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Jan Brokken. Anime baltiche

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Delle repubbliche Baltiche tutto quel che sapevo era frutto dei miei studi precedenti, liceo, università, geografia politica, storia dei trattati: tre nazioni al nord della nostra Europa, strette tra Polonia e Russia, vicinanza che avrebbe determinato tutte le loro vicende come succede ed è successo ad Armenia e Kurdistan, a tutte le piccole nazioni schiacciate tra vicini prepotenti e più forti, smaniosi di espansioni territoriali. Mentre mi dedicavo a ricerche sulla vita di Giacomo Casanova venivo a conoscenza di un luogo chiamato Curlandia, facente parte di queste terre lontane (oggi una delle quattro regioni della Lettonia). Non poteva sfuggirmi una lettera che dall’esilio di Dux, in Boemia, negli ultimi anni della sua vita, forse il 1788, questi scriveva alla moglie del Margravio di Curlandia per ringraziarla di un dono e per declinare l’invito a raggiungerla. Diceva più o meno: “Alla nascita stipuliamo un patto con la nostra vita accettandone la fine. Trovandomi io in prossimità di questo traguardo se vi incontrassi mi sarebbe insopportabile il pensiero di perdervi insieme alla mia vita. Lasciate che mi diriga serenamente al destino finale!”. Cito a memoria, nessun complimento è pari a queste parole nel rimpianto della bellezza, dell’amore che non si avrà, della vita che finisce.

Naturalmente la Curlandia diventa per me un luogo d’attenzione, e tanto più quando apprendo che la moglie di Tomasi di Lampedusa, il gattopardo, proveniva da un’antica famiglia di queste lontane province, di cui poi mi parla diffusamente la lituana Anna Esterovich, che mi racconta la distruzione della biblioteca ebraica di Vilnius, forse la più importante del mondo, a opera dei nazisti, sempre presenti quando torna alla memoria qualcosa di orrendo.

Questa premessa per spiegare la bramosia con cui ho iniziato e finito la lettura di Anime baltiche di Jan Brokken. Di Brokken seguo tutto quel che ha scritto: Bagliori a San Pietroburgo, Il giardino dei cosacchi, Nella casa del pianista. Perché sono ansiosa di vite passate, niente mi affascina come una biografia: la vita, ogni vita è il vero grande impareggiabile romanzo. L’autore ha la capacità medianica di risalire il corso di queste vicende umane restituendocele nella loro pienezza; e forse pochi paesi al mondo sono pieni di storie come queste tre piccole repubbliche baltiche che hanno dovuto cambiare padroni troppe volte, restando però sempre fedeli a se stesse.

Brokken inizia il suo viaggio e raggiunge l’Estonia via mare, su una nave che dovrebbe trasportare sale; a un doganiere che lo interroga su quel che fa a bordo di una barca così poco accogliente risponde di voler vedere il Mar Baltico, la sua luce «speciale. Morbida e calda. In autunno si infiamma». Così apprendono che è scrittore catalogandolo immediatamente tra i pazzi.

Il primo impatto con l’Estonia, Pärnu, gli mostra casa dipinte di fresco, parchi, ragazze con le gambe lunghe e il naso all’insù, un taxista lo accompagna nel luogo simbolo del paese, la casa di Jakobson. Questa proprietà antica gli racconta di un grande proprietario terriero che si preoccupa dei contadini poveri, che promuove riforme agrarie, che fonda un giornale. Muore nel 1882. I ragazzi che ora si occupano della proprietà diventata Fondazione ne parlano come di un padre. «L’Estonia indipendente è iniziata da Lui». L’indipendenza, l’aspirazione alla libertà, all’autonomia culturale, alla conservazione delle proprie radici caratterizza la storia di queste terre perennemente contese tra Russia, Germania e Polonia, perennemente invase ma mai piegate. Cito la casa di Jakobson perché la cultura è, insieme all’affermazione della propria storia e autonomia, la forza portante di queste popolazioni.

In gran parte di origine ebraica, qui rifugiati dal 1600 in avanti, in seguito ai pogrom in Russia, Germania, Romania e Polonia che di tempo in tempo distruggevano i villaggi, massacravano, costringevano a fughe dolorose, gli ebrei di Vilnius hanno costituito una parte attiva della popolazione, hanno tipografie, biblioteche, una grande sinagoga, sono scienziati, scrittori, musicisti, imprenditori ma anche conciatori di pelli. Si calcola che fossero circa 600.000, spazzati via dalla furia nazista.

