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Vittorio Punzo. L’età delle madri

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Questo libro ha una voce. Va detto subito.

Al netto della trama, della biografia del suo autore, del processo creativo che può esserci stato alla base della stesura, questo libro brilla di una voce nitida e limpidissima.

Da inizio anno ho avuto la fortuna di poter leggere e recensire una manciata di esordi pregevoli: nell’ultimo periodo, in particolare, le opere di Gaia Giovagnoli e Luca Tosi, la prima con un romanzo carico di suggestione ed esoterismo, il secondo con una storia romantica dalle tinte scanzonate, hanno portato una boccata d’aria fresca in un frangente dell’editoria accusato spesso di adagiarsi sui propri allori. Nelle opere appena citate infatti trama e fabula diventano il mero pretesto per imbastire un discorso narrativo più ampio, un tentativo di abbattere i dogmi polverosi per concentrarsi più sullo stile, sulla voce, appunto, dell’autore. Anche in questo L’età delle madri, esordio di Vittorio Punzo, classe ‘98, finalista alla XXXIV edizione del Premio Italo Calvino, ci troviamo alle prese con una storia che trascende i generi e scardina le impalcature della prosa, per lasciar spazio a una forte identità narrativa.

Il protagonista del romanzo ce lo dice nella prima riga del romanzo “Io mi chiamo Domenico, ho sedici anni e dimostrerò che non sono un ragazzino”. Una dichiarazione d’intenti che, a lettura conclusa, mi permetto di poter paragonare alla volontà stessa dell’autore: “non fatevi ingannare dalle apparenze: sono giovane, sono un esordiente, ma vi dimostrerò fin da subito di cosa sono capace”. Ed è proprio con questo spirito pionieristico che penso sia necessario approcciarsi a questo L’età delle madri. Abbandonare ogni preconcetto, lasciandoci trasportare completamente in un flusso prosaico che ammalia e stordisce nel suo scorrere implacabile tra le vite dei tre personaggi, un po’ come quando ci lasciamo cullare dall’ebbrezza dopo un tiro di sigaretta o un bicchiere di rosso a stomaco vuoto. Sigarette e bicchieri di vino che sono leitmotiv anche delle giornate dei tre personaggi principali, Domenico, Maria Vittoria e Anna. Il primo, protagonista sedicenne e voce narrante, fidanzato con Maria V. di cinque anni più grande, trascorre le giornate saltando la scuola, creando collage di immagini, fumando e contando il tempo che lo separa dalla sua ragazza. Maria V. scrive brevi poesie e sogna una vita all’estero, ha un carattere forte, introspettivo, a tratti spigoloso, un saliscendi emotivo che spesso la porta a chiudersi, specialmente nei confronti di sua madre. Sarà proprio l’incontro tra Domenico e la madre di Maria V., infatti, a complicare questo trittico di vite. Anna è una donna dal carattere spigliato, frivolo, le piace bere, fumare interi pacchetti di sigarette con le gambe accavallate sulla sedia fuori casa e lo sguardo al cielo. Domenico ne resta folgorato dal primo istante. C’è qualcosa in quella donna che in parte riflette e in parte respinge le stesse sfaccettature della figlia ma c’è anche un substrato di passato sconosciuto che ne rende ogni movenza, ogni racconto, ogni sfumatura dello sguardo, un mondo nuovo a ipnotico. La casa dove vivono le due donne diventa un luogo di scoperte e fascinazioni. Domenico vuole restare tutto il tempo possibile a parlare con Anna, c’è qualcosa nel passato di quella donna che si riflette anche nel suo presente, in quel suo modo di muoversi per casa, una malinconia velata di profumi che ne impregna gli oggetti rendendoli personaggi. La Kentia si lascia cullare dal vento che entra dalle finestre, la sedia sulla soglia è un invito a fermarsi in un tempo dilatato dove tre persone hanno deciso di condividere le proprie intimità ma per Maria V. non tutto è così facile. Quella madre che a volte gioca a fare la ragazzina e altre si sforza per trattenere le lacrime è una sorella di sangue dagli spigoli affilati. Il calore entra dal mare e la notte cala nelle stanze di un rifugio illuminato solo dalle pagliuzze delle sigarette. L’intimità di quell’estate sarà un passaggio necessario nella vita di Domenico. Maria V. e Anna sono due personalità tratteggiate per movenze e silenzi, a volte indistinguibili altre conflittuali. Stupisce in questo l’abilità dell’autore nel rendere così vivide e credibili le identità di tutti e tre i protagonisti. Domenico non è il classico sbarbatello dall’ormone impazzito ma un ragazzo sensibile, dall’occhio sveglio, capace di cogliere nell’inflessione di un pensiero o nell’incrinatura di una ruga, la voragine di una frattura imminente.

Vittorio Punzo è bravo nel raccontarci tutto attraverso le fisicità, le movenze, gli oggetti. Anche Pacifica, il paese immaginario in cui è ambientata la storia, si fa personaggio. I suoi colori e i suoi odori mutano e reagiscono quasi a voler assecondare gli stati d’animo dei personaggi, le sue strade si svuotano e si animano di cortei e fiaccolate come un immenso corpo i cui fluidi interiori mutano assecondando le vite dei suoi abitanti. Nulla è casuale e tutto è vittima di uno scorrere implacabile e imprevedibile che anestetizza i sensi attraverso una prosa fluida ma frammentata, dove i dialoghi si fondono ai pensieri e alle descrizioni, dando vita a un flusso di coscienza che strizza l’occhio alle atmosfere fumose di Antonioni e le spigolosità sensuali di Bertolucci.

L’età delle madri è una storia minimale che si muove per silenzi. Il racconto di un’estate di passaggio attraverso il punto di vista di un giovane che si trova all’improvviso calato nelle fragilità di un’esistenza nuova. Un romanzo dei sensi in cui la parola si fa materia circolare di un affresco complesso, sfaccettato, le cui tinte calde e malinconiche lasciano il giusto respiro a un confronto generazionale trattato con sensibilità e padronanza. E la parola scorre fino a quell’ultima immagine, intima e crepuscolare, che smuove i tendaggi silenziosi di una casa in cui il tempo si è cristallizzato nell’attesa di un nuovo preludio.

Questo libro ha una voce. Ascoltatela.

Stefano Bonazzi

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Vittorio Punzo

Alter Ego

Edicola Ediciones

16 euro

224 pagine

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