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Mauro Marcialis. Roma calibro zero

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Premessa sincera: non conoscevo Marcialis. E non perché lui non meritasse di essere conosciuto (ha già all’attivo varie pubblicazioni prestigiose con Mondadori e Rizzoli), ma evidentemente ero io a non meritare lui. Il tempo per leggere è sempre poco e spesso è speso male, dietro a titoli da cassetta che non dovrebbero giustificare neanche l’usura dei polpastrelli.

Non è questo il caso e vi spiego il perché.

GONG

Round 1-12 (Round unico)

Roma calibro zero

Una soffiata, un capannone, tre tossici.

Un commissario, il suo vice, il cadavere di una ragazza.

Un pestaggio senza regole e svariati destini che cambiano, in pochi minuti.

La storia inizia così, senza neanche un buongiorno, un lieve toc toc sulla porta, un notiziario sul traffico o sul meteo, una descrizione paesaggistica.

Marcialis inizia a colpire. Duro, forte, senza tregua. Resto immediatamente travolto dalla sua potenza narrativa, come il peggiore degli sparring partner.

Ma da buon lettore mi armo di pazienza. Incasso, resisto e vado avanti.

L’autore mette in mostra un linguaggio triviale e scostumato, osceno oserei dire, che si adagia al contesto in cui è ambientato, come la Nutella sul pane.

I periodi sono brevi, concisi, scheletrici. Niente fronzoli o formalismi inutili.

Nuocerebbero al ritmo, che è e deve restare incalzante.

Aspetto il GONG per riposare, ma non arriva. Ho già capito che sarà un prendere botte spietato e tra l’altro, tutta na’ tirata. Il romanzo andrà avanti su questa linea, senza possibilità di vincere e senza desiderio di fuga.

Vorrà dire che ne uscirò felicemente sconfitto.

Marcialis racconta la realtà romanzata. Le verità della Roma odierna. Una città così tanto (troppo?) narrata, spiegata, cantata, da non aver più nulla da dire.

Di Roma si sa tutto: presente, passato e forse anche futuro.

Eppure ancora nessuno sembra averci capito niente, di questa vampira senza morte.

Ha ancora la forza di meravigliarci. E noi qui a chiederci come sia possibile coniugare l’estrema bellezza con altrettanto schifo.

“Le prime luci del mattino rendono Roma sorprendente, sempre. Ogni giorno questa vecchia baldracca sembra rinascere più affascinante. Nessuno riesce a spiegarne il motivo. Deve avere a che fare con la magia, perché la storia, certa storia che si è fatta qui, in fondo, non è da raccontare con troppo orgoglio”

Questo uno dei rari momenti descrittivi che l’autore si concede. C’è andato leggero, come avrete potuto notare. Per il resto, Marcialis fa parlare molto di più i fatti, che da un lato disegnano mirabilmente l’ambientazione esterna, dall’altro spiegano di quale sostanza sia composto l’humus nutritivo della città.

Le vicende narrate si dipanano su più strati.

La “Roma Bene” e la “Roma male” confluiscono in un organismo unico: la solita Roma che, bene o male, resterà sempre la stessa. Una città contraddittoria, che al bianco e nero preferisce un’infinita scala di grigi. Dove i cattivi hanno venature benevole e i buoni nei scuri di malvagità. Divisa tra la povertà di chi muore dalla disperazione e l’opulenza di chi si dispera per l’assenza di problemi, ucciso dalla noia. Tra chi non sa come perdere il tempo e chi non ha il tempo manco per pisciare. Tra panorami e monumenti di una bellezza inaudita e il fetore nauseabondo dei cassonetti della monnezza, rigorosamente tenuti in bella vista.

In sintesi, Roma è un’eterna malata immaginaria e terminale, che non tirerà mai le cuoia.

Il commissario Gianni Giunti, l’assistente Flavio Fiore e tutta la loro squadra, girano come trottole impazzite per i vicoli oscuri, i capannoni fatiscenti e tutti quegli ambienti luridi, classici luoghi adoperabili per gli incontri, da effettuarsi rigorosamente al riparo da occhi indiscreti. Risolvere rapidamente il caso della morte della ragazza, uccisa e stuprata, è la missione del momento.

Peccato che gli occhi indiscreti, di questi tempi, non li fermi manco con le cannonate.

I muri hanno gli occhi, non delle vecchie zitelle di una volta, ma quelli delle telecamere, delle microspie e dei sentito dire della malavita.

