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Un poeta al rogo. Giordano Bruno. Intervista a Donato Di Poce

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Un poeta al rogo. Giordano BrunoGiordano Bruno, celeberrimo filosofo e scrittore del 1500, condannato per eresia, arse sul rogo alzato a Roma in Campo de’ Fiori il 17 febbraio del 1600, l’anno del Giubileo. Varie le accuse contro di lui, dalla “pratica della divinazione e magia” al credere nella metempsicosi. Eresia a sfondo religioso ma anche a sfondo etico-filosofico.

Una parte specifica dell’opera di Giordano Bruno che si autodefinì “Accademico di nulla Accademia” e si distinse sempre per la propria spregiudicatezza intellettuale, viene in questo saggio dal titolo Un poeta al rogo (Eretica Edizioni 2021, pagg. 110, euro 15) ampiamente approfondita dal poeta e scrittore Donato Di Poce, attraverso il suo punto di vista di quarantennale appassionato Bruniano e di poesia (soprattutto civile-filosofica). Di Poce analizza nello specifico i testi poetici di Giordano Bruno contenuti nei Dialoghi filosofici italiani offrendo al lettore un accurato commento a riguardo e chiudendo poi il libro con un’analisi delle “vere eresie” di Giordano Bruno.

L’autore ci restituisce così dei tratti inediti di questa figura emblematica che ha inciso profondamente sulla cultura dell’epoca in cui visse e di quelle successive, ritenendo tra le altre cose che “l’amore fosse la più ampia forma di volontà” e dunque guida per l’intelletto e la ragione. Un poeta al rogo si propone di testimoniare come Bruno debba essere considerato precursore di una poesia nuova.

Scrive Di Poce nell’introduzione: “Quello che cercherò di testimoniare con questo saggio su Giordano Bruno, è che Giordano Bruno l’eretico, Bruno il paladino del libero pensiero, Bruno il condannato al rogo, era soprattutto colui che propose consapevolmente una filosofia nuova così come Galileo delineava una scienza nuova, ed era anche un insospettato scrittore di teatro, un precursore di un rinnovamento letterario e una poesia nuova, eretica, eroica, furiosa e cosmoteandrica.”

Silvia Castellani

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Donato Di PoceLa produzione di Giordano Bruno è sterminata e multidisciplinare. In questo libro hai concentrato le tue riflessioni sulla sua poesia, aspetto meno indagato di altri. Cosa è emerso dai tuoi studi a riguardo?

E’ emerso che Giordano Bruno è anche un Grande Poeta-filosofo, che padroneggiava il sonetto, che polemizzava con il Petrarchismo e che dialogava con Tansillo suo conterraneo e come ha sottolineato anche nella sua nota su Il Sole24ore il prof. Gino Ruozzi, con Dante, Lucrezio e Ariosto, che ha lasciato un segno sulla poesia filosofica di Campanella e persino sullo sperimentalismo di Pasolini, soprattutto della Divina Mimesis.

La sua scrittura ha un ritmo incalzante e l’inserzione di testi poetici nel tessuto dialogico, tende a scolpire parole e concetti, significati e idee. I virtuosismi lirici incalzano il lettore in una geometrica fermezza musicale e filosofica che non lascia scampo. La sua è una scrittura ossimorica, insieme desacralizzante e divinizzatrice.

Quali furono le influenze letterarie di Giordano Bruno e quali le sue “vere” eresie?

Direi che Giordano Bruno è un vero esempio di Intellettuale Umanista e Rinascimentale, poliedrico, curioso, libero e sperimentatore. Le sue vere eresie sono state quindi sia religiose che poetiche e civili.

1) Nega l’idealizzazione della figura di Cristo (Bruno si rivela Filosofo e Teologo Anticristiano prima ancora di Friedrich Wilhelm Nietzsche –l’Anticristo–).

2) Teorizza che “l’universo è eterno” e che esistono altri mondi escludendo l’idea di un Dio creatore.

3) Nega il concetto di “fede” (architrave di tutte le religioni). Bruno esce completamente dal cristianesimo e dalle gerarchie Accademiche ed Ecclesiastiche. E proprio questo gli fruttò il rogo dopo sette anni di processi dell’Inquisizione.

4) Non ha mai abiurato alle sue Idee (e questo nel tempo, lo ha reso martire del libero pensiero).

5) Vive il mito della metempsicosi (Sinonimo di reincarnazione).

6) Sperimenta una sorta di plurilinguismo e contaminazione di generi letterari (mettendo insieme, latino, italiano, versi e prosa filosofica).

