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Intervista a Tramandars di Somma Vesuviana

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Prendo il treno alla stazione Garibaldi, a Napoli, per andare a Somma Vesuviana dove mi aspettano i Tramandars. Associazione culturale nata nel 2017 con lo scopo di trasmettere arte e cultura negli spazi pubblici. La loro missione e il loro spirito hanno conquistato artisti nazionali e internazionali che hanno collaborato con loro nei diversi progetti: Jago, Francisco Bosoletti, Giotto Calendoli, Franz Cerami, Gianpiero D’Alessandro, Fallen Fruit e Vittorio Valiante.

Tani e Luca mi porteranno alla scoperta di questo Comune nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio. Cammineremo nel Casamale, suo quartiere più antico tuttora circondato dalle mura aragonesi, che ospita uno dei loro interventi, l’opera pubblica Alma Memoria e visiteremo la Chiesa Collegiata. Tani Russo, giovane medico Sommese e fondatore di Tramandars, parlerà con noi delle origini dell’associazione, della loro missione e della funzione dell’arte pubblica.

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Come nasce l’associazione Tramandars?

Nasce in maniera molto semplice. Io scrivo per una rivista che si chiama Summae Civitas, erede di Summana. Mio padre, appassionato di storia soprattutto locale, insieme ad altri studiosi della mia città, scrivevano ricerche sulla nostra città parlando di Storia e d’arte. Nel 2017 notai una certa criticità in quello che loro facevano: erano cose interessanti però non si era mai avvicinato un pubblico giovane. Dobbiamo fare qualche iniziativa per comunicare come lo fanno i giovani, pensai. 

In quel periodo vidi un video di Jago, lo scultore. Mi affascinavano le sue opere, ma mi piaceva tanto anche come comunicava. Allora gli inviai una mail. Gli scrissi che ero, all’epoca, un ragazzo di 24 anni, e gli proposi di fare un evento d’arte dove lui raccontasse come si fa arte, se si può vivere di arte e cos’è l’arte adesso. Lui mi rispose alla mail, cosa che non mi aspettavo, e mi disse: io ci sono. 

Allora organizzammo un evento, avemmo il patrocinio morale del Comune. Mi feci aiutare da alcune persone un po’ più grandi di me, di una specie di caffè letterario che frequentavo. Il proprietario si chiama Massimo Petrone. Andavo da lui la sera a bere un bicchiere di vino e gli raccontavo le mie idee per iniziative culturali che potessero smuovere un po’ le coscienze e la sensibilità delle persone della mia città, e lui mi presentò Gaetano Di Maiolo. Quando gli raccontai l’iniziativa ne fu colpito, però mi disse: ‘non facciamo solo l’evento e poi non facciamo niente più. Non ci perdiamo. Diamoci un nome, facciamo qualcosa’. 


Così nasce questa idea di creare un collettivo che potesse riunire più persone che potessero entrare e farne parte, ma anche tranquillamente uscire, per creare un contenitore di idee e non di nomi. Allora Gaetano, che era una mente geniale, disse: chiamiamolo Tramandars: trasmettere arte e cultura.

Facemmo l’evento con Jago, gratuito, dove sono venute circa trecento persone, comprese delle scolaresche che arrivarono col pullman. Se non fosse stato per Gaetano io non avrei mai incominciato a capire la grandezza di fare un singolo evento e continuare. Purtroppo poi Gaetano è morto prima che potesse vedere l’altro progetto, Alma Memoria. E’ stata una grande perdita.

E come siete andati avanti?

Da lì in poi, grazie alle parole di Jago, mi domandai: cosa stiamo facendo? Perché sì, amiamo l’arte, amiamo l’Italia, però cosa stiamo producendo? Niente. Addirittura se un artista dice che vuole diventare come Michelangelo, qualcuno lo attacca pure. I grandi magari non saranno mai superati, ma bisogna almeno ambire a diventare uno di loro.

E’ stato un bel evento ma è solo retorica, pensai. Lì iniziai a capire che più che di eventi la città necessitasse di un’opera d’arte pubblica e partì un nuovo progetto. 

