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George Saunders Anteprima. Peanuts. Snoopy, Charlie Brown e il senso della vita

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Ci sono cose terribilmente serie e cose straordinariamente divertenti. Ma non c’è niente di più serio del divertentissimo mondo de I Peanuts. Perché non è escluso che riflettere sul senso della vita alla Schopenhauer non sia affatto l’unico modo per farlo. Lo si può fare benissimo anche in tutta semplicità e leggerezza. Ecco perché “freezati” e contenti tornano oggi in libreria i fumetti più amati al mondo in un libro edito da La nave di Teseo 2021, a cura di Andrew Blauner, con traduzioni di Tiziana Lo Porto e Chiara Baffa. Una reunion al completo dei famosissimi personaggi creati da Charles M. Schulz nel 1950 ed entrati da tempo nella vita di tutti, chiamati a raccolta in un mega volume che si arricchisce dei contributi di illustri scrittori e fumettisti:  Andrew Blauner, con i testi di Jill Bialosky, Lisa Birnbach, Sarah Boxer, Ivan Brunetti, Jennifer Finney Boylan, Rich Cohen, Gerald Early, Umberto Eco, Jonathan Franzen, Ira Glass, Adam Gopnik, David Hajdu, Bruce Handy, David Kamp, Maxine Hong Kingston, Chuck Klosterman, Peter D. Kramer  e tanti altri. Un foyer di riflessioni sui noti personaggi – da Snoopy a Charlie Brown, passando per Lucy e Sally – che hanno ispirato intere generazioni sul significato della nostra presenza nel mondo, sul senso profondo del nostro esserci, ma anche su nevrosi e fragilità dei nostri tempi. E lo hanno fatto e continuano a farlo ancora oggi nel modo più attuale.

Satisfiction pubblica di seguito in anteprima, per gentile concessione della casa editrice, il contributo di George Saunders, lo scrittore e saggista statunitense che ci porta nell’immaginario mondo di Schulz attraverso il racconto di un viaggio immaginario in un pomeriggio d’estate di tre bambini appiccicati a un muretto che senza nemmeno accorgersene, con la loro testolina tonda si trasformano in: Gretto Autocompiacimento, l’Autocompiaciuto Possessore di Biglie, una Sana e Indipendente Rinuncia e il ritratto della Povertà Avida e Rancorosa. Ragazzi di periferia imprigionati dalla creatività immaginifica di un autore  che con fervida elasticità non ci fa mai stancare di loro. Un autore dall’infanzia felice e austera a St. Paul, un amorevole padre banchiere e la passione per i fumetti. Così il giovane “Sparky” si iscrive a un corso d’arte per corrispondenza e ottiene appena la sufficienza. E poi la tragica morte della madre prima di partire per la Seconda Guerra Mondiale e quell’indelebile senso di solitudine. Un profilo umano meraviglioso e gentile, come sottolinea Saunders, che racconta del suo personale incontro coi Peanuts nei primi Anni Sessanta, quando aveva appena imparato a leggere. E gli dà subito l’indimenticabile sensazione di ritrovare in un’opera d’arte il mondo in cui viveva. E poi il riconoscersi nelle caratteristiche psicologiche e nelle reazioni emotive di Linus, Snoopy e Linus. Un’adorazione che accompagnerà Saunders per tutta la vita.

La straordinarietà dei Peanuts sta proprio nel superamento di quegli schemi rigidi e di quei limiti geografici (solo bambini e mai fuori dal quartiere) con la rievocazione di sentimenti morali complessi. Come in una cartina di tornasole da un lato la semplicità più minimalista, dall’altra la complessità delle mille sfaccettature umane. E senza il minimo conflitto. E’ così, con la stessa semplicità di chi non vuole scrivere una grande opera d’arte ma poi di fatto la scrive, che Schultz ci ha lasciato un romanzo lungo cinquant’anni. Perché i veri grandi, di essere tali nemmeno non se ne accorgono. Però della loro incommensurabile grandezza ce ne accorgiamo noi. Si può essere amici per sempre. E I Peanuts lo resteranno.

