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Matteo Porru anteprima. Il dolore crea l’inverno

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Matteo Porru, già vincitore del premio Campiello Giovani nel 2019, con Il dolore crea l’inverno (Garzanti, 2023, pp. 160, € 16,00), in libreria dal 14 febbraio 2023, ci propone un romanzo profondo e visionario dove i protagonisti sono la neve e i sentimenti.

In un luogo sperduto dove nevica sempre e ogni parola “è una voce del verbo soccombere”, un uomo porta avanti l’attività di famiglia e guida lo spartineve. La neve copre tutte le cose e le fa dimenticare ma chi la spazza via le riporta alla luce. In quel piccolo mondo, all’improvviso, arrivano degli stranieri e la neve restituisce alcune cose con le quali fare i conti.

È un libro che parla del coraggio di ricordare e del passato che, bello o brutto che sia, torna a trovarci inatteso. I personaggi sono vivi, anche nei loro silenzi e i loro rapporti non sono mai scontati. Si parla della famiglia, dell’apparenza e della sua essenza, dei suoi valori, dei suoi errori e della sua forza. È la storia di un mondo glaciale e senza colori, dove ogni affetto deve lottare per non farsi coprire dalla neve. Un mondo dove la cruda verità, seppure dolorosa, può guarirti e farti crescere. Un bel libro di un grande scrittore, che parla di un mondo di uomini freddi e isolati, dove solo l’amore fa smettere di nevicare.

Carlo Tortarolo

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La vita gli è nevicata tutta addosso. Un giorno sono arrivate le nuvole e ha iniziato a cadere, cadere, cadere.

Da quel giorno, lui non ricorda il colore del cielo, la sua pace, le sue ombre. Si è arreso al freddo e ha imparato a lasciarsi cadere, come fa da tempo il bianco del mondo. L’ha fatto perché non aveva più scelta, perché ogni cosa ha iniziato a crollare, a scomparire. Tiene stretto il cappotto e gli fa male tutto.

Vorrebbe urlare, invece piange.

In tasca ha una manciata di copechi e due, forse tre certezze in cui, ormai, non crede più. Il suo corpo sembra già un cadavere. La

Foto: Chiara Pasqualini

galaverna gli avvolge la pelle come uno strato di cellofan traslucido, gli fa risaltare le rughe, le piaghe. Ha un viso opaco, quasi sbiadito, quanto basta per renderlo nessuno e, allo stesso tempo, chiunque. Respira piano e l’aria che gli svuota il torace si condensa e odora di alcol, di saliva. Gli occhi, spenti e secchi, hanno dentro il mare e neanche il battito delle palpebre riesce a incresparlo, non più.

Guarda il vuoto. Non è vivo, ma nemmeno morto, non ancora, non del tutto.

Il freddo gli divora la polpa dei pensieri e mangia i momenti, le idee. I segreti, i rimorsi, tutti i sogni vanno in necrosi e ciò che rimane è una polvere incolore ed eterna. Qualcuno pensa sia l’anima. Altri, cenere.

Il freddo ustiona la pelle e congela i ricordi: li svuota e li rende opachi, indistinguibili, come i suoi: sono tutti incrinati, impuri, una massa di vita trascorsa segnata da una crepa lunga e profonda, un tratto continuo di vuoto e di oblio. I volti diventano facce, gli abbracci contatti, l’essenziale un dettaglio. Tutto si sterilizza e diventa vano, come non avesse più volume né potenza. È così che finisce un mondo, quando il tempo si indurisce e il buio mastica i colori, tutti insieme, per annullare il bello, e nemmeno la notte vuole cedere al freddo, e sia il bene sia il male perdono di senso. E rimbomba un rumore lontano, di pianti e risate, di amore e di sangue, di ghiaccio e di sogni: è la vita che urla «aspetta», è la vita che dice «addio».

A quell’uomo manca il tempo di arrendersi, e sa di averne perso troppo cercando di dirsi qualcosa, di farsi coraggio. E continua a piangere, perché per sfogarsi non gli hanno mai insegnato altro e stillare il dolore è l’unica cosa che riesce a fare. Pensa agli sbagli, al bere, alla fame. Le cose che ha fatto non le ricorda, quelle che ha perso gli vengono incontro. Il silenzio gli fa paura. Non ha più niente, eppure non se ne accorge davvero, forse fa finta e se lo ripete.

Dicono che abbia iniziato a vagabondare fra i ghiacci, come se potesse riuscire a ritrovarsi, nell’inverno che ha in testa. Ogni volta che si scava dentro perde un pezzo di sé e non riesce a fermare l’emorragia. La foschia lo circonda e gli manca l’aria. Gli rimangono i copechi e la neve fra le dita.

Era immortale. Ma è morto cercandosi”.

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