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Francesca Michielin anteprima. Il cuore è un organo

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La musica non è mai leggera, la musica delle parole è come un dvd fatto suonare su un giradischi: suono distorto di ricordi mancati, di occasioni perdute, d’illusione (in)seguite: Francesca Michielin in questo suo debutto narrativo racconta i esseri umani  assolti dallo spartito del cuore, dissolti dalle luci di riflettori al led che deformano i visi, li nascondono dietro filtri emotivi che le parole, però, non conoscono. In questo “Il cuore è un organo” Francesca Michielin racconta due vite che si incontrano accomunate da quel dolore profondo che non ha voce se non il desiderio di scomparire, anima ravvisata da eterni ritorni al cuore dei ricordi, lame cadute da un cielo che di fronte alla sofferenza dimentichiamo essere stellato.

Un romanzo forte come l’amore, forte come il legame di un’amicizia che nasce come difesa da se stessi, come incontro con se stessi: una disamina dei sentimenti più umani, talmente umani da ricordarcene soltanto quando soffriamo. È un ascolto al cielo questo romanzo di nascondigli perduti, amori sfiorati, visi di angeli che dietro il proprio pallore celano la verità dell’esistenza.

Gian Paolo Serino

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Non è tanto l’essere se stessi. No, non è quella la reale difficoltà. È il fatto di dover essere sempre se stessi al proprio meglio. Il meglio di ciò che si può essere, fare e, soprattutto, dare. Quello sì che è difficile. Avere sempre uno sguardo sereno, la schiena dritta, il petto in fuori, le spalle rilassate, i capelli a posto, come se l’umidità fosse fantascienza, come se la perfezione fosse realmente di questo mondo, come se non fossi nata struccata, anzi, fossi nata pronta a un flash che possa nullificare i miei zigomi, il tutto incomprensibilmente scollegato da quella che è la realtà, una realtà complessa, una realtà, per l’appunto, piena di pieghe, di smagliature disegnate sulle gambe delle donne (e degli uomini) tanto quanto negli occhi di chi guarda e nelle parole di chi parla, nella difficoltà a capire che non possiamo essere in un modo solo, o in modi incasellati da qualcuno che non siamo, di fatto, noi. Questa insana ossessione per l’estetica chi l’ha decisa? C’è da chiedersi, tra l’altro, se l’estetica sia questa sul serio. Perché, personalmente, al termine “estetica” io ho sempre dato un valore un po’ più profondo.

«Kant guardava al bello come oggetto di piacere disinteressato. Vorrei riuscire a farlo io con te.» Riusciva sempre a cogliermi alla sprovvista quando si riferiva a me, mai abituata a ricevere complimenti sinceri. Disinteressati. Non voleva niente da me. Eppure sapeva spiazzarmi. Non mi sono mai sentita bella. Con lei riuscivo, per qualche istante, a non disprezzarmi.  «Il sublime è lo spettacolo grandioso e timoroso della natura» ripeteva, portandomi nei suoi luoghi verdi, tra i boschi della sua infanzia. C’era questa collina dietro casa sua con una badia in cima, che se ci arrivavi potevi vedere la valle che sta alle spalle di Valnadia, in cui passa un fiume che per lei portava via tutte le sue inquietudini. «Da sempre mi è faticoso far scorrere le cose. Lo so che dirai che da me non te lo aspetti, ma è così. Credo davvero che tutto debba fluire, ma è più facile se si tratta di cose fuori da se stessi: sono i nostri pensieri che, invece, tendono a stagnare. Tu pensi che sia possibile perdonarsi?» mi aveva chiesto un giorno, senza guardarmi. «Credo di sì» le avevo risposto. Poi, un breve frammento di silenzio, solo lo scorrere dell’acqua e nient’altro. «A cosa ti riferisci, Anna?» Non aveva risposto ma si era girata, i suoi occhi chiari come uno specchio d’acqua nei miei occhi. «Sono nata lungo un fiume. Forse per ricordarmi che è giusto proseguire, scorrere, procedere. E a volte vorrei andarmene, tutto qui.»

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