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Superstar e La piccola gente. Intervista a Giorgia Tribuiani e Alfredo Palomba

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Il 4 novembre scorso è arrivata in libreria la Terza quartina della casa editrice Tetra- con la pubblicazione de “Il Finimondo ” di Antonio Moresco,  ” I numeri sono buonissimi” di Valeria Viganò, “Superstar” di Giorgia Tribuiani e ” La piccola gente” di Alfredo Palomba.
Con la direzione editoriale di Roberto Venturini, Tetra- pubblica autrici e autori contemporanei proponendo esclusivamente short stories per raccontare la complessità del nostro tempo: un mosaico di voci attraverso questo format di quattro libri diversi, quattro scrittori, quattro volte l’anno in libreria il quattro del mese e con un prezzo di copertina di quattro euro ciascuno in un elegante formato quadrato.

Tra le quattro preziose voci di quest’ultima quartina ho scelto di fare un paio di domande a Giorgia Tribuiani e ad Alfredo Palomba, ai quali sono legato da una bella e profonda amicizia tra i libri oltre al fatto che occupano, ormai, un posto di rilievo nella scena letteraria contemporanea.

Partiamo con Giorgia, che dopo i successi di “Guasti” del 2018 e di “Blu” del 2021, è reduce in questo 2022 da ben due uscite editoriali: a febbraio è uscito “Padri” per Fazi Editore e questo autunno invece “Binari” per Hopefulmonster nella collana Pennisole. Il 4 novembre è arrivato, poi, in libreria “Superstar” nel progetto Tetra. Ci vuoi raccontare nel dettaglio questo racconto, i temi trattati, il tuo rapporto con la narrativa breve e poi anche se questa particolarità di scegliere i titoli per i tuoi libri con una sola parola sia solo una casualità o una scelta ben precisa?

Giorgia Tribuiani

A dare il via alla narrazione di Superstar è la voce di un telecronista di wrestling: sono trascorsi cinque anni dalla vittoria del titolo da parte di David Hawk, e uno dei suoi sfidanti di un tempo, Joe, ha finalmente la possibilità di affrontare il temibile rivale in un attesissimo match e di conquistare il titolo, la “cintura”. Il racconto, dunque, in apparenza, è la telecronaca di questo match: in realtà, come si scopre solo qualche pagina più avanti, questi due wrestler sono un’immaginazione di Angelica, una ragazza di diciotto anni che intende “salvare” il migliore amico e coetaneo Giovanni (nella finzione Joe) dai ricordi di bullismo legati al compagno di classe Davide (nella finzione David), permettendogli di presentarsi a una réunion con i vecchi compagni di classe senza dover rivivere l’umiliazione.

La storia immaginaria, dunque, si modella e muta in base al dialogo che Giovanni e Angelica affrontano seduti su un pattino all’alba di questo nuovo incontro. Nello stesso dialogo affiorano dunque i temi della sofferenza innocente, dell’umiliazione, della vergogna e della finzione che, modificando la storia, trasformandola, creando delle motivazioni immaginarie per dei gesti gratuiti e reinventando quindi il finale, può concedere un riscatto.
Avevo iniziato a lavorare a questa storia immaginando di costruire non un raccolto ma un romanzo – nelle mie narrazioni amo entrare nella testa dei personaggi, scandagliare le loro menti, cercare, e forse per questo la forma lunga, che mi offre più spazio, mi è di norma più congeniale –, tuttavia quando ho ricevuto la “chiamata” di Tetra- mi sono resa conto che questa storia in particolare era molto più adatta alla forma racconto: è stata la limitazione di lunghezza a darmi la possibilità di immaginare un match e a farmi decidere di alternarlo freneticamente ai momenti di creazione del match.
Per quanto riguarda i titoli, quella di chiamare il secondo romanzo Blu dopo Guasti è stata una casualità: da quel momento in poi, tuttavia, quella dei titoli di una sola parola è diventata una scelta precisa: Padri, per esempio, si chiamava in origine La stagione dell’ospite. Ora cerco subito, già in fase di progettazione, la parola-chiave che mi pare “centrare” la mia storia: una parola che sia densa (spesso i miei titoli hanno più di una risonanza con la vicenda: per esempio “guasti” fa riferimento a un guasto vero, quello del bagno della sala espositiva del romanzo dove la protagonista si reca ogni giorno, ma anche alla condizione di tutti i personaggi che lì appaiono), che torni nel testo e che, a volte, come per “Blu”, finisca di rappresentare una sorta di mantra.

Tetra- è uno spazio d’incontro creato per accogliere le voci più interessanti dell’attuale panorama letterario, con l’intento di restituire ai lettori un coro di polifonico attraverso la forma del racconto. Un genere messo in disparte in questo paese, dove si leggono poco i racconti, che continuano a giocare un ruolo di secondo piano nella scacchiera editoriale. Tu da anni insegni tecniche di scrittura e scrittura creativa nella Bottega di narrazione. Come ti spieghi questo “pregiudizio” e cosa consigli ai lettori per aggirare, superare questo blocco verso le storie brevi?