Nella seconda parte del libro viene riportato un primo corpus poetico estrapolato dai dialoghi filosofici e dalle epistole proemiali (la Cena de le ceneri, il De la causa, principio et uno, il De l’infinito, universo e mondi, lo Spaccio della bestia trionfante, la Cabala del cavallo pegaseo, con l’aggiunta dell’asino cillenico). Cosa ci rivelano di Bruno circa la sua tecnica poetica e il suo sentire?

Ci rivelano soprattutto la sua padronanza tecnica del sonetto e la sua capacità di sperimentazione (inframmezzando ai dialoghi filosofici le poesie), cosa che influenzerà persino Pasolini in La Divina Mimesis. Poi dal punto di vista poetico, il suo afflato lirico, visionario di un sentire ultra-cosmico. E infine grandi doti di polemista.

Definisci la poesia di Giordano Bruno cosmoteandrica. Il termine cosmoteandrico è usato da Raimon Panikkar, filosofo, teologo, presbitero e scrittore spagnolo, guida spirituale del XX secolo, innovatore del pensiero e testimone del dialogo interculturale e dell’incontro tra le religioni. Quale l’implicazione di questo termine nella poesia Bruniana e quale la correlazione tra i due pensatori?

In opposizione alla poetica aristotelica e petrarchesca, la poesia si pone come pratica in grado di ricostruire la lingua degli dei e dell’infinito in perenne divenire. Il poeta allora, come il mago, è colui che sa utilizzare il linguaggio con il quale gli dei comunicano agli uomini, cioè il linguaggio dei sogni e delle visioni cosmoteandriche, in grado di penetrare i misteri del cosmo, e permette all’uomo di divinizzarsi.

I due pensatori hanno avuto il merito storico, uno (Bruno) di avere uno sguardo libero sull’uomo e Dio, l’altro (Panikkar), di aver aperto la strada al dialogo inter-religioso, entrambi direi con una visione libera, inclusiva ed espansiva tra Dio e l’Uomo.

Tra i temi affrontati da Bruno nei dialoghi italiani un posto di primo piano è occupato dalla verità, ritenuta bene supremo. Ce ne vorresti parlare?

Ti rispondo con le parole di Giordano Bruno: “La verità è la cosa più sincera, più divina di tutte… la quale né per violenza si toglie, né per antiquità si corrompe, né per occultazione si sminuisce, né per comunicazione si disperde: perché senso non la confonde, tempo non l’arruga, luogo non l’asconde, notte non l’interrompe, tenenbra non la vela; anzi, con essere più e più impugnata, più e più risuscita e cresce”. Spaccio de la bestia trionfante, II, 77. E per la quale non abiurerà mai scegliendo piuttosto la morte al rogo.

Nella sua gerarchia di valori il primo posto spetta alla verità, cui segue la prudenza, la caratteristica del saggio che, conosciuta la verità, ne trae le conseguenze con un comportamento adeguato. Poi Bruno inserisce la sofia, la ricerca della verità e dopo viene la legge, che disciplina il comportamento civile dell’uomo. Vengono poi la fortezza, la forza dell’animo, virtù interiore cui seguono virtù indirizzate agli altri, la filantropia e la magnanimità.

Nella terza parte del libro sono riportate le poesie da De gli Eroici Furori. L’opera, pubblicata a Londra nel 1585, è l’ultima dei dialoghi londinesi ed è forse dal punto di vista sia filosofico e poetico la più rappresentativa e ricca di inserti poetici “sonetti, articoli e stanze”, come Bruno chiama i suoi componimenti. Qui il filosofo espone la propria visione del rapporto fra uomo e conoscenza. Quale la tua critica a riguardo?

Al vitalismo cosmologico, Giordano aderisce con un vitalismo speculativo e poetico, affermando che la poesia deve essere opera inventiva e non imitativa. Bruno, riteneva che l’amore fosse la più ampia forma di volontà e dunque guida per l’intelletto e la ragione. Se la verità e la ragione erano per Bruno il fulcro di più ampia potenza nella natura umana, tuttavia riteneva che fosse la volontà a regolare la vita dell’uomo.

Secondo Bruno l’uomo “furioso” è eroico perché è innamorato della vita ma illuminato dalla conoscenza e dalla verità: “Non come inebriato da le tazze di Circe va cespitando ed urtando or in questo, or in quell’altro fosso, or a questo or a quell’altro scoglio; o come un Proteo vago or in questa, or in quell’altra faccia cangiandosi, giamai ritrova loco, modo, né materia di fermarsi e stabilirsi. Ma senza distemprar l’armonia vince e supera gli orrendi mostri […] e sotto l’imagini sensibili e cose materiali va comprendendo divini ordini e consegli.” [Furori, Parte prima, Dialogo terzo].

(Intervista a Donato Di Poce a cura di Silvia Castellani)

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