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Tommaso Avati. La ballata delle anime inutili

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Con la sua foto di copertina dove fantasmi danzano al vento in un cielo che da bianco diviene grigio, in La ballata delle anime inutili, l’ultimo romanzo di Tommaso Avati, crediamo di intuire già l’atmosfera del racconto, un’atmosfera soverchiata da plumbei colori che tutto sembrano sovrastare con la loro cupezza, in contrasto evidente con trasparenti entità che si muovono leggere sospinte dall’aria. Ma ecco l’incipit, la prima pagina che tutto trasforma, sapiente nel rimescolare l’idea formatasi sin qui nella mente del lettore, tanto che il fosco che può aver intuito, diviene altro, un diversissimo altro:

Le parole hanno i denti. A volte possono sorridere, a volte possono mordere e non significano mai quello che significano. Vento vuole dire mondo, e tante altre cose. Vento è pensare e ricordare. Te lo senti addosso senza sapere se c’è davvero e di quello che tocca porta dietro qualcosa. Muove i cerri del bosco, fischia nei camini dei mezzadri, si mischia ai pianti chiangiamurti e si infila tra le corna di una carcassa sui campi. Quando arriva qui non è più solo vento. È terra, fuoco e mondo. E io che me lo sento addosso sono terra, fuoco e mondo…”

Siamo nel 1939 in un paesino del Gargano, nella masseria di Vittorio Logreco. Qui i personaggi, del tutto sottomessi al capofamiglia, si muovono in esistenze che non hanno potuto scegliere. L’unica figlia femmina è la protagonista, la tredicenne Sofia, gli altri figli sono quattro maschi. Loro si sposano con donne che non conoscono ma scelte dal padre perché portano in dote degli appezzamenti di terra che dovranno poi coltivare per poter sopravvivere. La casa è quindi affollata di fratelli, cognate, nonni e nipoti, ed è impossibile avere intimità, spazi di vita propri. Le stanze da letto sono poche “tante quante le dita di una mano” ma tra di esse c’è anche una stanza bianchissima e inaccessibile: è la stanza del Santo dove tutti sanno che ci si va a dormire solo per fare figli.

Sofia si sente una persona inutile benché ami le parole e sia l’unica a saper scrivere: ma non è capace con i numeri e ciò le procura un senso di inferiorità. È piccola fisicamente e, soprattutto, rappresenta il disonore di essere nata femmina, tanto che il padre si è disperato alla sua nascita e non smette mai di chiamarla con disprezzo Vermitura – chiocciola, in dialetto calabrese.

Povertà e privazioni sono la quotidianità in questa famiglia che riesce a incarnare una moltitudine di comportamenti e stati d’animo umani generati e agiti dalla convivenza forzata di quattro generazioni – la prepotenza dell’uomo sulla donna, la depressione, l’autismo, la discalculia, l’infertilità; e ancora il tradimento, il lavoro, il lutto. E mentre tutto succede tra quelle mura, nella loro vita contadina vengono intrecciati proverbi e credenze popolari che colorano lo scorrere delle giornate, quali il concepire un figlio con la luna bugiarda sul verso opposto che farà nascere una persona di corporatura minuta, oppure il posare un pezzo di ferro nel pollaio tra la paglia della cova che porterà una donna alla sterilità.

Prendendo poi spunto da un accadimento storico accaduto in Puglia – quando nel paese di San Nicandro si insediò una comunità di ebrei convertiti guidati da Donato Manduzio – l’autore avviluppa le vicende di questa misera famiglia patriarcale fascista con il mondo ebraico perché, anche se a causa delle leggi in vigore è vietato il contatto con questo popolo, gli incontri tra ebrei e alcuni componenti della famiglia Logreco ci saranno e da quegli incontri si svilupperà l’ultima parte della narrazione, intensa e poetica.

Così come nel precedente romanzo, “Il silenzio del mondo”, anche in La ballata delle anime inutili percepiamo quanto per Tommaso Avati il ruolo del femminile nella società e ancor più all’interno della famiglia riesca a rappresentare una forza dirompente, superiore a quella del ruolo maschile. Che non viene disprezzato o sottovalutato ma che non riesce mai a integrarsi appieno con chi gli è accanto: o diviene prepotente e prevaricatore o è senza carattere e diviene insicuro. Difficilmente riesce ad avere un dialogo paritario e costruttivo nel proprio nucleo.

Inoltre, non sembra esserci dubbio sul fatto che l’autore riconosca nelle donne una forza primordiale istintiva da cui il mondo circostante si genera e che si manifesta come estensione del divino. La donna, qui Sofia ne è l’esempio vivido e significativo, si fa portavoce di una spiritualità profonda che è legame imprescindibile con la natura e con ciascun elemento in essa contenuta. Una sensibilità unica e speciale che le permette con estrema facilità di creare unità e solidità interiore attraendo a sé, con la sua generosa energia, anche chi gli è accanto per sostenerlo e amarlo.

Per questo lei dirà: “Ho sentito le cose senza sentirle, senza vederle, senza udirle, ho capito che io non sono io, ma un elemento, che sta nel mondo come le piante o gli alberi e le case e che quello che mi stava accadendo era esattamente quello che doveva accadere”.

Per questo, fluttuanti fantasmi grigi possono anelare a una nuova dimensione, creativa e consapevole. Una dimensione di stabilità e luminosità.

Chiara Gilardi

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Tommaso Avati, La ballata delle anime inutili, Neri Pozza, pp. 142.

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