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Nino Motta anteprima. Ragazze troppe curiose. Un nuovo mistero siciliano per la filologa Rosa Lentini

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Bompiani porta in libreria Ragazze troppe curiose. Un nuovo mistero siciliano per la filologa Rosa Lentini, il nuovo romanzo di Nino Motta, pseudonimo con cui si firma Paolo Di Stefano e con cui ha pubblicato, sempre con Bompiani nel 2017, La parrucchiera di Pizzuta. Un giallo siciliano. Accademico italiano, inviato e giornalista del Corriere della sera, scrittore di poesie, reportage, inchieste, saggi critico-letterari, racconti e romanzi tra cui Baci da non ripetere (Feltrinelli 1994); Azzurro troppo azzurro (Bompiani 1996, Premio Grinzane Cavour); Tutti contenti (Feltrinelli 2003, Superpremio Vittorini e Superpremio Flaiano); Aiutami tu (Feltrinelli 2005, SuperMondello); Nel cuore che ti cerca (Rizzoli 2008), La catastròfa.Marcinelle,8 agosto 1956 (Sellerio 2011, Premio Volponi); Giallo d’Avola (Sellerio 2013, Premio Viareggio-Rèpaci); Ogni altra vita (Il Saggiatore 2015, Premio Bagutta 2016 ex aequo con P. Maurensig); I pesci devono nuotare (Rizzoli 2016); Sekù non ha paura (Solferino 2018); Il ragazzo di Telbana Giunti 2019), Noi (Bompiani 2020). Come ne La parrucchiera di Pizzuta la protagonista è Rosa Lentini, irriverente appassionata di filologia. Ancora in Sicilia, ancora l’ex comandante Drago, ancora il duo madre e figlia ad indagare cosa si nasconda nelle pieghe della lingua, tra le pagine dei manoscritti. Un gioco linguistico che diletta il lettore, gli strizza l’occhio, gli sorride ironico nonostante l’omicidio oscuro della giovane giornalista Wanda Girlando a Ortigia., come se la vita paradossalmente per essere compresa e proiettata nel futuro debba volgersi al passato.

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Già era scoppiato il caldo e Rosa decise di salutare l’estate liberandosi degli indumenti intimi almeno per qualche giorno. Era cominciata come un gioco di gioventù con un suo compagno di università ed era diventata negli anni una consuetudine, liberarsi di tutto, specie quando indossava gli abiti leggeri su cui sua madre aveva da ridire: del resto, gli uomini, e in un paio di casi anche le donne, che avevano avuto la fortuna di scoprire quella sua peculiarità ne erano rimasti a loro modo frastornati. E lei non voleva privare di quello stordimento prima se stessa e poi i suoi stupidi pretendenti. Fu così che una mattina si presentò all’archivio di Pizzuta per consultare i giornali regionali del 1974 che non erano conservati nelle biblioteche di Milano: le interessava capire, più in particolare, come aveva reagito all’omicidio L’Orecchio di Dionisio, il quotidiano della Girlando.

Lesse e rilesse, fotografò, prese appunti liberamente, registrò sottovoce nel cellulare alcuni passi significativi, mentre l’archivista andava e veniva nervosamente, disegnandole intorno traiettorie sudaticce. Era un quarantenne imponente e alquanto agitato, che aveva sostituito il simil-macellaio con cui l’anno prima Rosa aveva trattato per visionare i ritagli su Nunziatina, la parrucchiera di Pizzuta. Dissero e scrissero allora, i giornali locali e nazionali, che era stata la furia ad armare la mano del giovane Infantino, definito giovane benché avesse ormai i suoi bei trent’anni, essendo nato nel 1944: insomma, il giovane reo confesso e figlio del presidente del tribunale si sarebbe sentito assediato, anzi provocato, dalla giornalista, che si ostinava a incalzarlo sull’assassinio del Valvo. Volle vedere l’articolo uscito il 1° novembre sul Giornale di Sicilia, dove si spiegava che il delitto era avvenuto nell’auto della giornalista e che, dopo aver esploso contro la vittima tutto il caricatore della pistola, Infantino suonò al maestoso cancello del carcere per costituirsi. Rosa aveva conservato nella memoria un particolare di cui ora cercava conferma: e lo trovò anche nel servizio dell’Orecchio: sulla strada un vicino che stava parcheggiando l’auto nel garage di casa aveva sentito gli spari, si era avvicinato per tentare di prestare i primi soccorsi alla vittima e con l’aiuto di altri l’aveva caricata sulla sua auto per portarla in ospedale. Mentre però L’Orecchio ricordava tutti i traffici loschi indagati dalla sua giornalista cercando lì le ragioni della sua eliminazione, per il Giornale di Sicilia la chiave era un’altra: “All’origine della sparatoria pare ci sia un rancore che persiste da mesi, da quando la pubblicista, nelle sue corrispondenze, aveva cominciato a indicare nell’Infantino il possibile autore di un altro delitto che fece scandalo nel marzo scorso,” e si dilungava sul caso del costruttore edile Angelo Valvo, “un ingegnere ragusano molto noto, che conduceva vita brillante e coltivava l’hobby dell’antiquariato.” La cronaca proseguiva con una ricostruzione che alla filologa apparve confusa e contraddittoria, ma che certo doveva essere il frutto di un lavoro frettoloso come capita ai giornalisti e non capita o non dovrebbe capitare mai ai filologi che dispongono di tutto il tempo archeologico necessario per le loro congetture: Negli ultimi tempi il Valvo aveva confidato ad alcuni amici di trovarsi in difficoltà economiche per ragioni fiscali.

