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Simona Cornacchia e Anna Russo. “Arf”, un cucciolo da salvare

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La storia del cinema d’animazione in Italia non prende che un paio di scroll di computer di wikipedia, pur riuscendo in poco spazio a elencare alcuni capolavori, come I fratelli Dinamite di Nino Pagot (1949) o la trascurabile parentesi dell’animazione di regime, con opere propagandistiche dedicate nient’altri che ad Adolf Hitler (grazie al disegnatore e regista Libero Pensuti). E l’animazione è forse l’unico ambito cinematografico ad essersi sviluppato soprattutto a Milano, con campioni come Pagot, appunto, o succesivamente Bruno Bozzetto, e i suoi bellissimi e sfortunatissimi eroi, dal signor Rossi a Super e Minivip.

Bizzarria proseguita per altro grazie anche alla contiguità con l’industria tv, da sempre amante dei piccoli e così dei cartoons, qui però soprattutto doppiati dal Giappone.

L’Italia insomma, non si è adoperata troppo per quanto riguarda i cartoni animati.

Per questo quando si incontra un’opera italiana di animazione, pensata per bambini, eppure terribilmente coinvolgente anche per gli adulti, sarebbe opportuno segnalarla, diffonderla, oltre che, se possibile – viste le magagne distributive che incontrano la maggior parte dei “nostri” film – andarla a vedere.

È forse il caso di “Arf”, della regista Simona Cornacchia e dell’autrice Anna Russo (da un racconto dell’autrice) presentato sabato 16 dicembre al festival di cinema per ragazzi Sottodiciotto di Torino, in attesa di arrivare nelle sale italiane, e speranzosamente d’oltralpe: la storia di un* bambinu, con dei folti capelli scarmigliati e gli occhi grandi – e fa notare la regista Simona Cornacchia il perché di questi occhi grandi: perché sono comunicativi, empatici, a differenza degli occhi a spillo di chi la imprigiona – che viene strappato alla madre in fasce, è cresciuto da un bellissimo cane bianco, con tutta una pletora di amici cagnolini, finché per rubare del prosciutto non viene internato in un centro, e strappato anche ai suoi nuovi amici. Sì, proprio uno di quei centri, anche se è tutto impalpabile e sospeso, dove si sta con il pigiama a righe, si ha i capelli rasati, e ci sono dei gerarchi in uniforme a dirti di non uscire.

Un pugno nello stomaco, insomma? No, una fiaba.

Completato in soli 19 mesi – di solito, dice sempre Simona Cornacchia, occorrono quattro anni per completare un film di animazione – e con un budget ridotto – è concepito come film d’animazione autoriale, con un acquerellato sfondo 2d a sdoppiare le più nette figure in 3d che animano la storia.

Sfondi acquerellati di case in stile, che rimandano al modernismo austriaco e tedesco, e che ai bambini danno un’idea di storia, di passato, di tempo.

È un linguaggio nuovo quello che abbiamo utilizzato,” dice l’autrice Anna Russo, ” ‘nuovo’ ma anche vecchio… con dei tempi diversi, molto più lenti rispetto a Pixar o Disney, che permettono di riflettere, quindi generano domande, e finalmente riusciamo a dare ai ragazz* le risposte che vorrebbero; stiamo vivendo in un momento piuttosto turbolento, e c’è bisogno non solo di cultura, ma di dare delle risposte alle cose assurde che stanno accadendo: così si avvia un processo.”

Il film è stato applauditissimo al Sottodiciotto, da un pubblico trasversale che partiva dai 4 anni e non disdegnava la fascia giovanile di mezzo, quella notoriamente vessata dal mondo del lavoro, e che comprendeva i riferimenti storici più chiaramente, “ma,” ribadisce Anna Russo, “la storia non è collocata precisamente nel tempo e nello spazio; tutti questi elementi – il lager, o il dittatore, o la modalità di una vita fatta di comandi – sono soltanto dei pretesti, li abbiamo usati come dei simboli, per far capire qual’è l’apice di un certo comportamento. Per far assumere un atteggiamento trasformativo, che è sia individuale che del mondo che ci circonda.”

Si respira aria ribelle, infatti, in “Arf” che nel lager fa un quarantotto perché i doberman dei gerarchi gli danno retta, giocano e finiscono per ammutinarsi, con conseguenze decisamente rivoluzionarie.

Kurt Vonnegut, Tim Burton, Italo Calvino, Wes Anderson, Charles Dickens in un poutpourri cartoon.

Il pensatore anarcolibertario Piotr Kropotkin sosteneva che in biologia le specie più adatte non sono le più aggressive, tesi che rimanderebbe a un darwismo sociale vicinissimo al nazionalsocialismo, bensì le più solidali. È stato comprovato da pesci, insetti, cani… ma pochissimi uomini.

Per chi vuole approfondire: c’è il racconto lungo di Anna Russo “Il baffo del dittatore”, Mursia (2010).

Silvia Lumaca 

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“Arf”, un cucciolo da salvare, di Simona Cornacchia e Anna Russo (Italia, 2023)

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