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Stella Poli. La gioia avvenire

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Esiste una bellezza in ogni resa, una bellezza nel cadere in ginocchio davanti a ciò che ci invade quando riconosciamo di non essere abbastanza forti da sconfiggere e accettiamo di venire sconfitti.

La gioia avvenire, di Stella Poli, edito da Mondadori, è la storia di una gloriosa sconfitta. Quando aveva quattordici anni Nadia ha subito una subdola violenza. Un amico di suo padre di trentacinque anni più grande, comincia a corteggiarla. Lei è ancora una ragazzina e subisce il fascino di quest’uomo adulto, sposato.

Alla lusinga, si somma la curiosità e poi la fascinazione. Alcuni messaggi, apparentemente innocenti, fanno da preludio alle attenzioni e poi al più esplicito corteggiamento. Non ci sarà una storia d’amore, il rapporto completo, la penetrazione, piuttosto e astutamente tutto resterà ai più invasivi preliminari.

Passano molti anni e Nadia pensa a quanto sia stata male, al suicidio sfiorato, al senso di colpa e prova a cauterizzare questa profonda e invisibile ferita scrivendo la sua storia e si chiede se sia ancora in tempo per la denuncia, perché denunciare, avere una sentenza, un processo, le darebbe la certezza che quella violenza lei l’ha subita altrimenti, di tutto quel disagio, le resterebbe un castello di foglie.

Sono passati nove anni, e Nadia è costretta a capire che tornare indietro è complicato, dimostrare la violenza, spiegare perché non si sia tirata indietro, perché non ha nemmeno provato a scappare, perché non abbia saputo negarsi al momento opportuno.

Stella Poli ci trascina nel dubbio più sporco e ci chiediamo se si sia trattato di vera violenza e poi ti fermi e ti dici: aveva quattordici anni e lui quasi quaranta e tutte le congetture, le argomentazioni, crollano.

Questa non è L’amante di Margherite Duras, non c’è amore o disperazione, ci sono molti anni di differenza, ma nessun conflitto culturale, economico, nessuna lacerazione. Questa è una storia squallida che ha generato una frattura che solo il racconto può provare a rimarginare perché le storie ci appartengono solo fino a quando abbiamo la forza di tenerle dentro di noi, di contenerle nel silenzio. Dopo averle raccontate, si separano dal corpo parlante e si consegnano a chi le ascolta.

Ci alleggeriamo perdendo di un pezzo d’identità. Era la nostra vita, ormai non più.

Il racconto è interessante e non privo di spunti di riflessione. Il suo limite però è lo stile estremamente paratattico. Ci sono più virgole che congiunzioni o forse, a pensarci bene, le congiunzioni non ci sono affatto.

Uno stile tanto scarno e asciutto, ha il pregio di essere esatto. Difficile commettere errori se non devi gestire gerundi e subordinate, però si ha la sensazione, dopo alcune pagine, di avere davanti pagine poco letterarie e l’uso di qualche immagine ardita, qualche termine inconsueto, non colmano questa mancanza.

Inoltre, la brevità del testo ci lascia un po’ incerti perché ci sono linee narrative e personaggi che avrebbero meritato di essere maggiormente valorizzati. La mamma, ad esempio, il suo rapporto con Nadia è quasi del tutto assente, così come la vita di Nadia ci sfugge in troppi punti. Ci sembra di capire che ci siano stati altri uomini ma molto resta vago.

Interessante, invece, il rapporto con Elena, la paziente con manie di persecuzione. La donna che diventa quasi uno specchio deformato, che ha subito violenza a sua volta, che ha denunciato e ha avuto giustizia, la sentenza.

Le loro ammaccature, in qualche modo, si fondono ad un certo punto ed è questo il momento più alto della storia.

Va considerato, questo, un più che promettente esordio, ma come tale va considerato. La gioia avvenire ha comunque il pregio di porre l’accento su una questione importante come il limite tra ciò che può essere considerato violenza e cosa no, in una società che si vorrebbe liquida su troppi argomenti.

Pierangelo Consoli

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Stella Poli, La gioia avvenire, Mondadori, 2022, Pp. 120, Euro 16.

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