Giorgia Tribuiani
Ammetto, cercando di essere onesta il più possibile, che pur non avendo mai avuto un “pregiudizio”, ho a lungo preferito a mia volta la lettura di un romanzo a quella di una raccolta di racconti: credo fosse per quell’immersione cui accennavo prima; amo entrare nella testa del personaggio e restarci per un po’, conoscerne le passioni e le ossessioni, i ricordi e le speranze, seguirlo mentre è alle prese con più eventi, scoprire come cambierà.
Da adolescente – da appassionata di perturbante qual ero già – ho divorato raccolte di racconti di Poe, di Lovecraft, di Bloch, subito seguite negli anni universitari dalle narrazioni brevi del fantastico: Kafka, Buzzati, Landolfi, Cortazar, Gogol, ma solitamente passavo dai grandi classici ad autori che avevo già apprezzato nella forma romanzo.
Credo avesse a che fare, oltre che con questo desiderio – che permane, in questo caso – di penetrare nella mente dei personaggi, con la sensazione di fare lo sforzo iniziale di entrare in una immaginazione per poi essere, tuttavia, buttata fuori nel giro di poche pagine.
La differenza principale, per me, l’ha fatta leggere i racconti di Giulio Mozzi, che ho conosciuto come narratore prima che come docente di scrittura: mi capitò tra le mani Il male naturale, una raccolta di racconti profondamente diversi tra loro che però avevano uno spesso e resistente fil-rouge capace di renderli un unicum: un’opera da leggere, mi si passi il termine, come quei concept album che tanto mi piacevano nel campo musicale. Leggendo quel testo ho capito anche l’importanza di seguire l’ordine dato dall’autore alla successione dei racconti (prima, nelle mie letture del perturbante e del fantastico, dove il collegamento era dato per me soprattutto l’atmosfera, dai suoi toni, seguivo un ordine assolutamente mio, a volte banalmente dettato dalla lunghezza dei testi inclusi nella raccolta e del tempo di volta in volta disponibile).
Se c’è, dunque, un consiglio che posso dare a chi vuole provare a cimentarsi nella lettura di racconti ma che come me sente un bisogno di immersione più “lunga” – parlo soprattutto di racconti brevi, perché nel caso di Tetra- la lunghezza permette eccome queste immersioni – è di provare a considerare ogni raccolta come un unicum e di mettere questo unicum sempre in relazione con lo sguardo dell’autore, con la sua poetica, con il suo modo di concepire il mondo.

Passiamo ad Alfredo Palomba e al suo Tetra dal titolo “La Piccola Gente”.

Alfredo, dopo due romanzi molto diversi tra loro e che hanno avuto un grande riscontro di critica e pure di pubblico, entrambi pubblicati da Wojtek edizioni,  “Teorie della comprensione profonda delle cose” nel 2019 e “Quando le belve arriveranno” nel 2022 , nella terza quartina di Tetra è presente un tuo racconto dal titolo “La piccola gente”. Ci vuoi raccontare la trama e i temi trattati e le eventuali relazioni con le due opere precedenti.

Alfredo Palomba

Con questo piccolo libro sentivo di voler tornare ad atmosfere che richiamassero il mio primo romanzo: mi serviva anche per uscire da un umor nero che la scrittura di “Quando le belve arriveranno” mi ha lasciato per molto tempo. “La Piccola Gente” è un racconto che sviluppa due piani paralleli: il corpo testo è la semplice trascrizione dello stralcio di una lunga conversazione telefonica che lo scrittore Alfredo Palomba intrattiene con Mark David Chapman, l’assassino di John Lennon. Nelle intenzioni del mio personaggio omonimo, questa chiacchierata servirebbe a inaugurare il primo numero di una rivista letteraria che dovrebbe dare voce alla cosiddetta letteratura indipendente italiana. La conversazione è inframmezzata da un impianto di note che, in realtà, costituisce la vera vicenda: una sorta di giallo riguardante il boicottaggio della stessa rivista e, in mezzo a molte divagazioni anche comiche, una serie di riflessioni molto serie sulla solitudine, sul sentirsi esclusi, sul trovare il proprio posto nel mondo.

Come hai accolto la sfida lanciata da
Tetra- e l’invito di Roberto Venturini ad aderire a questa nuova formula e come ti spieghi, dall’altra parte, tutti questi pregiudizi così radicati verso un genere, che sulla carta, invece, potrebbe avvicinare lettrici e lettori e appassionarli al mondo della lettura, soprattutto i ragazzi molto giovani?

Alfredo Palomba

Quando Roberto Venturini mi ha contattato per un racconto e mi ha spiegato cosa lui e gli editori avessero in mente per Tetra, ho accettato con molto entusiasmo, pur senza avere alcuna idea di cosa avrei scritto. La questione del pregiudizio verso il genere del racconto è annosa e non sono in grado di rispondere con certezza. Credo che, a livello editoriale, un romanzo sia più facile da classificare e, quindi, da vendere, soprattutto se chi deve venderlo può concentrarsi su una trama accattivante, su un tema più o meno definito. Come fai a classificare una raccolta di racconti, magari eterogenea per temi e stile? Devi sforzarti di trovare un filo rosso che unisca le tessere del mosaico, devi capire che qualità ha quella scrittura e saper raccontare quel prodotto perché risulti ugualmente appetibile. È più difficile, richiede sforzi e forse risorse maggiori.

E allora buona Lettura dei racconti di Giorgia e Alfredo e di tutti i racconti pubblicati da Tetra-

Antonello Saiz

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