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Zadie Smith. La donna di Willesden

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Ogni uomo ha il suo ideale di donna. Il mio è Zadie Smith.

Di una bellezza esotica, con un viso che sembra un poema di Derek Walcott, ha una intelligenza e un talento per la scrittura talmente raro che uno si taglierebbe volentieri un dito pur di averlo.

Zadie Smith.

Da ragazzo lessi Denti Bianchi e ne rimasi folgorato. Un romanzo enorme che mi lasciò senza forze. Io e la Smith siamo quasi coetanei, ma mentre io stavo cercando di capire come scrivere, come cercare di mettere insieme dieci pagine che valesse la pena non bruciare nel camino, lei se ne usciva con un romanzo di cinquecentocinquanta pagine pubblicato in tutto il mondo.

Queste sono cose che possono scoraggiare un giovane autore che non ha pubblicato niente o spingerlo ad una condanna ancor peggiore: continuare.

Nel tempo ho seguito il lavoro di questa donna straordinaria con molta riverenza. Nei suoi racconti, come nella raccolta Grand Union, ad esempio, la sua lettura del reale, la sua capacità di dare risalto ad episodi apparentemente marginali della vita e farli risaltare, sfruttarli per innescare riflessioni spiazzanti, mi hanno ricordato il genio di Wallace, che aveva, come la Smith, questa stessa grande capacità.

Me li sono immaginati, David e Zadie, lungo la battigia di un mare calmo che combattevano all’arma bianca, con spade da samurai come Echavarne e Belano ne i Detective selvaggio di Roberto Bolano.

Un giorno poi, ho scoperto La donna di Willesden, edito da Mondadori e tradotto da Dario Diofebi.

Si tratta della prima opera teatrale della Smith, un tentativo di ripagare la sua comunità di riferimento, Brent e un autore, Chauser, che per la letteratura inglese ha tutto il peso che Boccaccio ha per la nostra.

La donna di Willesden narra la vicenda di Alvita, una donna caraibica che ha avuto cinque mariti.

Tutto avviene all’interno di un pub, come nel trecento de I racconti di Canterbury, tutto avveniva dentro le taverne.

Quando vivevo a Londra, chiesi ad un tizio perché in quella città i pub venivano utilizzati come piazze. Da noi, in Italia, la storia si è fatta nelle strade, all’aperto. Non siamo in grado di concepire adunate al chiuso se non nei racconti carbonari, dove c’era la necessità di nascondersi.

Mi risposero che in Inghilterra tutto avviene al chiuso dei pub per un motivo: fuori, in strada, nelle piazze, piove.

Zadie Smith, quindi, porta la sua Alvita e i suoi cinque mariti dentro un pub affollato. Alvita prende la parola e racconta. Uno alla volta i suoi mariti si palesano, sciorinano la loro versione, i loro rapporti spesso burrascosi con questa donna così particolare.

La donna di Willesden è il racconto di una donna molto forte, astuta, che ha dovuto fare i conti con le fatiche di essere indipendente.

È sempre uno scandalo, scrive la Smith, quando le donne dicono le cose che son di solito dette dagli uomini…

In questo caso si tratta di sesso, l’esplicita dichiarazione di Alvita di apprezzare questo aspetto dell’esistenza.

La cultura cristiana, cui appartiene, castra la sessualità femminile. Il ruolo della donna è ancora legato a modelli Chauceriani, per molti aspetti.

La virtù della castità, la fedeltà al marito, il ruolo di procreatrice.

Alvita si oppone a tutto questo con coraggiosa sfacciataggine facendosi esempio.

La donna di Willesden è una chicca per appassionati. Se non avete mai letto niente di Zadie Smith, il mio consiglio è di cominciare dai racconti e poi passare ai romanzi, ma se avete già letto altro, se ne apprezzate il valore, allora questo libro contribuirà ad arricchire la vostra collezione come una perla un po’ grezza che il mare è stato tanto generoso da regalarvi.

Pierangelo Consoli

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Zadie Smith, La donna di Willesden, Mondadori 2022, Pp. 120, Euro 17,50

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