La dinamica dell’assassinio ha rivelato che era rimasto vittima di un tranello. Una persona a lui nota lo aveva attratto in campagna, nel territorio di Pizzuta, per ragioni di lavoro e improvvisamente lo aveva invitato a fermare l’auto, dunque lo aveva prima stordito con il calcio della pistola e poi assassinato esplodendogli un colpo in testa. L’autorità investigativa aveva indirizzato le indagini tra gli amici della vittima, alcuni dei quali appartenenti ai circoli giovanili più in vista della città. Ne emergeva l’affresco di una città di provincia dietro la cui facciata di perbenismo si celavano torbidi traffici illeciti e clandestini, legati agli oggetti di antiquariato. Il magistrato che conduceva l’istruttoria aveva convocato molti dei personaggi più conosciuti della città e tra questi c’era anche Roberto Infantino, figlio del presidente del tribunale, che in quanto amico del Valvo poteva essere al corrente sui più recenti movimenti del professionista. Infantino non ebbe difficoltà a cavarsela e il suo nome non sarebbe più affiorato se la giornalista del foglio L’Orecchio di Dionisio non avesse scritto nelle sue corrispondenze che l’opinione pubblica cittadina lo riteneva l’assassino del Valvo. L’accusa della Girlando suscitò in città un clamore enorme, costringendo Infantino a sporgere querela per diffamazione. Il tribunale ricusò tuttavia le sue richieste riconoscendo alla giornalista il diritto di cronaca. È probabile che Infantino abbia vissuto quella decisione come un grosso smacco e che da allora cominciasse a maturare la vendetta. Prese dunque ad avvicinare la giornalista e fingendo di volerle fare delle confidenze la invitava a continui incontri in luoghi appartati mettendola in allarme sulle sue reali intenzioni. I dubbi, i sospetti e forse anche i timori suggerirono alla Girlando di comunicare ogni volta alla famiglia l’orario e il luogo dei vari appuntamenti con l’Infantino. Non si sa se anche la notte scorsa la giornalista abbia preso questo accorgimento. Infantino comunque è stato più svelto di lei e mentre si trovavano in macchina sotto il carcere, ha estratto la pistola e le ha scaricato addosso tutto il caricatore. Si è consumata così una vendetta che durava da sette mesi. La Provincia Iblea aveva scelto un’altra strada, aprendo il servizio con una domanda: “Tutti si chiedono se ad armare la mano di Roberto Infantino sia stata la coscienza sporca o la follia.” Nessun’altra possibilità metteva in campo. La risposta era nel seguito dell’articolo, dove si dava notizia dello squilibrio mentale dell’omicida, dei calmanti che gli erano stati prescritti, del plurimo tentativo di suicidio, del fidanzamento finito male, oltre che della sua vita sregolata. A colpire l’attenzione della filologa petrarchesca fu però il colonnino di destra, che conteneva una breve intervista al procuratore Michele Saputo, il quale ammetteva placidamente di aver avuto contatti con l’assassino nei giorni precedenti il delitto e non mostrava dubbi sul movente: “Negli ultimi tempi, il giovane aveva pensieri per la testa, si sentiva esaurito a causa della campagna di stampa di cui si riteneva vittima e prendeva continuamente sedativi. Ieri sera mi è sembrato in stato di sonnolenza.” Che significava: aveva pensieri per la testa? A Rosa bastò leggere il titolo in prima pagina per cogliere la sola interpretazione dei fatti proposta dall’Orecchio il giorno dopo l’omicidio: “Assassinata perché cercava la verità”, rafforzato dal titolo, più basso, del commento: “A prezzo di sangue”. Diversamente dalle letture psicologiche che lasciava trapelare La Provincia Iblea, il delitto veniva ricondotto dall’Orecchio al coraggio della denuncia messo in campo dalla giornalista Girlando: dunque ai traffici torbidi nelle province orientali dette “babbe”, alla regola del compromesso e dell’omertà tipica dell’isola, alle complicità delle autorità cittadine e provinciali che avrebbero dovuto costringere il presidente Infantino a dimettersi dal suo ruolo di magistrato o a trasferirsi altrove non appena era affiorato il sospetto sul figlio.

Nino Motta

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