Mandai una mail a Francisco Bosoletti. Avevo visto Iside, un murales ai quartieri spagnoli, una donna velata, e mi appassionai a quello che faceva Francisco, la sua capacità di lavorare il negativo ed al suo straordinario modo di fare arte pensando, preservando ed interagendo con i luoghi.

Cosa gli hai proposto?

Leggendo tra gli archivi di casa, perché dovevo scrivere un articolo sulla Festa delle Lucerne, arrivai alla Chiesa Collegiata nel Casamale. Mio padre, nella biblioteca di casa, ha un folder per ogni monumento o palazzo della città, con tutte le sue ricerche, e questa Chiesa era lì. Lui ha una sezione per ogni cappella, con tutti quadri, le fotografie, le attribuzioni. Tra quelli vedo la foto di un quadro in bianco e nero che non avevo mai visto in Chiesa pur andando a messa tutte le domeniche. Lui mi dice che questo quadro era stato rubato. Nel ’75 una notte avevano tagliato la tela e rubato il quadro perché probabilmente era un Solimena. Raffigurava una Madonna immacolata con San Nicola, perché la cappella della famiglia Viola, una famiglia nobile che stava a Somma anni e anni or sono, era dedicata a lui. 

Allora sono stato tentato di farlo ridipingere e posizionarlo dentro. Ma di nuovo, non aggiungiamo niente, pensai. Allora proposi a Francisco di fare un progetto tutto suo, tramite un murales, partendo da questo quadro, e a lui piacque l’idea. Francisco ha trovato il modo per fare sì che la Cappella, che era vuota, diventasse una parete del borgo, e così, a modo di matrioska, tutto il borgo diventasse la chiesa.

Come portate avanti economicamente i progetti?

Quell’opera è stata sovvenzionata da una raccolta popolare. Abbiamo bussato alla porta delle case. Ci hanno aiutato in tanti, ognuno con la sua disponibilità, dagli anziani del posto ai grandi imprenditori.

L’operazione è riuscita perché la gente ci conosceva e sapeva il contributo culturale e storico che avevamo dato negli anni passati attraverso ricerche e pubblicazioni su Somma. Grazie a questo, è stato semplice far capire i nostri intenti e quanto realmente ci teniamo al territorio.

Cosa è successo dopo questa prima opera d’arte pubblica?

Ho iniziato a raccontare questa iniziativa ad altre persone ed alcuni amici che volevano partecipare. E quindi grazie a Luca ,Davide, mio cugino Giovanni, ci siamo messi insieme e abbiamo fondato quest’associazione di nome Tramandars.

Verso il 2019 abbiamo chiesto di creare dei tavoli con le istituzioni per preservare i luoghi, pensavamo e pensiamo ancora che sia necessario creare una sorta di organo a tutela del Casamale. Un organo con figure professionali ed amanti del territorio, pronto a dire non solo “sí” ad iniziative, ma anche e soprattutto “no”.

L’arte urbana è diventata un modo semplice per prendere consensi, per dimostrare che qualcosa si è fatto.
Sono tanti i luoghi d’italia in cui non ci sono idee, allora si prende un posto e si dice “ dai facciamo un bel murales”, come se le operazioni fossero tutte uguali ed un dipinto o una installazione potesse realmente cambiare le cose.
Non volevamo che con quella prima opera si potesse aprire un vaso di pandora, come succede in tanti luoghi d’Italia, e si facesse del Casamale un Arlecchino.
Abbiamo provato a fare altri progetti, anche diversi, proprio seguendo questo pensiero, trovando degli ostacoli da parte del comune, delle istituzioni.
Tanti dicono che il problema di questo paese sono le associazioni. Io dico che se la politica si occupasse di cultura e pensasse seriamente che con essa e l’arte si possano cambiare le cose e si impegnasse seriamente e professionalmente alla riqualifica dei luoghi, non ci sarebbe bisogno delle associazioni. 

Qual è per te il senso dell’arte pubblica?

Io non sono un esperto di muralismo o street art. Qualcuno ad esempio, che conosce bene questo mondo, ci potrà accusare di aver collaborato con l’Enel.

