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Emanuele Viotti. La Via Romana agli Dei

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Ponderoso saggio che ci permette di assumere una conoscenza particolareggiata della gloria di Roma partendo dal presupposto delle divinità e dei riti che questa le hanno assicurato, La Via Romana agli Dei possiede il duplice pregio di essere uno scritto di natura squisitamente accademica (è proprio qui che l’autore, il giovane veronese Emanuele Viotti, dimostra la perizia metodologica assunta nel corso dei suoi studi universitari di Storia Antica e Archeologia Classica) e al contempo un lavoro specialmente indicato per i novizi, per coloro i quali, cioè, accostatisi da assai poco alla Religio Romanorum, necessitino almeno di una panoramica la più generale possibile (attenzione: generale, perlomeno qui, non ha affatto il significato di generalista!) sui punti salienti di una tematica per sua stessa natura dalle innumerevoli sfaccettature.

Non è ora mia intenzione fornire una descrizione strutturale del saggio in questione, soprattutto al fine di non togliere ad alcuno il piacere della conoscenza ma anche per non imporre l’ordine che io personalmente mi sono dato nella lettura di questo testo. Non posso però esimermi dal fare dei rapidi riferimenti a due (due dei tanti) che considero i valori aggiunti del libro di Viotti.

In primis, vista la natura ricostruzionista della Tradizione Romana (la Via Romana agli Dèi stessa, in quanto concetto, è da più parti definita “la continuazione e riproposizione moderna e contemporanea della religione romana e italica attraverso pratiche tratte o adattate dalla documentazione storica dell’antica Roma”), ritengo sia da plaudire caldamente l’attenzione posta da Emanuele alle fonti latine, vere e proprie linee guida del suo lavoro; certo dovuta alle sue indiscusse qualità di studioso, ma anche ad uno dei compiti precipui che con la stesura di questo testo s’è dato, ovverosia quello di depurare l’ “ambiente” dei culti avìti dalle incrostazioni di ogni genere (specialmente quelle di natura “gnostica e kremmerziana”, come lui stesso ha dichiarato al sottoscritto nel corso di una piacevole chiacchierata).

Il secondo valore aggiunto, poi, è direttamente collegato al primo, e consta di una puntuale panoramica su tutte le sigle associazionistico-culturali le quali si fanno (ma non sarebbe meglio usare il condizionale?) depositarie della romanità pura dal punto di vista cultuale. E però, molte di queste si scoprirà siano state infiltrate – nonostante la loro dichiarazione di purezza incorrotta – da dottrine le quali nulla hanno a che vedere coi concetti fondanti questa Tradizione, come quelli di Pax Deorum e Mos Maiorum (quand’anche traggano ispirazione da sodalizi intellettuali di indubbio valore, come il Gruppo di Ur, il quale ha contato tra i propri aderenti personaggi del calibro di Evola e Guido De Giorgio – di tutti, probabilmente, quello idealmente più vicino al concetto di Tradizione Romana nonché autore di un omonimo saggio -, Arturo Reghini, Massimo Scaligero e forse, sia pure sotterraneamente, il francese René Guénon).

Per flusso di coscienza, mi sovviene ora di dover rendere merito a un altro tratto della modalità operativa di Emanuele, e cioè quello che riguarda l’obbligatorio lavoro di spoliticizzazione di cui le tematiche trattate nel suo saggio abbisognano. Se infatti è consegnato ai libri di Storia il fatto della strettissima correlazione tra Religione e Stato nella patria Roma, quando si tratta di analizzare alcune ricadute politiche inerenti “la riproposizione moderna e contemporanea della religione romana”, ecco che il discorso che ne esce si fa un po’ più delicato. Chiunque abbia un minimo di contezza della tematica trattata credo si sia infatti imbattuto almeno una volta in riferimenti all’abbocco tra paganesimo (tra cui quello di impianto romano) e destra radicale. Questo certamente ha a che fare con la riconsiderazione del passato imperiale romano operata dal regime mussoliniano e con una (per quanto minima) importanza data, perlomeno agli inizi, ai risvolti religiosi di tale passato (ritengo essenziale, in tale direzione, la conoscenza della vicenda umana e professionale dell’archeologo e architetto veneziano Giacomo Boni, 1859 – 1925, che è però troppo densa di particolari perché possa venire qui riportata senza mancanze), risvolti che vennero completamente messi in disparte post-Patti Lateranensi con la Chiesa Cattolica (1929), relegando i “pagani” aderenti al Fascismo ad un ruolo più che di secondo addirittura di terzo piano, quando non estromessi direttamente da ogni importante ruolo che magari avevano fino ad allora ricoperto.

Sempre durante la piacevole discussione da me intrattenuta con Emanuele, egli, capitando proprio sul tema della politicizzazione della Tradizione avìta, semplicemente mi rispose che quell’ambiente che pretende di considerare i due risvolti – il politico in senso moderno/contemporaneo ed il religioso tradizionale – sotto il medesimo punto di vista, pullula non di fedeli alla Tradizione Romana bensì di neopagani, ossia di personaggi mossi da un anticristianesimo esclusivamente di natura ideologica, privo cioè di risvolti culturali e formativi, e conseguentemente “creatori in provetta” di religiosità anticristiane che non hanno rispondenza in tradizione alcuna, ma sono invece l’aberrante risultato di un mix innaturale, ove si trovano riferimenti indifferentemente alle religiosità pagane mediterranea e norrena, celtica e germanica senza alcuna soluzione di continuità!

Fa infine un immenso piacere trovare in Appendice al saggio in descrizione la precisa pragmatica dei principali riti, l’elenco delle divinità maggiori e minori del Pàntheon romano e l’analisi del calendario delle festività avìte. L’ennesima freccia che Emanuele può vantare al proprio arco, insieme a quella di avere ricoperto e tutt’ora ricoprire cariche sia amministrative che sacerdotali nel “suo mondo”: questione sublimatasi nel 2012, con la fondazione, da parte sua, di Ad Maiora Vertite, “una delle più importanti realtà al mondo nella divulgazione della Tradizione Romana”. Parla e scrive, quindi, con assoluta cognizione di causa: che l’indubbia sua sapienza sia stata ispirata dai Numi immortali?

Alberto De Marchi

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