrivò in Italia col suo Wild West Show era a tutti gli effetti una star planetaria. Dall’altra parte, nella stessa epoca, la Maremma era una terra spopolata, non una terra di conquista o di grandi prospettive: un luogo in cui si moriva di malaria, in cui nessuno voleva e poteva vivere. I cowboy americani erano considerati eroi carichi di fascino, i butteri giusto allevatori costretti a fare i conti con la miseria. Non sono mai stati epici, né ho voluto che lo diventassero nella mia finzione. In fondo a me del western affascinava più la dimensione crepuscolare che non quella trionfale: lo stesso Lonesome Dove è un romanzo dal respiro epico, ma quello raccontato da McMurtry è pure un mondo che sta per giungere alla fine, è un’epica in tono minore.

Buona Lettura con Selvaggio Ovest di Daniele Paquini.

Antonello Saiz

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