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Daniele Mencarelli. Fame d’aria

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Ho sempre trovato deprecabili le divisioni binarie: bianco/nero; buono/cattivo; bello/brutto; arte/non arte…

Utile/inutile lo capisco. Capisco, ad esempio, che il cavatappi sia utile e che, al contrario, lo sturalavandino a pressione che ieri ho comprato dai cinesi sotto casa sia alquanto inutile. A meno che io non gli trovi una seconda utilità, ma ci vorrebbe del genio…

Se mi chiedeste, quindi: Fame d’aria, nuovo romanzo di Daniele Mencarelli, edito da Mondadori, è un libro bello o brutto?

Vi risponderei, infastidito, che non lo so.

Se, invece, volete sapere se è utile, vi direi certamente, utilissimo, senza dubbio.

Ci sono libri che sono un pugno nello stomaco, mentre Fame d’aria è un “mazziatone” in piena regola. Un cappottone di 180 pagine che quando avete finito vi lascia una faccia gonfia così.

Questa è la storia di Pietro Borzacchi e di suo figlio Jacopo. Jacopo è affetto da una forma molto grave di autismo che ha ridotto Pietro e Bianca sull’orlo del baratro economico e dello sfinimento fisico. La vecchia auto di Pietro, li abbandona in un paesino del Molise, in mezzo al nulla. Stavano cercando di raggiungere Bianca in Puglia, ma la frizione cede.

Oliviero è un meccanico in pensione. È venerdì, sta tornando a casa ma alla vista di Jacopo decide di aiutarli. In paese, Pietro e suo figlio, vanno ad alloggiare da Agata che gestisce una piccola pensione e un bar, dove lavora Gaia, che a Napoli faceva la psicologa e che adesso, per un motivo che scopriremo, ha deciso di tornare in paese a fare la cameriera.

Dentro questa storia semplice, si nascondono i misteri, piccoli e tragici, di una quotidianità estremamente faticosa.

Mencarelli, delle fatiche di Pietro non ci nasconde nulla, entra senza timore fin nei più piccoli e disgustosi particolari, e ha, soprattutto, il pregio, di non essere mai patetico, mai sentimentale.

Questa è una storia di lotta, di rabbia e di profonda ingiustizia. Pietro non ce la fa più, ha perso tutto, anche l’umanità. I suoi sono i movimenti di un condannato, che opera in maniera routinaria, meccanica.

Tutti noi ci arrabbiamo con i nostri figli, non è sempre facile e non è sempre bellissimo essere genitori. Ci sono dei momenti in cui ti viene voglia di scappare, di mollare tutto. Ti guarisce però un abbraccio, un bacino affettuoso, una parola, la parola: “papà”, pronunciata con tutto l’amoroso trasporto che solo un figlio felice può trasmettere.

Ci sono poi i progetti, la consapevolezza che, crescendo, sarà più autonomo, che tu potrai riacquistare il tuo spazio. Sono pensieri ricorrenti, che io riscontro in tutte le conversazioni fuori dalla scuola o a cena con gli amici dove non si parla d’altro che di figli.

Quando però hai un figlio gravemente disabile, cala il gelo. Nessuno parla di figli con te. Quando diventi un eroe, uno che si trascina la croce, quando diventi l’esempio tragico perché gli altri possano sentirsi fortunati, allora cambia tutto. Non esistono prospettive di alleggerimento, non esiste il conforto di un abbraccio, di una parola.

Questa è la vita di Pietro Borzacchi, questa la sua rabbia, le ferite che porta, il suo campo di concentramento interiore.

Fame d’aria è un esame di realtà, brutale ma necessario. È una terapia. La letteratura non deve sempre essere evasiva e consolante, ci sono i momenti, va bene anche quello, ma la prospettiva di un libro deve anche essere e forse soprattutto, quella di spalancare gli occhi al lettore, costringerlo ad aprirli un po’ in più perché nel suo orizzonte mentale entrino ancora più elementi, altri elementi. Il quadro, lo spettro umano, non è intero se tutte le volte eludiamo la sofferenza.

Quello che Daniele Mencarelli si assume nel suo momento di maggiore fulgore, consegnando alle stampe un romanzo così forte e opprimente, è un rischio, ma è un rischio di cui dovremmo essergli grati.

Pierangelo Consoli

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Fame d’aria, Daniele Mencarelli, 2022, Pp.180, euro 19

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