Ma secondo me l’obiettivo dell’arte pubblica, per essere vincente, è che deve: abbellire, arricchire, e approfondire il territorio. Un luogo a quel punto può diventare un monumento.

Deve avere un senso che non sia semplicemente il decoro urbano. Per questo, il decoro, bastano due piantine o puoi chiamare un’artista e fare una cosa semplice. Ma sono cose diverse. 

Un’altra cosa invece è creare un luogo. Un progetto ha senso solo se contestualizzato. Per questo io non amo andare nelle gallerie. Cioè per me non hanno un grande fascino, ma solo perché le opere degli artisti, all’interno di questi spazi sono decontestualizzate, e vengono principalmente (e anche giustamente) create per vendere e non per educare o sensibilizzare un pubblico ampio.


Quando parlo di arte pubblica, parlo di mettere al centro le potenzialità. Ad esempio, non è che vado a Scampia, si prende un bando con un grande finanziamento pubblico dal comune, e dico

che bello, facciamo un murales e aggiungiamo dei colori alla periferia”. Così non si migliora niente.

Se tu invece fai un intervento in un luogo, come nel borgo Casamale, è un intervento diverso.

Perché in quel borgo, con mille problematiche, come gli affitti non regolari e dove non c’è stata una cura del territorio nel tempo, c’è comunque una potenzialità turistica, perché c’è un centro storico, c’è una chiesa bellissima come la Collegiata, ci sono le mura aragonesi, allora in un contesto del genere un intervento può far nascere un fermento culturale anche di luoghi e può soprattutto creare aggregazione.

E quale progetto per un luogo come Scampia?

Io sono contro i ghetti e contro quella politica dell’edilizia economica popolare.
Negli anni ’70 80 sono state create le grandi periferie, dei casermoni dove tu “butti letteralmente, le persone in una visione quasi penitenziaria della casa. Mentre invece ci sono tante provincie con spazi non utilizzati che si potrebbero ripensare.

Penso sia necessaria una eterogeneità dal punto di vista sociale ed economico. Non puoi mettere tutti i poveri da una parte e tutti i ricchi da un’altra. Devi permettere uno scambio. Devono imparare l’uno dall’altro e viceversa. Scampia non si potrà mai riqualificare se tu aggreghi circa trentamila persone che vivono una situazione economica disagevole, in un solo posto.

Sul vostro sito parlate di educazione ai sentimenti. Come nasce questa idea?

In quel periodo leggevo tanto Galimberti, e una volta un suo intervento diceva che una società sana è una società che educa al sentimento, al principio del bene e del male, a la comprensione di quello che si sente. E quindi bisogna fare una distinzione fra pulsione, emozione e sentimento. L’uomo è un animale un po’ educato. La pulsione è naturale, l’emozione è fugace, il sentimento è duraturo. Questo segna anche una differenza tra le opere d’arte. Magari un Caravaggio ti educa ad un sentimento, un’altra opera ti può educare ad una emozione fugace.

In tutte le cose c’è sempre una proiezione temporale, come può essere per un pensiero o per un’azione.

Viviamo in una società dove i bambini vengono istruiti, non vengono educati. Se l’educazione al sentimento prima la faceva la religione, oppure i racconti e i miti,  poi siamo arrivati ad un punto dove questo ruolo lo svolge l’arte, la letteratura e la musica.

Oggi la forma più comunicativa di arte ad esempio è il cinema o la televisione, e questo dovrebbe indurre la società a porsi delle grandi domande sui contenuti che spesso vengono trasmessi.

La storia è stata determinata dagli artisti e dagli intellettuali, come Dante con la divina commedia: alla fine noi pensiamo al purgatorio, al paradiso e all’inferno, che poi ci determina i comportamenti quotidiani, pensando all’opera di Dante, che tecnicamente non è un testo religioso. Quindi quanto ha educato La Divina Commedia? Quanto educa un’opera architettonica, al bello, al razionale, all’equilibrio ? Pensiamo al rinascimento ad esempio. Anche indirettamente quanto ci ha educato ? Quanto forte può essere un’opera d’arte, intesa nelle sue mille forme ?

Io penso che dobbiamo dimenticarci dell’arte come un “potere”, ma ricordarci di essa come una “potenza”.

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