La privacy è la più grande bugia del nostro tempo. Ed è così che inizia un’escalation progressiva di patti traditi, ricatti, tradimenti, estorsioni, riaccordi con i soggetti appena traditi, ritradimenti con quelli scesi a patti. Il tutto porterà i rappresentanti del Bene a sporcarsi inevitabilmente le mani di quella stessa merda, che si affannano a scovare per le vie della capitale e dalla quale cercheranno in qualsiasi modo di ripulirsi.

Del resto per Gannico, Fiore, Alex e Catone è oramai una normalità consolidata pestare per ottenere, acquisire informazioni per ricattare, interloquire con il crimine per chiudere un caso. E tapparsi naso, orecchie e occhi, quando occorre. Nulla più li sorprende, niente li coglie impreparati. Sanno che dovranno di nuovo abbassare di una tacca il livello della loro morale, già pesantemente compromessa, per salvaguardare la famiglia di uno dei loro componenti, alle prese con un gravissima tragedia personale.

Nessuno scrupolo. Se deve fa’? Se fa.

La squadra è pronta a tutto, giustificando qualsiasi mezzo per raggiungere il fine.

Ma il fantasma di Lorena (la ragazza trovata cadavere nella prima scena) volteggerà sopra le loro teste, come un condor assetato di giustizia, in attesa di ulteriori cadaveri.

Sotto forma di corpi e di sensi di colpa. Di incubi nei sonni agitati.

Riuscirà il loro senso di fratellanza a salvare capra e cavoli? A conservare un barlume di giustizia, ad aiutare uno di loro e a tenerli tutti in vita?

Marcialis, con il suo linguaggio descrittivo e musicale, a metà tra un cronista e un rapper (e colpi da pugile, è bene ricordarlo), trasmette un senso di angoscia, di ansia, di ineluttabilità che lascia inquieti. Il suo sguardo è attento, ma disincantato e preleva dal contesto romano quella malinconia rassegnata, che è tipica del posto.

Dimenticatevi l’atmosfera grottesca e patetica de La grande bellezza. Qui si va dritti al sodo, non ci si perde in fanaticherie per indorare la pillola. Festini? Presenti. Sesso smodato? Presente. Prostituzione? Presente. Droga? Presente. Corruzione? Ovunque. Politica (=corruzione)? Ovunque. Abuso di potere? Ovunque. Speranza? Niente. Salvezza? Niente. Futuro? Niente.

Sono fatti, non parole. Il degrado è un fatto, non una visione.

C’è rabbia passiva, intrisa tra le righe. Non urlata, muta. Rassegnata. Depressa. Costantemente sull’orlo di una crisi di nervi, al limite del suicidio di massa.

I protagonisti, tutti indistintamente, arrancano. Criminali, poliziotti, faccendieri, ragazzine cresciute troppo in fretta, tossici, figli di paparino, sono tutti in preda ad una disperazione tragica, fuori controllo e senza via d’uscita.

Tutti hanno qualcosa da nascondere, ma nessuno ha più vergogna delle proprie miserie.

Leggendo, io stesso mi son ritrovato a “normalizzare” le anomalie, ad allinearle lungo la retta di un modus operandi, che oramai è consuetudine.

Non ci si sorprende più di nulla, questa è la più triste delle verità, tantomeno ci si scandalizza. E l’indolenza emotiva porta alle sofferenze più profonde, poco visibili.

“Poi sono arrivati i mostri. I mostri ti paralizzano, ti sbeffeggiano. Ti soffocano…

Stuprano il tuo tempo, lo manipolano. Il futuro che ci spettava, quello che ci avrebbe fatto intravedere la fine delle nostre vite, ha mosso tanti passi indietro, che ci arrivano addosso con quarant’anni di anticipo”

Poesia in prosa.

Tra i momenti più riusciti dell’opera, ci sono le riflessioni intime dell’assistente Fiore, voce narrante del romanzo. Marcialis in questo dà il meglio di sé, dimostrando tutta la propria sensibilità personale e la capacità di evocare immagini, non sempre del tutto rassicuranti. Costruire una storia non è da tutti, ma da qualcuno. Rendere tridimensionale uno stato d’animo, così da farlo materializzare al di fuori delle pagine, per permettere al lettore di poterlo toccare, è da pochi eletti.

Marcialis è uno di questi eletti. Egli racconta un giallo interessante, ma lo sublima.

È lui il valore aggiunto rispetto alla storia, non viceversa.

I suoi pugni provocano dolore e inquietudine, ma fanno anche riflettere su dove stiamo andando e su come ci stiamo arrivando.

Per me è un fuoriclasse e spero che in futuro ci regalerà altre perle.

Magari “menando” un po’ de meno, perché stavolta m’ha fatto proprio male.

GONG

Paolo Raimondi

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