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Nina Avellaneda anteprima. Souza

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Edicola Edizioni pubblica, il 25 maggio, Souza la prima novella della scrittrice cilena Nina Avellaneda, con la traduzione di Maria Nota Nunez. Un romanzo d’ atmosfera, magnetico che ammanta il lettore e nebulizza il confine tra il reale ed il fantastico.

L’accento è posto più che sulla trama sui suoi personaggi: Souza, operaio edile estremamente sensibile, con una memoria e una capacità di osservazione stupefacenti, e Luiza attrice in declino, con alle spalle un tentato suicido. La loro relazione, scandita della musica brasiliana degli anni 70, è misteriosa a tal punto che la sua “interpretazione” è lasciata al lettore, come ogni pagina del libro che dilata i limiti del possibile. Il doppio è ricorrente come ogni personaggio ha l’eco in un altro. La scrittura, elegante, è ricerca e le sue parole sono deriva ed ancore per sopravvivere a una realtà che in quieta.

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A volte lo vedo sulla metropolitana, fissa un punto indefinito a occhi aperti, come se dormisse. Tra le ginocchia un bastone gli sostiene le mani, una sull’altra.

La prima volta che è successo, ho pensato con stupore a quanto possano somigliarsi due uomini. Quel giorno la mia curiosità era spenta, gli ho gettato un’occhiata tra la gente per poi tornare ai miei pensieri: qualcosa di simile a un terreno ari do. La seconda volta mi sono fermata a osservar lo da lontano, lunghi minuti dedicati a scrutare una figura che il mio scetticismo rifiutava. Non ho cercato di andare a fondo nella questione e ho proseguito in direzione opposta: «non ho nulla a che vedere». La terza volta, però, la sua presenza non mi ha lasciato scampo. Evento piuttosto raro, ero seduta in un vagone stracolmo di passeggeri. Seduta è la parola importante. A un certo punto la persona alla mia destra si alza e subito qualcuno prende il suo posto. Eccolo lì di nuovo,

accanto a me, che mi costringeva a una reazione che non volevo avere: Jorge Francisco Isidoro Luis Borges. Che esagerazione. Senza pudore ho inclinato il torso per piazzarmi sotto al suo viso e la mossa della mia memoria non è stata sovrapporre le sue fotografie all’anziano accanto a me, la mossa è stata una ferrea dissimulazione. Per ché era lui e, mentre lo appuravo, avevo accesso al rovescio di quell’immagine che mi ero costruita per tenere le ginocchia salde e salutare con parole adeguate. Ho visto le sue labbra sottili e i profondi solchi del suo volto. Due occhi in disuso e un’espressione meno compiaciuta di quella delle fotografie. Borges. Non gli ho fatto domande, sono scesa alla fermata successiva per non interrompere qualsiasi cosa stesse succedendo.

Souza, il protagonista del racconto che m’interessa, sarebbe molto affascinato da Borges se lo in contrasse, perché nutre una speciale curiosità verso i doppelgänger. È questo che penserebbe lui dell’anziano, e si sbaglierebbe. In ogni caso, e soltanto per compiacerlo, ho voluto riservargli un finale accanto al suo doppio, ma sono andata fuori trama e prima di tutto questo è un operaio che posa moquette per conto dell’impresa edile Almagri. O è il terreno arido o è Souza, anche se Souza è tante persone, eccetto Borges. Non lo saluto, proprio così. Mi sembra giusto che il suo corpo stia dove gli pare. A me interessa Souza, non Borges. Non so che cosa interessi a Borges.

Quando Souza conclude la giornata lavorati va, si fa dodici isolati a piedi fino alla fermata e aspetta un autobus verde che lo lascerà dalla parte opposta della città. Nel frattempo si dedica a respirare l’aria libera dalle colle. Lascia che i minuti trascorrano senza preoccupazioni, perché è uscito dal lavoro: può distrarsi, mettere la mente in bianco, camminare in linea retta fino a perdersi e sgranchire, già che c’è, le lunghe gambe intorpidite. Dodici isolati sono più che sufficienti, vorrebbe essere già a casa.

Senza musica né libri nello zaino, Souza non ha altra scelta se non osservare la strada e le sue persone. Non si stanca di guardarle: non ce n’è una che si ripete. Lui, per esempio, ha la pelle bruna e le ciglia chiare, la faccia appiccicata alle ossa e un naso che s’inarca da un punto molto alto della fronte. In cantiere, a volte, non riesce a levare gli occhi dai suoi colleghi, sono tanti, tutti diversi, persino con indosso il casco. Visto che

non nasconde la sua fascinazione, gli chiedono se è omosessuale… non si scompone, ha la testa traboccante di volti, impossibile soffermarsi su una parola.

Souza e i suoi colleghi posano moquette negli immobili dell’impresa edile Almagri. Passano buona parte della giornata in ginocchio. È un lavoro che non ha fine, perché spunta sempre un nuovo appartamento sopra il precedente, e poi a destra, a sinistra, nell’edificio accanto. Quando si affaccia da una finestra o si arrampica sui ponteggi per fumare, una gru di ferro sposta blocchi di cemento da una parte all’altra.

Dopo qualche minuto d’attesa compare l’autobus e Souza sale senza accorgersi che i dodici isolati che ha percorso sono in direzione della sua vecchia fermata. Quando Luiza è partita, anche lui se n’è voluto andare in qualche modo, per questo ha cambiato casa e quartiere. Ora fa la strada verso la sua vita precedente e non se ne rende conto: sta guardando i visi, il fatto è che non ce n’è uno che si ripete.

Luiza era la sua amica, la migliore che abbia avuto. Condividevano passatempi come andare al bar, mettere canzoni al jukebox e scolarsi una birra dietro l’altra. Luiza adorava andare a un cinema che Souza non conosceva, un giorno ce l’aveva portato e avevano condiviso un terzo programma oltre all’alcol e alla musica. Il primo film che avevano visto l’aveva inquietato, non capiva perché avessero ripreso qualcosa che poteva perfettamente essere la sua vita. E poi aveva pensato che quel film non avesse un finale, che si concludesse in un momento qualsiasi senza l’apice di un epilogo.

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