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Gloria

Darko

Ho ancora tra le braccia la morte.

Nelle narici quell’odore acre che mi sorprende ogni volta pungente.

Non é la morte in se a ferirmi, la morte é vita e la vita é morte, ma la mia inadeguatezza.

Trattengo il pianto dentro di me, trattengo ogni emozione affinché non scappino via.

Voglio custodirle dentro, in fondo al cuore.

Voglio che stiano lì, nella carne viva a riempirmi di dolore.

Quel dolore immenso tanto quanto immensa fu la felicità che quell’animale mi aveva regalato.

Io so bene cos’è la felicità, l’ho provata e goduta tante volte.

Son stato benedetto.

E quel dolore profondo e straziante non solo ne é segno ma ne é parte.

Non voglio liberarmi di quel dolore perché non voglio dimenticare.

Ho il terrore che senza quel dolore il ricordo di tanta meraviglia possa far scivolare via.

Un pezzetto alla volta, giorno dopo giorno…

Quel gran regalo che fu per la mia vita, e non solo per la mia.

Potrei dimenticarmi della sua struggente bellezza, potrei dimenticare lo splendore dell’innocenza che emanava, di quella pulizia degli occhi che quando ti osservano potevano scioglierti il cuore.

É morto innocente, puro.

Io non sono innocente, le mie braccia sono quelle di un colpevole, di un essere che ha ricevuto tutto, molto di più del dovuto e che, alla fine dei conti, non é riuscito a ridare la stessa quantità di universo e di vita.

Ma lui si sentiva sicuro tra quelle braccia e mi guardava con quegli occhi…

Si é spento sorridendo, sereno, mentre dentro me ero trafitto da risentimenti e sensi di colpa.

A cuore fermo continuavo ad accarezzarlo, istintivamente, come stessi sperando che da un momento all’altro si risvegliasse.

In me tutto si ribellava alla perdita di quello sguardo.

Non era la sua morte a ferirmi, ma la mia vita.

La mia vita privata di quello splendore.

Darko ha lasciato un vuoto incolmabile.

Lo sento abbaiare anche se non c’é, lo sento al lato del letto e non c’é; entro in studio e guardo dove si coricava ad osservarmi mentre dipingevo perché lui per dodici anni é sempre stato lì. Ma lì non c’é.

Lo sento nel corpo, come se volesse sfondare la cassa toracica ed uscirmi dal petto…

Sento il suo pelo tra le dita delle mie mani mentre accarezzo il vento.

Dicono “é solo un cane”, eppure a me ha dato così tanto, ha cambiato così tanto la vita, mi ha fatto comprendere così tante cose, mi ha dato così tanto amore che fatico contare le persone che per me han contato quanto lui.

Quando Bigas lo vide mi disse che sarebbe stato il mio migliore amico. Io non gli credetti ovviamente. Ma non solo é stato il mio migliore amico, é stato nei momenti buoi un appiglio alla meraviglia ed alla purezza, é stato rifugio, é stato casa, mi ha protetto con il suo sguardo. Innanzitutto da me stesso.

Bigas poi mi disse in un sorriso “l’amerai moltissimo… e ti farà soffrire ancora di più”.

Ma questa sofferenza é parte dell’amore.

A volte penso al Paradiso, spero che esista perché, se esistesse davvero, in quel luogo ritroverei anche lui.

Perché senza lui la felicità non sarebbe totale.

Perché lui é infinito.

Questa sofferenza é qualcosa di grande, un ultimo regalo del più grande amico che abbia mai avuto.

E mentre lo abbraccio nel suo ultimo sguardo un dolore mi trafigge.

Un dolore che sa di gloria.

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