Elena Orlando

 

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George Saunders

Una mente a strisce

Se provate a immaginare tre bambini seduti contro la parete di una casa di periferia in un pomeriggio d’estate, succederà qualcosa di interessante. Quelle che erano in origine tre sagome di bambini qualsiasi si trasformeranno a poco a poco, attraverso un processo di immaginazione e reimmaginazione, in tre bambini in particolare. Uno, che sulle prime si era materializzato nella nostra immaginazione come un blob informe conun sacchetto di biglie in mano, diventa un bambino sovrappeso con una costosa camicia azzurra ossessionato da quelle biglie, sul suo viso si dipinge un’espressione di compiaciuto possesso e di colpo si trasforma nell’incarnazione del Gretto Autocompiacimento. Nel frattempo il bambino alla sua sinistra,con lo sguardo perso in lontananza, povero ma pulito, per nulla interessato a quelle biglie, ci appare come una Sana e Indipendente Rinuncia. Sulla destra dell’Autocompiaciuto Possessore di Biglie, un ragazzino ossuto, sporco e un po’ subdolo con i pantaloni alla caviglia fissa intensamente le biglie: è il ritratto della Povertà Avida e Rancorosa.

Se consentirete a questi personaggi di crescere e abbandonare il campetto di periferia, trovare un lavoro e innamorarsi, otterrete un romanzo, e voi, i creatori, sarete chiamati romanzieri. Se invece ai bambini immaginari non sarà concesso di diventare grandi ma resteranno confinati al campetto di periferia, dove per cinquant’anni non saranno altro che potenti manifestazioni della psiche del suo creatore, e se l’immaginazione di questo creatore sarà abbastanza elastica e vivace da non stancarsi mai di reinventare i bambini nel campetto di periferia e non farci mai stancare di osservare i bambini nel campetto di periferia, otterremo i Peanuts, e il creatore si chiamerà Charles Schulz, la cui scomparsa nel 2000 mi ha lasciato con un pensiero opprimente: Charlie Brown non farà mai più niente di nuovo.

Su Schulz è stato scritto molto: l’infanzia felice e austera a St. Paul, l’amorevole padre barbiere la cui modesta routine (nei giorni liberi puliva il negozio) era illuminata dalla passione per i fumetti (la domenica comprava quattro quotidiani). Il giovane Schulz era soprannominato Sparky (come il cavallo da corsa di Barney Google) e da ragazzino si iscrisse a un corso d’arte per corrispondenza, ottenendo una stentata sufficienza nella materia “Disegno di bambini”. Poco prima che partisse per combattere nella Seconda Guerra Mondiale la madre che tanto amava morì di cancro, una delle molte ragioni che sono

state individuate per quella sua permanente sensazione di solitudine – un’altra è l’antico rifiuto della ragazza che sarebbe diventata il modello della ragazzina dai capelli rossi – anche se sembra quasi che la sua tristezza fosse più biologica che esperienziale, e che quegli eventi dolorosi fossero più una conferma

che una causa scatenante. Schulz è stato da ogni punto di vista un uomo meraviglioso: un cristiano nel senso migliore della parola, un marito e un padre gentile e un generoso mentore per innumerevoli fumettisti alle prime armi, un uomo che combatté la depressione con l’umorismo, il buon senso e la dedizione al suo mestiere.

Sfogliando i Peanuts nei primi anni Sessanta, quando avevo appena imparato a leggere, seduto negli scantinati ammuffiti o nei soggiorni dell’epoca, chino sulle raccolte dei miei amici, per la prima volta ho provato la sensazione inebriante di vedere rappresentato in un’opera d’arte il mondo in cui vivevo.

