Benvenuto su Satisfiction   Click to listen highlighted text! Benvenuto su Satisfiction

Romain Gary. Educazione Europea

Home / Recensioni / Romain Gary. Educazione Europea

Raccontare storie è da sempre un modo per soggiogare il tempo, accorciando illusoriamente le ore e riempiendo i vuoti dell’attesa. E se già gli antichi ben conoscevano questa magia, in tempi più recenti essa è stata motivo di sopravvivenza per folle di uomini nascosti in rifugi angusti, al riparo da un esterno in rivolta contro il quale si ribellavano per ideali e azioni. Sono i partigiani attivi nelle foreste al confine tra Polonia e Bielorussia che, come animali selvatici, trascorsero gli anni della seconda guerra mondiale incuneati in trincee e buche scavate sotto la superficie della neve, riscaldati da umidi fuochi e sottoposti agli stenti dei razionamenti. Malati e intorpiditi dal gelo e da una dieta unicamente a base di patate e di sporadiche ghiande trovate nel sottobosco, rafforzavano i loro spiriti con la speranza dell’imminente venuta di un futuro migliore, in cui al Nuovo Ordine architettato da Hitler si sarebbe sostituito un mondo più equo e meno ostile, speranza tutta racchiusa nelle sorti della battaglia di Stalingrado e nelle conseguenze delle loro azioni a danno del nemico.

“Diffida degli uomini”, dice un padre al proprio figlio, un adolescente ingenuo e ancora estraneo alla mostruosa verità della guerra, costretto anch’egli a nascondersi in una fossa per fuggire al destino dei suoi stessi fratelli. In compagnia di un libro e di viveri in abbondanza, Janek non sopporterà a lungo la solitudine e andrà presto a unirsi agli “uomini delle foreste”, ignaro che, anche in compagnia, si può comunque essere soli. Con i partigiani scoprirà l’amicizia, la sofferenza, la lotta e la brutalità di un’esistenza fatta di inganni e tradimenti, in cui persino la prostituzione può divenire garanzia di privilegio. Insieme ai partigiani, scoprirà la vita. 

“Educazione europea” è un romanzo dalla forza straripante che rivela in ogni battuta la maturità del suo autore, allora trentenne e aviatore per le forze alleate. Francese di origini lituane ed ebreo, Romain Gary (pseudonimo di Roman Kacew) visse in prima persona le sciagure del secondo conflitto mondiale, narrandole attraverso le voci dei resistenti polacchi al centro delle vicende di questo libro, nel quale vita e morte si contendono costantemente il ruolo protagonista.  Se gli uomini risultano fondamentali allo sviluppo della trama, sono le conseguenze delle loro azioni ad avere la meglio sulla sua significatività, espressione di un messaggio paurosamente attuale. Perché “l’odio non si disimpara, è come l’amore”. Nella strenua lotta tra Eros e Thanatos, Janek è il simbolo scelto a rappresentazione delle condizioni di un popolo, raccontate anche attraverso le storie dei combattenti e delle loro relazioni con il villaggio di provenienza. Così la guerra non è solo tra nazioni ma si scopre profondamente intestina, minando i rapporti tra padri e figli e demolendo famiglie di antico lignaggio, costringendole alla decadenza e alla sottomissione a un nuovo padrone. Il conquistatore può cambiare ma le tattiche di guerra restano sempre le stesse, in un ripetersi di barbarie dove l’innovazione corrisponde unicamente al progresso tecnologico; e se già gli indiani d’America tanto amati da Janek erano soliti catturare ostaggi per attirare a sé i propri nemici, ora i tedeschi trovano un vantaggio nelle armi di ultima generazione, nei camion stipati di bombe e negli aerei della Luftwaffe. Il male ha poche possibilità di metamorfosi e anche se talvolta l’odio per una diversità presunta può trasformarsi in un senso di fratellanza per le similitudini che uniscono, l’ideologia radicata ha sempre il potere di superare il cuore e far vincere la mente, riportando l’uomo al puro pensiero razionale.

Eppure il passato è testimone di una capacità umana tutta particolare, come trovare la bellezza persino nella peggior bruttura e pensare che “nessuna cosa importante può mai morire”. I partigiani descritti da Gary lo facevano leggendo e inventandosi racconti, creando storie nella storia che fanno sì che il romanzo assuma a tratti i toni della favola, una favola nera fatta di animali e oggetti parlanti il cui ricorrente linguaggio onomatopeico accompagna azioni che, dalla fantasia, possono facilmente traslarsi nel reale. Mitizzare fatti e persone aiutava a tener viva la fiamma del loro spirito votato alla causa, come nel caso dell’invincibile partigiano Nadejda, figura fantomatica che albergava in tutti i resistenti e terrorizzava il nemico, ma serviva anche a celare indesiderate consapevolezze: proprio in Nadejda Janek fingerà di riconoscere la figura dell’amorevole padre, pur sospettando di averlo perso per sempre.

Non solo libri e racconti, ma anche musica, quella di Chopin, della giovane e silente Jadwiga, del nemico insediatosi nell’abitazione di quest’ultima dopo la sua uccisione e quella del piccolo violinista ebreo, orfano il cui destino rappresenta forse quello di tutta la sua stirpe. 

E musicale è la prosa, nell’allegretto dei dialoghi, nell’adagio delle suggestive descrizioni paesaggistiche e nelle sincope dei brani scritti nella lingua originale dei conversanti.

Un romanzo potente anche nel titolo, espressivo di un’educazione precoce fatta di bombe, massacri, stupri e “uomini costretti a vivere nelle tane come bestie”, paradossale in un’Europa che ha sempre potuto vantare le migliori università del mondo, un’educazione foriera di un’esperienza umana priva di illusioni che insegna “come trovare il coraggio e buone ragioni per ammazzare un uomo che non ti ha fatto nulla e che se ne sta seduto sul ghiaccio con i pattini e a testa china, aspettando la fine”. 

Martina Barlassina

Click to listen highlighted text!