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Natale, per-donare se stessi

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È arrivato il Natale. Come ogni anno la festa si presenta carica di attese e aspettative. Attendono i bambini, attendono gli adulti. Ma cosa si attende in realtà? Una specie di magia, una riconciliazione con il mondo, forse, con l’altro. Natale richiama amore, compassione, perdono. Si perdonano i torti che si ritiene di avere subito. E allora fratello mio, padre mio, amico mio, io ti perdono.

Non ho mai fatto parte di quelli che dicono che il Natale è diventato solo una festa consumistica. Il pensiero del “dio consumo” mi fa pensare a questa domanda: che cosa possiamo regalare veramente a Natale? Non lascio che la mia mente vada al materiale perché ormai siamo bombardati di materia, soffocati dalla materia, distrutti dalla materia, uccisi dalla materia. Non regaliamo forse prima di tutto a noi stessi, i sentimenti che siamo capaci di provare? Perché quanto proviamo, lo diffondiamo, lo regaliamo agli altri. Quanto ciascuno prova, condiziona ciò che ciascuno fa. Se provo amore, questa la relazione inevitabile tra pensiero e azione, non potrò fare del male. La vita reale si crea con il pensiero, con il pensiero possiamo creare la nostra realtà. L’ha detto il filosofo Immanuel Kant, il quale sosteneva che la mente modella la realtà, attraverso le forme che rileva e alcuni secoli dopo, è arrivata anche la scienza attraverso la psicologia quantistica, a spiegare come questo sia possibile. Così ci vorrebbe una rivoluzione del pensiero natalizio, dovremmo iniziare a pensare al Natale per – donare. Non materia, ma spirito. Quello spirito natalizio che tanto facilmente si spende a parole.

Non è solo un pensiero cristiano – pur essendo io credente – né tantomeno buonista, non è assecondare una fede, senza presa di posizione critica. Qui si tratta di un’autentica critica della ragione, pura presa di coscienza che porta a un allargamento della stessa per abbracciare il concetto dell’altro, uscendo dalla propria dimensione egoica. L’altro allora diventa parte di me, del mio esistere e co-operare nella realtà che si crea, grazie alle forze che interagiscono.

Evitiamo di cadere nella trappola del “ma tanto io sono così”. Bisognerebbe piuttosto chiedersi: chi sono davvero? Senza quelle convenzioni imposteci dalla società, dalla famiglia stessa, chi siamo davvero? Ci siamo mai chiesti se reagiamo in un modo a una situazione in base alle credenze imposteci? Ad ognuno la sua risposta. Nel tempo mi sono convinta, come dichiarato da Alejandro Jodorowsky (a cui fu chiesto se in realtà non fossimo bambini mascherati da adulti) che “piuttosto siamo vecchi mascherati da bambini, antichissimi, millenari. Nella nostra pelle ci sono milioni di cellule con una memoria complessa.”

E quella memoria agisce in noi, condizionandoci inevitabilmente nelle scelte, conseguenti alle emozioni che proviamo. Sì, sono ragionamenti lontani dalla semplicità del Natale, dal “volemose bene” e dal “in fondo siamo tutti sulla stessa barca”… Credo in tutta onestà che siamo su barche diverse, dipende da dove si riesce a guardare alle cose, dal livello di coscienza maturato. La zattera non offre la stessa visuale di una nave da crociera. Viaggiando attraverso la vita, sempre. E allora, riprendendo la nostra domanda iniziale: cosa si attende in realtà a Natale? Non dovremmo attendere nient’altro che quell’attimo in cui da fermi, avvolti dal silenzio, in un’atmosfera silenziosa e ovattata, il Natale è per-donare se stessi. Agli altri. Che sono parte di un tutto di cui da sempre facciamo parte. E perdonarsi anche, se non siamo ancora riusciti a manifestare in nostro autentico sé, quel daimon, per dirla con James Hilmann che rappresenta il codice della nostra anima.

Silvia Castellani

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