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Argentina. Quel che la notte racconta al giorno

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Argentina. Quel che la notte racconta al giorno. Questo antico passaparola stregato si nutre, ogni volta che viene raccontato, di nuovi significati, malintesi, benintesi.

Noi tanto belli in uno specchio rotto.

Noi tanto rotti in una foto.

Il PAC prosegue nella sua esplorazione di Paesi e continenti attraverso l’arte e quest’anno l’Argentina è protagonista. All’inaugurazione, confesso, ho guardato la mostra, ma non l’ho vista. E’ scattato qualche meccanismo di difesa e sono entrata con gli occhi di una bambina determinata a non farsi toccare. Armata di una forte sordina contro le vibrazioni della paura che la violenza genera. Vibrazioni che sostenute nel tempo possono sgretolare montagne, rendere polvere una costruzione, annientare subdolamente qualsiasi forma di coraggio.

Tutto era così familiare. Chi non ha visto in Argentina, Miguel Rothschild, la povertà e, tra le sue declinazioni, quelle costruzioni improvvisate che si arrampicano verso il cielo tra le matasse di cavi? Chi non ha avuto, Alessandra Sanguinetti, un cugino che bruciava i ragni? Chi non ha sentito racconti di torture inimmaginabili? Tanto atroci da dubitarne. Quale umano potrebbe mai, Ana Gallardo, fare una cosa simile a un altro umano? Ma su, fa tutto parte della Storia. I bambini nati nei centri di detenzione illegale abbiamo quasi cinquant’anni. Fino a quando vogliamo parlarne? Non si può andare avanti? Raccontare i geni, l’amicizia, gli scrittori?

E così candidamente nei tronchi bruciati negli incendi di Juan Sorrentino ho pensato alle grigliate. Siamo buoni amici e ci aggreghiamo. Sotto le pale dei ventilatori incastrate tra di loro ho sorriso. Che ingegnoso, Jorge Macchi. Nel lamento dei nativi ho visto la lagna. Nelle bocche aperte di Graciela Sacco per forza la rabbia, ma un po’ di rabbia ci può stare. Bello il modellino di Leon Ferrari, il fiume nero di Eduardo Basualdo, i pannelli fucsia di Mariela Scafati, cose dell’arte contemporanea.

Primo incontro. Il desidero di essere adeguati. Di non urtare gli spigoli, non rompere nulla, di piacere, di accettare ed essere accettati.

Ma poi sono andata una seconda volta e ho trovato che il PAC non era più una certezza per l’arte contemporanea a Milano ma era stato messo in vendita da Leandro Erlich. Sono entrata e ho ascoltato. Eravamo disposti in un girotondo di argentini e non ci tenevamo per mano quando Diego Sileo, curatore della mostra con Andrés Duprat, ci narrò quel che la notte racconta al giorno. E ho sentito, per forza, senza scappatoia, quel che la notte aveva da dire.

Ho visto Liliana Porter. nella sua spazzina disarmante, che tenta di rimediare a questo caos. Che lavora di scopa nell’ampio spazio dominato dal crocifisso di Cristo sulla croce-aereo di guerra americano di Leon Fererari. Non sono riuscita a evadere nella delizia delle sue miniature e ho visto quel che resta dopo il saccheggio, le signore, le apparenze, i piatti rotti, gli strumenti accatastati senza corde. C’è tanto da fare in questa casa, alcune cose si potranno recuperare, altre sono proprio da buttare. Quanta bellezza deturpata.

Sento a ondate le vibrazioni al primo piano che sgretolano i materiali, che muovono le ceneri offuscando la visione, e i resti dei roghi che vanno su e giù, giorno e notte, lasciando sui muri del padiglione i segni di una lingua che non vogliamo capire. Sento il rumore fastidioso e il calore dei motori dei ventilatori bloccati. Come a dire: è bravo e s’impegna pure, ma qui non si va da nessuna parte. Paralizzati, come i viveri nel frigo rinascimentale di Adrian Villar Rojas, che ci rispecchia consapevoli di morte certa tentando di burlare la data di scadenza. Immobili, nella speranza di sopravvivere perché non ci hanno visto, oppure correndo contenti e disperati, come due capre legate per il collo corrono in un paradiso.

Dal soppalco Graciela Sacco ci rammenta: il suono delle urla che escono dalle bocche aperte impiega troppo tempo nell’arrivare alle nostre orecchie. Sempre così sembra succedere.

Ho individuato le forme che il fiume nero copriva, i corpi travolti e sepolti, fiotti di nero che si alzano da terra e l’avvertenza dell’artista: occhio a pensare che la violenza venga e vada ad ondate spontanee, imprevedibili. E lascia scoperta la struttura che la tiene.

Argentina, una nazione a quale costo? chiede Cristina Piffer con Duecento Peso Forti stampati a sangue.

Ma forse un gesto violento, teatrale, occorra per farsi spazio nella monocromia dell’unico discorso, «la violenza come gesto rivoluzionario» dice Sileo su Lucio Fontana. E i testimoni dei nativi nel video di Tomas Saraceno, proprietari senza voce delle terre dove si estrae il litio, diventano taglio, ferita aperta nella città che applaude la mostra mentre obbliga i cittadini a circolare con macchine elettriche.

E vedo in fine e non solo per allusione quel che siamo. Il corpo e il corpo dei pensieri che sono le parole, una volta vietate e ora celebrate da Marta Minujin ne Il partenone dei libri proibiti. Il corpo della scultrice Liliana Maresca che, diventata HIV positiva decide di abbandonarsi al suo destino e in un atto artistico espone una produzione di sue foto in una rivista di racconti erotici, allegando il suo numero telefonico, per scoprire la banalità del desiderio dei chiamanti di fronte a chi offre suo destino.

La notte racconta al giorno i suoi segreti, che sono anche i nostri. Le nostre paure, la nostra impotenza, la ferocia che ci toglie il sonno, la creatività disperata. Nel frattempo i corpi di Mariana Bellotto danzano col ghiaccio in questo mundo de mierda, e lei che dalla sua bara di giacchio chiede «scongelatemi quando l’amore tornerà a essere duraturo».

Noi tanto belli in uno specchio rotto.

Noi tanto rotti in una foto.

Esco e guardo il lungo tubo che giace all’ingresso, bombardato da grandi sassi che lo hanno piegato ma non lo hanno sconfitto: dalla sua bocca aperta verso il cielo crescono ancora irriverenti gli alberi e i cactus, ossigeno e dolore, come un tango, come un tramonto nella Pampa.

Mercedes Viola

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Argentina. Quel che la note racconta al giorno. A cura di Andrés Duprat e Diego Sileo

PAC Padiglione d’Arte Contemporanea 21.11.2023 – 11.02.2024

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