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La tramontanza. Intervista ad Adriano Engelbrecht

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Questa settimana per Le Tre Domande del Libraio su Satisfiction incontriamo la poesia attraverso “la tramontanza” di Adriano Engelbrecht, libro uscito da poche settimane per Diabasis Edizioni nella Collana Poesia. In questa nuova raccolta il poeta affronta tematiche profondissime con grande lirismo e una sensibilità palpabile: le parole si fanno verso e melodia con naturale musicalità e originalità, senza mai trascurare riflessioni e riferimenti filosofici.

Prima di tutto, Adriano, cos’è per te la Poesia, quando è avvenuta la sua scoperta e soprattutto ci spieghi nel dettaglio come è nata l’idea de ” la tramontanza”?

Premesso che non esiste sicuramente una risposta univoca alla domanda “cosa è la poesia”, posso rispondere cosa è la poesia per me in questo momento del mio percorso artistico, dopo un’esperienza più che trentennale in questo ambito.
La poesia è scaturigine, è irruzione al mondo, è l’emergere da l’oscuro e il suo stesso dissiparsi, perpetuo, ciclico. La poesia è respiro, canto, parola vivente, parola corpo, parola che si dice, parola che si ascolta. In questa accezione è per me un atto fisico, in moto, vibrante e dunque ri-sonante. Il suo manifestarsi, rendersi udibile, o il suo scriversi, è una sosta, un fermo temporaneo che si attua, si cristallizza, per poi riprendere la sua erranza, il suo cammino, nel suo mistero.
Non ho mai relegato la parola poetica al solo atto intimistico della lettura: per quanto fondamentale sia questo passaggio, ritengo di necessaria importanza l’ascolto dei versi, il loro sentirli e, di conseguenza, dirli, cantarli. Senz’altro tutto questo rimanda al mio percorso personale di formazione, ovvero quello musicale: diplomato in violino al Conservatorio di Parma, la musica ha sempre occupato un ruolo fondamentale nel mio processo di creazione e scrittura poetica. Sono quelli gli anni di incontro e scoperta con gli straordinari frammenti dei lirici greci. Il cammino nel solco della poesia inizia dunque insieme ad un violino, ad un pianoforte, alla composizione musicale. E queste origini si ritrovano ne “la tramontanza”, una silloge in cui questi elementi riemergono in maniera evidente, sia tematicamente, ma soprattutto in termini strutturali, formali, di scrittura. Una raccolta che percorre gli ultimi tre anni di cammino poetico, dopo la presentazione, nel 2018, della plaquette “Di_versi assenti. Un requiem”. Per la prima volta queste poesie non nascono, rispetto all’intera mia produzione precedente, come versi per il teatro, e dunque per la loro “rappresentazione” o “esecuzione”. Li penso piuttosto, da un punto di vista fonico, come dei soliloqui, un ritorno a sé della propria voce.

Un passaggio continuo tra l’Io e il mondo in questi versi. Entrando nel vivo delle pagine della raccolta ci racconti come prende forma la parola poetica nelle singole liriche e ci soffermiamo, pure, sulla scelta formale che ha permesso di poter trarre il massimo dall’utilizzo della lingua?

 “la tramotanza” è davvero un incontro dell’io con il mondo ma attraverso l’ascolto e lo sguardo dello stesso;  un verso della raccolta dice “far cantare l’appartato circostante”: ecco, non tanto l’invisibile, ma ciò che semplicemente non si rende sempre manifestamente visibile ai nostri occhi. O udibile. Nel frastuono dell’odierno, nell’abitudinarietà di un inquinamento acustico che ci sovrasta, bisogna acuminare l’orecchio e percepire ciò che molto spesso è sommerso, nascosto o distrattamente sfuggito. “Ho nella calibratura dello sguardo/lo stupore di canti inviolati” è un verso che sposta di nuovo l’attenzione e l’attenzione sulla centralità d’esercizio dello sguardo, sulla misura e sul peso di ciò che ci è intorno.
Le parole nascono, si con-formano alla
necessità di dire, il più autenticamente possibile, ad uno stato fisico/emotivo che il poeta intende esprimere: così le parole “suss’urlano”, oppure “s’accucciolano, latrano” o semplicemente “s’incriptano”.
E poi lo spazio bianco. Gli spazi, i vuoti tra le parole, tra i versi che inseguono una loro misteriosa metrica: sono pause, spazi temporali, misurati, esattamente come nella scrittura musicale. Importanti tanto quanto le parole dette. Al rigore formale corrisponde l’esattezza del dire, la misura di ciò che si dice. Anche quando le parole si flettono, si plasmano, si ri-costruiscono e ri-nascono in nuovi possibili significati. O semplicemente sono. Ontologicamente. Senza la pretesa di dover necessariamente comunicare o spiegare. E tutto ciò riporta al magistero di Amelia Rosselli, che – insieme a pochi altri – è stata una figura di riferimento nel mio percorso (oltre ad essere, secondo il mio punto di vista, la poetessa italiana più importante del secolo scorso).

Adriano, il mercato della poesia è da decenni sempre più complicato e con numeri bassi. I dati sono implacabili: su dieci libri di poesia, sette tornano ai magazzini degli editori senza aver venduto; i grandi poeti di oggi e le collane più prestigiose raccolgono numeri sempre più esigui. Nell’era in cui spopolano influencer e guru, a stento resistono i classici. Il rapporto tra poesia ed editoria si fa sempre più controverso. Dal tuo osservatorio personale di poeta, ma anche musicista e attore, ti va di farci capire meglio che tempi sono questi per la poesia e se possono contare e avere una funzione importante le performance dal vivo, sui social o a teatro?

 In realtà trovo che la poesia in questo momento sia vivissima, articolata e veicolata in molteplici direzioni. Vero è che non si può negare l’esiguità dei lettori rispetto ad altri generi letterari, ma un rinnovato interesse per il “verso” è evidente. Numerose sono le iniziative proposte in ambito locale e nazionale.
L’utilizzo dei social ha reso quantomeno visibile questo movimento. Molto variegato il panorama editoriale che propone poesia, e anche in termini qualitativi alti. Il post pandemia ha riavviato, in presenza, i festival, le rassegne, i premi, le occasioni di presentazione e conversazione. L’informazione sulla novità o sulla promozione poetica passa attraverso la rete in maniera massiccia. A volte, ritengo, anche in modo dispersivo. Personalmente prediligo sempre il momento “dal vivo”. Tutti i libri che ho pubblicato, dal lontano “Dittico Gotico” del 1993, attraverso “Lungo la vertebrata costa del cuore” (2003) e “La piscina probatica” (2009) sono stati “rappresentati/eseguiti” in teatro con la messa in atto di Azioni Poetiche. Oppure attraverso forme d’arte differenti: mostre, esposizioni o concerti o “install’azioni” (come amo definire questa possibilità “plastica” di intendere la poesia). E comunque sempre in una dimensione pubblica e di ascolto, partecipata, condivisa. Direi, un punto di vista privilegiato. Lo spazio del Teatro, dell’Azione, e soprattutto il luogo dove la collettività può fruire del “gesto creativo” sono ancora importanti. Anzi, irrinunciabili.

Buona Lettura della racconta di poesie di Adriano Engelbrecht, la tramontanza.

Antonello

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