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Mercedes Viola intervista Francesca Riso

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Ero a Napoli, di sera. Camminavo lungo i vicoli dei Quartieri Spagnoli con Eleonora Dell’Aquila che, in mezzo al rumore dei motorini che sfrecciavano, mi raccontava storie di vita, di strada. Ogni tanto qualche ragazzino fermava il motorino accanto a noi per salutarla e scambiare due parole. Giriamo poi a destra in un vicolo, un uomo suona una tromba per strada quando viene incontro a noi una ragazza. Parla con Eleonora velocemente. Capisco poco. E da quel poco che capisco, rido, mi diverto. Parlano del suo lavoro al asilo nido, delle sue prove a teatro, tutto speziato da battute veloci, simpatiche, ironiche. Sopra la mascherina e inquadrati dai suoi cappelli lisci vedo i suoi occhi a mandorla marroni, sono piccoli, fermi e veloci insieme, due lingue di fuoco. Quanti anni avrà? Poteva dirmi quindici o venticinque, le avrei creduto. Chi è? chiedo quando andiamo. E così scopro la storia di Francesca Riso, attrice, che salta a sedici anni dai Quartieri Spagnoli al tappeto rosso del Festival del Cinema di Venezia, senza paura e senza perdere la testa. Mercedes Viola

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Francesca, quanti anni hai?

Ventiquattro.

Mi racconti com’è iniziata la tua storia con il cinema?

Avevo quindici anni. La Associazione (ndr Associazione Quartieri Spagnoli Onlus) riceveva gli inviti per partecipare ai provini e mi proponevano sempre, perché avevo già fatto tanti spettacoli con loro. Così è arrivato l’invito per questo provino, al quale non volevo neanche andare e alla fine sono andata quasi per punizione, diciamo.

Perché non volevi andare?

Io da quando ero piccola non amavo le prese in giro.

E perché pensavi fosse una presa in giro?

Perché mi spiegarono che cercavano la protagonista per fare un film. Il film era L’intervallo, diretto da Leonardo Di Costanzo. Eravamo un centinaio di ragazze, come facevo a pensare che potessero prendere me? Ero piccola, inesperta e quel ruolo non mi sembrava adatto a me.

Ma sei andata.

Sì. E non darò il mio numero di telefono, pensai, non darò nulla. Ho fatto il provino, e quando mi chiesero il mio numero di telefono ho dato solo nove cifre. Uscita dal provino, Pino (dell’Associazione) mi chiede se era andato tutto bene. Tutto a posto, gli dico. E finisce lì.

E poi?

Sono passati tre o quattro mesi. Non ricordo se era Halloween o Carnevale quando noi dell’Associazione facciamo questi cortei, dove andiamo per tutta Napoli travestiti. Ero in questo corteo, non travestita ma solo spruzzando bombolette, quando a un certo punto mi avvicina questa ragazza, mi ferma e mi dice «Tu sei Francesca Riso», io la guardo e faccio «No, ho un’altra sorella», «Dimmi la verità, sei tu» diceva lei. La stavo liquidando malamente quando mi ritrovo Mimmo (educatore dell’Associazione) che interviene e dice «Sì, è lei. Perché? Ha fatto qualcosa?». Allora ho dovuto spiegare tutto e sono andata ad un altro provino.

E da lì?

Da lì sono stata scelta per un altro laboratorio con altri sei ragazzi per allenarsi a questo personaggio. Da sei siamo rimasti due, e siamo andati ad un teatro.

Il giorno del mio compleanno al mattino ho fatto delle scenate assurde in teatro, che non volevo recitare e cose così.

La sera dico a Eleonora «se non mi prendono fa niente, va bene così». Quella sera mi chiamano e mi dicono «Guarda Francesca, io no te lo dovrei dire, perché noi ti volevamo far penare come tu ci fai penare a noi, pero sei tu. Il ruolo di Veronica è tuo».

Cosa ti ha dato questa esperienza? Ti ha cambiato?