Tra il 1941 e il 1943 furono selezionati e, a piedi in fila per due, raggiunsero il campo di sterminio di Paneriai. Qui le SS fucilarono prima gli uomini, poi le donne e i bambini. Alcuni vennero risparmiati, servivano, furono utilizzati nelle fabbriche e nelle concerie. Vennero poi deportati nei campi di lavoro. Sul finire della guerra, quando il destino del Reich era segnato, in un’ultima orgia di infamia i sopravvissuti furono bruciati vivi dai nazisti in fuga.

Ma da quest’orrore sopravvivono e vanno nel mondo uomini e donne straordinari che lasceranno un segno nella storia contemporanea. Penso a Hannah Arendt, a Mark Rothko che si chiamava Rothkowitz, a Chaïm Soutine, a Chaim Jacob Lipchitz, a Roman Kacev che si chiamerà Romain Gary. Ho conosciuto Gary a Parigi negli anni ’70, adesso leggo la sua lunga e travagliata storia di esule perenne, infine anche da se stesso. Roman nasce nel 1914 a Vilnius, in quegli anni frequentata Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, da Iosif Brodskij. Dice l’autore: «Per due secoli Vilnius fu la città più ebraica, ma certamente la più russa al confine occidentale dell’impero degli zar».

Ma non soltanto ebrei, sempre però nativi di quelle terre sulle quali la furia devastatrice della guerra e poi la folle ripartizione dei trattati di Jalta hanno lasciato cicatrici profonde. Dalla Lettonia, da Riga, sono venuti Gidon Kremer e Michail Baryšnikov che il destino avvicina quando Gidon suona per i ballerini della scuola di danza. Hanno entrambi storie difficili e infanzie negate, troveranno nella loro vocazione il riscatto e, forse, qualcosa di simile alla felicità.

In Lituania, in un villaggio chiamato Druskininkai, nasce Chaim Jacob Lipchitz e si trasferisce a tre anni Mikalojus Konstantinas Čiurlionis, nato a Varena. I due vivono per sei anni a sedici metri di distanza, incredibile in un luogo così sperduto, chiuso tra boschi, una tale concentrazione di geni. All’Accademia di disegno di Vilnius, Lipchitz incontra Chaim Sutin, diventato poi Soutine a Parigi, che aveva potuto iscriversi all’accademia grazie ai venticinque rubli avuti a risarcimento di un pestaggio: aveva infatti tentato di ritrarre il rabbino del suo paese. A botte gli avevano ricordato che a un ebreo è vietato ritrarre le persone. Čiurlionis opererà una grande influenza su Soutine. Nel 2004, una straordinaria mostra a Palazzo Reale a Milano, voluta dalla Fondazione Mazzotta, rende omaggio al maestro lituano, che fu teosofo e musicista. Ho visitato i suoi angeli e demoni visionari, presa dalla bellezza di questi dipinti, colpita dall’assonanza voluta tra pittura e musica. Čiurlionis non era molto conosciuto in Occidente, ma già Vasilij Kandinskij e lo stesso Igor Stravinskij l’avevano voluto incontrare. La sua morte precoce gli impedì di continuare la sua ascesa.

In Lettonia nasce Markus Rothkowitz, che in America diventerà Mark Rothko. A sedici anni aveva scritto: «Il cielo è come un lume nella nebbia. Alla fine di una lunga strada buia». Come se avesse intuito la ricerca che è alla base della sua pittura.

In Estonia, a Rakvere, nasce Arvo Pärt, il compositore di musica spirituale più noto al mondo.

Nel tentativo di parlare di un libro così bello, e scriverne, si corre il rischio di redigere elenchi, perdendo il senso biografico del lungo racconto di Brokken. D’altronde è forte la tentazione di ricordare che in Lettonia, a Riga, è nato Sergej Ėjzenštejn, che il padre Michail concepiva le facciate più immaginifiche della Strēlnieku iela, che la famiglia dei librai Roze racconta una storia di forza morale contro tutte le persecuzioni… La costante della vita di tutti i personaggi descritti, e di tanti non riesco neppure a citare il nome, è la solida struttura morale, la cultura familiare, la forza della tradizione insegnata insieme agli imperativi di una religione vissuta. Uomini, donne, ragazzi che hanno affrontato l’inimmaginabile, che hanno avuto le case e i villaggi distrutti, che sono stati deportati, che sono sfuggiti per un miracolo alla morte e che nella cultura trovano la chiave per sopravvivere, per uscire dalle vicende personali e diventare esempi universali. Brokken ha scritto un libro indimenticabile.

Carla Tolomeo Vigorelli

Recensione al libro Anime baltiche di Jan Brokken, Iperborea, traduzione di Claudia Cozzi e Claudia Di Palermo, 2014, pagg. 480, euro 19,50.

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