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Tillie Walden. La solitudine dello spazio

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Che conosciate o meno il lavoro della giovane fumettista americana Tillie Walden, vi consiglio di leggere La solitudine dello spazio non come tradizione vuole, cioè partendo dalla prima storia.

Saltate La fine dell’estate, tenetela per ultima.

Andate prima ad ammirare i racconti che seguono, andate oltre il suo essere il più corposo dell’intera raccolta.

Fatevi le ossa (se proprio siete a digiuno del lavoro di Walden) con lo storytelling e i disegni che compongono Amo questa parte o, ancora di più, con quelli di Una città dentro.

Dopo di che inoltratevi, seguendo la risalita dal 2013 al 2018, nei racconti brevi che compongono la seconda parte del volume.

Entrate in quanto possiamo definire “il portfolio formativo” di questa brillante, giovane certezza del fumetto, capace di trattare tematiche queer con una attenzione e una parallela naturalezza da incanto.

Beh, non solo. Almeno in un caso, anche con una crudezza che non le sembra appartenere: è così in Splendere, datato 2013, piccola storia minimalista con finale tragico.

Attraverso le storie contenute nella seconda metà de La solitudine dello spazio, possiamo vedere come cresce in Walden la capacità di costruire la pagina, di dare una scansione personale agli eventi, di trattare tematiche a lei vicine con una delicatezza e una evocatività che hanno pochi competitor al giorno d’oggi.

Come scrive Warren Bernard nell’introduzione «quell’incredibile testolina che siede sulle spalle di Tillie ha molte cose da dire su amore, relazioni, morte, alienazione e sessualità».

Il bello è che le sa dire tutte, e le sa dire fondendo il testo con “immagini incredibili” dove si percepisce il feeling per gli universi fantastici di Winsor McCay e Hayao Miyazaki.

Il primo è citato anche per le ardite architetture inserite in vari racconti. Al secondo si deve forse la libertà con cui si sviluppa il lato fantastico nei racconti.

Insomma, ne La solitudine dello spazio troverete essenzialmente il laboratorio che ha prodotto i tre graphic novel con cui Walden si è fatta conoscere in Italia: Trottole, ma soprattutto Su un raggio di sole e Mi stai ascoltando? Gi ultimi due sono pubblicati da Bao Publishing, come lo è quest’ultimo.

E se tracce di Su un raggio di sole (e di Miyazaki) si trovano nelle due tavole create per un numero di “Fader” nel 2018, l’avventura dello Studio Ghibli si ritrova smaccatamente in Ghibli, tavola unica del 2001 che è anche una professione di fede.

McCay invece riempie di se fin nel profondo Slumberland, tavola del 2014 in cui l’autrice, a soli diciassette anni, realizza la sua biografia in perfetto “stile Nemo”.

L’influenza di McCay si manifesta con forza maggiore in Amo questa parte (2016) e soprattutto ne La fine dell’estate (2015), mentre Una città dentro (2016) è un buon tentativo di via personale fra le influenze dei due maestri.

Gli ultimi titoli che abbiamo citato compongono il terzetto di storie, più lunghe e composite, poste in apertura di volume.

Anch’esse vengono proposte in ordine cronologico dalla più vecchia alla più giovane, mettendo il lettore davanti al “come” Walden abbia acquisito sempre più dimestichezza nel gestire e mescolare il proprio mondo interiore, le perlustrazioni del fantastico e la vena autobiografica.

Se nelle storie brevi c’era già tutto e l’unica pecca stava nel fatto che necessariamente ci si fermasse all’essenziale, nelle tre che aprono La solitudine dello spazio il respiro narrativo acquista vigore e ci fa comprendere meglio l’evoluzione poi ammirata nei graphic novel.

Fa eccezione La fine dell’estate.

È un lavoro graficamente stupendo e al contempo criptico, che molto nega al lettore.

Certo, lascia quasi senza respiro per la ricchezza di dettagli architettonici sparsi nelle tavole, aperto omaggio all’universo onirico di McCay per il suo Little Nemo (guarda caso il gatto gigante che vi è immortalato si chiama proprio Nemo).

E colpisce anche per il ritmo, ricco di una sospensione pronta a evolvere in angoscia e a sfociare in dramma. 

Walden utilizza per le sue vignette un tratto sottile, quasi impalpabile, che a volte si “spezza” accentuando così proprio il senso di dramma con cui il lettore si confronta nelle oltre settanta tavole

Storia fantastica, La fine dell’estate racconta di una famiglia reale che viene sigillata – forse da sola, forse insieme al popolo su cui regna – in un immenso palazzo, non viene detto per quale ragione.

Una sorella, due fratelli, i genitori, un inserviente e il gigantesco gatto bianco Nemo. Voce narrante, il più grande dei figli maschi: Lars.

Quanto al mondo esterno, esso potrebbe filtrare dalle enormi vetrate che danno luce a saloni sconfinati o a stanze più raccolte. Ma sono vetrate che non mostrano mai cosa vi è fuori, se non l’arrivo di una nevicata senza fine.

All’interno del palazzo, i personaggi più giovani vivono drammi interiori, incomprensibili eppure carichi di pathos.

Alla fine non è una idea peregrina sentire che la tensione creata da Walden in questo racconto sconfina in una dimensione poetica dove ha peso altissimo quanto non è detto con parole, ma evocato dal disegno.

Come dice Bernard, in Walden «l’emozione non solo governa la sua memoria visiva, ma anche la sua narrazione».

Il risultato però mostra alcune criticità. Come una interiorizzazione troppo spinta o soluzioni narrative che lasciano aperte troppe vie interpretrative, per dire. Elementi che sviano il lettore, che gli impediscono di partecipare totalmente sul versante emotivo.

Qui la meraviglia architettonica appare non mescolarsi alla perfezione con le azioni dei personaggi, cosa che invece accade nei racconti successivi.

Eppure La fine dell’estate è la storia visivamente più vicina a Su un raggio di sole, almeno a livello grafico.

Quella è descritta dalla stessa Walden come una storia che «include molti gay, edifici antichi, creature mistiche, collegio e famiglia». Tutte cose dette in modo ben chiaro.

Questa le stesse tematiche pare sussurrarle bergmanianamente, chiedendo al lettore uno sforzo interpretativo senza offrire alcun appiglio.

Ecco perché La fine dell’estate, per il suo valore simbolico, per il suo portato metaforico così criptico, deve essere letto in ultimo pur apparendo in apertura di volume.

Sergio Rotino

Recensione al libro. La solitudine dello spazio di Tillie Walden, trad. Caterina Marietti, Bao Publishing 2022, pagg. 319, € 23,00

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