La striscia era ambientata in una periferia con prati e alberi appena piantati e case poco arredate, proprio come quella in cui vivevo io. Quando uscivo a fare un giro per il quartiere, certi quadretti – una foglia che cadeva solitaria, il cielo nero perlato di fine autunno, una staccionata, un gradone di cemento – scatenavano un piacevole fuoco incrociato in cui il mondo sembrava più bello solo perché l’avevo appena visto, stilizzato, nei Peanuts. Lo stesso vale per il suo tono morale – con un sussulto ho riconosciuto in Charlie Brown una parte di me terrorizzata dalla perdita, in Linus quella che cercava di interagire con la prima usando l’intelletto, la religione o l’arguzia, in Lucy quella che, invece, usava l’aggressività, e in Snoopy quella che trovava conforto nella gioia e nell’assurdo. Ovviamente questa presa di coscienza, ai tempi, era relegata all’inconscio. Si manifestava in una sorta di adorazione per i Peanuts che ha permeato, a bassa intensità, tutta la mia vita. Da bambino ho passato ogni Halloween confrontando il modo in cui trascorrevo davvero la giornata con la rappresentazione mitica di È il Grande Cocomero, Charlie Brown.

A Natale a volte mi ritrovavo a scimmiottare senza volere la posa di Charlie Brown (il viso beatamente rivolto verso l’alto, le mani affondate nelle tasche del giubbotto) guardando cadere i fiocchi di neve nel cono di luce di un lampione. Quando vedevo da qualche parte una foto di Schulz restavo sempre spiazzato – come poteva quell’uomo, che sembrava uno degli amici di mio padre, sapere così tante cose di me, un bambino di nove anni a cui piaceva stare da solo e che alternava momenti di depressione a momenti di euforia? Quello che rendeva unici e perfino radicali i Peanuts era il fatto che potessero evocare sentimenti morali tanto complessi operando all’interno di uno schema così rigido. Le sue limitazioni erano formali (a parte la domenica, le vignette erano solo quattro), tematiche (solo bambini, niente adulti), geografiche (i bambini non escono dal quartiere), e visuali (le teste sono rotonde; un brutto scarabocchio che occupa metà del viso rappresenta l’Umiliazione; tre cerchi intorno alla testa, con tanto di stelle, indicano che il bambino è stato messo al tappeto).

Se consideriamo l’arte come una perenne lotta tra obbligo e libertà, i Peanuts ci sembreranno un’opera grandiosa, e non per la loro felice assenza di vincoli, ma perché sono riusciti a essere felici nonostante i vincoli. I Peanuts hanno costituito un’ottima introduzione al minimalismo e all’idea che per coprire le grandi pianure dei sentimenti l’arte non debba necessariamente essere prolissa ed elencatoria. Anni dopo, quando mi sono imbattuto per la prima volta in uno scritto di Beckett, mi è sembrato di percorrere un sentiero già battuto: quei tizi che parlavano di perdita e caducità di fronte a un albero non erano così diversi da due bambini con la testa tonda che parlano di perdita e caducità dietro a un muretto.

“Quando parlo dei miei fumetti,” ha scritto Schulz, “per me è importante assicurarmi che tutti sappiano che per mequello che faccio non è qualificabile come Grande Arte.” Raccolti in forma di libro, i Peanuts (18.250 strisce) occupano circa cinquemila pagine. Charles Schulz ci ha lasciato in suo ricordo questo romanzo lungo cinquant’anni. È una cosa meravigliosa, amara e bizzarra, nevrotica e piena di speranza, e dimostra che nonostante sostenesse il contrario, Schulz era davvero un grande.

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Per gentile concessione di Berla & Griffini Rights Agency”

(c) 2019 by Literary Classics of the United States, Inc. N.Y.
per l’edizione italiana (c) 2021, La nave di Teseo

George Saunders, Strip Mind, traduzione di Chiara Baffa, precedentemente pubblicato su “The New York Times”, 7 gennaio 2001. Copyright © 2007 by George Saunders. Ristampa autorizzata dall’autore.

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