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La sindrome di Raebenson. Intervista a Giuseppe Quaranta

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Questa settimana per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction incontriano Giuseppe Quaranta, medico psichiatra, al suo esordio in narrativa con “La sindrome di Raebenson”, romanzo finalista al Premio Premio Italo Calvino 2023, e pubblicato da Blu Atlantide l’8 novembre scorso.

 Un esordio come non ne leggevamo da tempo noi Lettori. Giuseppe, ci vuoi raccontare il tuo percorso nel mondo della scrittura, quale è stata la prima immagine che ha innescato la narrazione di questo tuo romanzo, colto e raffinato, e se ci dici anche come sei arrivato alla casa editrice Atlantide?

Ti ringrazio per i complimenti. Devo dire che ho sempre saputo, in maniera un po’ intima e segreta, di avere un destino “letterario”, non sapevo ecco che sarei approdato alla scrittura, ero e sono un semplice e appassionato lettore. La vicinanza fisica con i libri per me è necessaria. Il testo è stato scritto in tappe successive, tendo a vederlo come un oggetto archeologico, potrei paragonarlo a un palinsesto, ed è nato a partire da un’immagine, quella di due gemelli. Nella storia dell’umanità, soprattutto nel mito, quando compaiono i gemelli sono spesso il simbolo di qualcosa di difficile collocazione, di profonda ambivalenza interpretativa, da qui l’idea di una sindrome che nessuna sa come spiegare o cogliere, che mette in moto poi tutta l’indagine. Attraverso alcune tappe, che hanno visto l’approdo a Crudo, uno studio editoriale fondato da Michele Vaccari, e il primo editing con Nicola Feninno, sono arrivato alla mia agenzia, la Piccola Agenzia Letteraria (PAL) di Melissa Panarello, che mi ha proposto ad Atlantide. Nel mezzo c’è stata la finale al Premio Calvino.

 Il romanzo ha per protagonista uno psichiatra, e ci muoviamo, quindi, in un territorio a te molto congeniale con una indagine clinica che si trasforma in ricerca identitaria. Ci vuoi portare tra le pagine del romanzo e dettagliare la storia e i personaggi con le loro malattie ecossessioni, che lo animano?


Il libro segue le vicende che accadono ad Antonio Deltito, uno psichiatra che inizia a presentare i segni e i sintomi di una strana malattia mentale, il cui declino si rivelerà presto inarrestabile. Antonio Deltito confessa nel corso di alcuni ricoveri di sapere più di tutti da cosa è afflitto, ossia la sindrome di Ræbenson, una malattia che però non compare nella letteratura medico-scientifica, e di cui se ne occupa, a suo dire, una specie di confraternita segreta. Il narratore, collega e amico di Deltito, segue il filo di questa follia per stabilire se si tratta di un delirio o se in questa costruzione vi sia qualcosa di vero, un dilemma che lo accompagnerà per gran parte della narrazione. È una patologia angosciante, che snatura l’identità degli individui in cui si manifesta, scompagina le loro coscienze, chi ne soffre cerca la morte con insistenza, ma è proprio la morte ciò che sfugge: la sindrome infatti sembra condannare all’immortalità.

 Un esordio visionario e dal fascino europeo e novecentesco, abbiamo visto, che abbraccia un’umanità varia e dolente. Ti va di portarci nel dietro le quinte della lavorazione e raccontarci anche gli autori e i libri che sono stati il tuo riferimento nella stesura del romanzo?

Amo tanto gli autori e le autrici che, come disse Momigliano di D’Annunzio, hanno il difetto di scrivere solo pagine da antologia, sia quelli che invece sono più attenti alle strutture formali, ai personaggi, all’immagine che lasciano. Per “Ræbenson” sento di essere stato influenzato dalla lettura di “la vera vita di Sebastian Knight” di Nabokov. Molti autori romantici e “maledetti”, da De Quincey a Poe. Tra gli italiani Savinio, Bassani, Moravia, Ortese. Un poeta che amo molto è Robert Frost. Mi piace leggere critica letteraria, però critici letterari un po’ strampalati, capaci di inventare e vedere cose che spesso non esistono nei libri che leggono. Sono un divoratore di letteratura scientifica, non solo contemporanea, nei più diversi campi. Non potrei scrivere senza questi autori, la lista è lunga, ne cito uno: Stephen Jay Gould.

Buona Lettura, dunque, de La Sindrome di Ræbenson di Giuseppe Quaranta.

Antonello Saiz 

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