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Vincenza Alfano. La guerra non torna di notte

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Scegliere è un lusso che non appartiene a tutti. La libertà di scelta è una ricchezza, chi pensa il contrario è nato con la camicia oppure ha la pancia sempre piena. Decidere per se stessi, responsabilmente, equivale a garantirsi un patrimonio emotivo, identitario, che costruisce l’io. Non c’è nulla di banale, di ovvio, di scontato, in tutto questo. Per arrivare ad una simile risorsa si devono vincere battaglie solitarie, intime, e affrontare quella della vita. Cadere nel tranello dell’incapacità di non farcela, è un attimo. La paura c’è, guida l’istinto. Senza di essa non si scaverebbe nei tormenti che agitano le ore e ed ingarbugliano i pensieri. Per uscire dall’avvitamento di ansia, di insoddisfazione, di scoramento, occorre puntare in un riscatto personale. A qualcosa di importante per se stessi. Solo la libertà di scegliere chi essere e cosa fare rende la propria esistenza piena. Si può sbagliare, certo. Almeno, però, l’urgenza di essere radice, non vento per volere di altri, rende l’audacia un punto di forza. Il diritto di scegliere restituisce la speranza. Diventare la consistenza delle scelte e delle decisioni altrui significa sottomettersi alla loro volontà. Esiliarsi nell’immobilità delle idee, per garantirsi una sicurezza che passa dal lavoro di chi ti sta accanto, è un danno persino per la coscienza. Essere padroni di se stessi illumina la visione della vita grazie a quella libertà di scelta conquistata.

In La guerra non torna di notte di Vincenza Alfano per Solferino editore ( pagine 202) entri nella vita di Cenzina, cresciuta da uno zio ricco che le trova un buon partito da sposare. La giovane sarà moglie e madre nella Napoli borghese. In lei esiste l’inquietudine dell’abbandono, della paura. La madre l’aveva data allo zio per strapparla alla povertà, per permetterle l’agiatezza, allontanandola anche dell’affetto del fratello Gigino. Sacrificata dalla debolezza di vivere, per le troppe mancanze, Cenzina fa i conti con un dolore antico, attaccato ai ricordi. Le sue ferite sono sempre aperte, la guerra nell’estate del 1943 la porta ad avere coraggio ed a scegliere. I bombardamenti distruggono tutto, speranza compresa. La sua intrepidezza la porta alla libertà di scelta. Si riappropria del diritto che le spetta, anche quello di parlare. Affronta la guerra vivendone un’altra interiore, mai placata.

Il romanzo è una fucina di emozioni. La storia, ben scritta, si attacca alla pelle. Ti veste a nuovo portandoti alla riflessione. La narrazione, fluida e ammaliante, è costruita con una efficacia sorprendente. Al lettore arriva ogni cosa, anche il non detto e il respiro del riscatto.

Lucia Accoto

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