Non so se mi ha cambiato, perché ero piccola ancora, ma è stata bella per tanti aspetti che ho visto in me stessa. Ho ritrovato la gioia di quando ero bambina. Io vivevo tutte le cose con rabbia, con fare i giochetti, lì invece mi sono divertita tanto. Ero una peste anche là, ma ho scoperto questa cosa di recitare, del cinema, che mi appassiona in tutti i modi. Sapere che io non rinuncerò mai a recitare, anche se non si guadagna e devo fare altri lavori. Mai.

E con questo film sei andata a Venezia.

Sì, dopo ho fatto tutta la tournée del film. Venezia è stata una cosa grande, tanto emozionate, scoprire cose che non conoscevo proprio, nemmeno sapevo di questo Festival. Infatti quando dicevo di doverci andare c’era una zia che mi diceva «Francy, ma tu ti rendi conto?» Erano impazziti, mi guardavano di notte in tv. E’ stato molto bello

E nei quartieri tutti lo sanno?

Sì, dove abitavo prima, in un basso con mia nonna, tutti mi conoscono da quando ero piccola e la chiamavano quando mi hanno visto sul tappeto rosso.  Quando sono tornata tutta la gente affacciata mi ha visto scendere dalla macchina, è stato bello.

Con chi hai condiviso queste emozioni?

Io me la sono vissuta tanto con gli educatori, come un ringraziamento per tutto quello che loro hanno fatto per me. In quel momento era molto bello vederli soddisfatti di me, fieri. Vedermi intervistata, e anche lì qualche battibecco. Uno per esempio mi ha detto « Allora tu sei orfana»  e l’ho preso un po’ a parolacce e detto «No, io ho una famiglia molto grande, della quale fanno parte anche gli educatori». Ancora adesso io conto molto sugli educatori, sono una parte di me della quale non farò forse mai a meno, nemmeno quando avrò quarant’anni.

Com’è stato tornare a casa?

Tornare è bello perché sei felice, qualcuno ti ferma per strada. Io ho la fortuna di avere una famiglia che mi ha fatto umile, e poi gli educatori che mi hanno sempre trattato come a tutti gli altri. La mia famiglia vorrebbe ad altro per me, perché è un mondo difficile, però erano felici.

Pensi che altri possono ispirarsi al tuo sogno?

Ora non so se questo sarebbe possibile. Le cose sono cambiate tanto. Ora ci sono i telefoni. Prima quando avevo tempo io andavo all’Associazione. Invece ora appena hanno del tempo prendono i telefoni. Anche Venezia me la sono goduta tutta senza telefono. Per quanto ora vorrei avere delle foto mie, ma io me la sono vissuta tutta, senza pensare ai social.

Hai fatto altri film?

Ho fatto una piccola parte nel film Milionari di Alessandro Piva. E’ stato bello farne subito un altro. E’ la storia di un boss e io facevo la figlia che sposava un finanziere. Poi ho fatto Fiore di Claudio Giovannesi. Mi sono fatta accompagnare da Eleonora a Roma per fare i provini. E’ stata una sorta di riconferma. Ho conosciuto tanta gente diversa da me. Era la storia d’amore di due ragazzi che si conoscevano in un carcere minorile. Io facevo un po’ la bulla di questo carcere ed ero omosessuale. Loro volevano questa ragazza maschile e io sono molto femminile. Tante volte esco dai provini soddisfatta di quello che ho fatto anche se non era quello che mi avevano chiesto e non mi prendono.

Hai un carattere tosto.

Purtroppo e per fortuna per me, sì. Tante volte non mi aiuta, a volte ho perso dei ruoli che avrei voluto. Ma tutto serve per cambiare, per migliorare. Io non ho fretta. Lavoro anche ad altro, perché non ho fretta. La fretta peggiora tante cose. So che prima o poi ritorno a quello che vorrei.

Cosa vorresti?

Vorrei tornare  a lavorare nel cinema. Non lo dico con tristezza, ma come chi aspetta, lavora e poi raggiunge tutto.

Un sogno grande?

Vorrei conoscere Sofia Loren. Come persona, mi sono vista tutta la sua storia.

Napoli?

Odio e amore. C’è stato un periodo dove volevo andarmene. Ora ti direi no. Anche se so che fondamentalmente qui c’è poco, io voglio quel poco. Voglio la mia vita com’è qui, a Napoli.

 

Intervista a cura di Mercedes Viola

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