«Nel deserto/ Vidi una creatura, nuda, bestiale,/ Che teneva il proprio cuore in mano, / E se ne cibava./ Dissi: “È buono, amico?”/ “È amaro, davvero amaro”, rispose lui;/ “Ma mi piace perché è amaro/ E perché è il mio cuore».
Ironica, tagliente, forte, la poesia di Crane – uno dei più grandi autori americani dell’Ottocento che deve la sua fama internazionale ai suoi romanzi, in particolare a Il segno rosso del coraggio con cui ha letteralmente rivoluzionato lo stile narrativo americano ( tanto che Hamigway dirà che di grandi scrittori ce ne sono tre: Henry James, Mark Twain e Stephen Crane) – rivive nelle librerie italiane nella nuova antologia pubblicata da Interno Poesia, a cura di Franco Lonati: Stephen Crane – Tutte le poesie, contenente le raccolte I Cavalieri Neri, La guerra è gentile e altre poesie sparse.
Come ammette lo scrittore stesso in una lettera al direttore del Lieslie’s Weekly del 1895, nonostante sia consapevole di avere raggiunto il successo grazie a Il segno rosso del coraggio – romanzo ambientato durante la Guerra di Secessione che offre ritratti crudi e allo stesso penetranti e profondi dei protagonisti – lui sia molto più affezionato a quelli che definisce i suoi libretti di poesie, sebbene fossero stati accolti negativamente dalla critica dell’epoca. La sua produzione poetica infatti era un sogno più ambizioso: l’obbiettivo era di includervi il suo pensiero sulla vita nel suo complesso, mentre il celebre romanzo non era nient’altro che un episodio, un’amplificazione. E queste poesie, come disse lui stesso, gli venivano spontanee, come visioni che lo attraversano improvvise e lui non poteva fare altro che imprimerle sulla carta con l’inchiostro.
I Cavalieri Neri è un viaggio in una vita che è un deserto: partendo dalla visione della cavalcata dei cavalieri neri venuti dal mare del peccato, che non è altro che un suo terribile e ricorrente sogno infantile, l’io lirico si mette in cammino, percorrendo un labirinto, cercando di emergere dalle sue domande sul perché di un’esistenza crudele, sul perché del mistero e della bellezza dell’amore.
«Se l’amore ama, /non c’è mondo/ né parola./ Tutto è perduto/ Tranne il pensiero dell’amore/ E un posto per sognare. //Tu mi ami?/Ti amo. /Allora sei un freddo codardo./Sì; però amato.»
Incontra vari personaggi, personaggi che sono simboli, personaggi che hanno paura, personaggi che hanno coraggio, che parlano, che non rispondono, che urlano, rappresentando l’umanità intera. E c’è un Dio, un Dio lontano dal Dio dell’Amore del mondo cattolico, il Dio spietato conosciuto attraverso l’educazione metodista che aveva ricevuto da piccolo e a cui era sempre stato insofferente: il Dio che rappresenta nella raccolta è un Dio indifferente, crudele, forse perché morente, forse come vendetta all’uomo che l’ha ferito.
«Uno spirito gridava “Dio! Dio!” […]/Attraversò valli /di melma nera come la morte,/ sempre gridando:/ “Dio! Dio!”[…]/ Alla fine urlò, / rinnegando esasperato:/ “Ah, non c’è nessun Dio!”/ Una mano fulminea, / una spada dal cielo, /lo colpì, /e cadde stecchito.»
Invece, nella seconda raccolta, La guerra è gentile, opera più tarda e che mostra una maggiore maturità spirituale e stilistica, Crane, attraverso un’amara ironia, enfatizza il tormento psicologico che i soldati morenti e i loro cari sopportano, piuttosto che esaltare il loro eroismo. Desidera presentare il mondo come lo vede lui piuttosto che come vuole che sia.
«Non piangere, bimbo, perché la guerra è gentile./ Perché tuo padre è caduto nelle trincee gialle,/con la rabbia nel cuore, l’ha inghiottita ed è morto, /Non piangere. /La guerra è gentile.»
La guerra è gentile si chiude con l’immagine del maestro che comprende la saggezza dei bambini quando chiedono perché gli uomini audaci e forti non possano passare il tempo a raccogliere i fiori come loro e con il lungo ed enigmatico componimento Intrigo – l’unico nella raccolta ad avere un titolo– che dopo i versi precedenti sul dolore umano causato dalla guerra, parla d’amore, di un amore profondo e coltivato nel tempo, l’amore della sua vita.
Sono le ultime poesie sparse, incluse in nessuna raccolta, pubblicate su riviste varie e giornali dell’epoca, a concludere l’affresco tracciato da Crane sul mistero e il dolore della vita umana, lasciando in bocca un retrogusto amaro.
Nell’antologia in cui i versi di Crane rivivono in una traduzione che fedelmente ricrea la musica aspra, dura e lo stile irregolare e straordinariamente moderno e penetrante, l’io lirico e il lettore si ritrovano in un deserto che è uno spazio onirico, specchio della vita, nei suoi dubbi, nel suo dolore, nelle sue fragilità, nel dialogo turbolento con Dio, nella scoperta della forza dell’amore, forgiando parole che gridano, forgiando parole di fuoco.
Arianna Galli