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Mezzafaccia. Intervista a Luca Cristiano

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Questa settimana su Satisfiction per le Tre Domande del Libraio incontriamo Luca Cristiano, da qualche mese nelle nostre librerie con il romanzo “Mezzafaccia” pubblicato da Del Vecchio Editore nella collana Formelunghe.
Luca Cristiano, scrittore lucano, per l’editore Effigie ha curato con Enrico Macioci Dentro al nero: tredici sguardi su It di Stephen King.  Nel 2016 ha pubblicato per Transeuropa la monografia Crema di vetro: misura e dismisura nei romanzi di Antonio Moresco.
Per Prospero Editore ha scritto la raccolta di poesie Brucia la cenere (2017), il volume di racconti La danza delle vergini e delle vedove (2018) e il romanzo L’istrice (2020).

Luca, ci vuoi portare nell’officina di lavorazione di questo nuovo romanzo e raccontarci, poi, come sei arrivato alla casa editrice Del Vecchio?


La prima stesura di Mezzafaccia risale al 2010. Mi ero appena trasferito dalla Lucania a Pisa, lasciando la cooperativa sociale per cui lavoravo per iniziare un dottorato di ricerca in letteratura. Negli anni precedenti, ero spesso andato a Roma per motivi personali. Evidentemente la pancia sotterranea della città si è impressa nel mio inconscio, perché una notte sognai la rete della metropolitana percorsa da grandi treni gialli. Nel sogno mi trovavo ad avere contemporaneamente uno sguardo registico e il punto di vista dei personaggi. Ero nella loro testa e vedevo, nello stesso tempo, tutto da fuori e dall’alto. In uno di questi grandi treni gialli era in atto un rapimento: alcuni morti viventi avevano legato una persona viva a un sedile e provavano a dirgli qualcosa. Volevano dirgli che avevano pensieri e sentimenti complessi, che erano come lui. I morti volevano essere liberati e tornare in superficie. La voce dei morti però rimaneva bloccata nella loro gola. Il sogno si riempì di azione e dettagli, ma anche di cantilene e flussi telepatici. Con la testa piena di questa materia onirica, presi un taccuino e iniziai a trascrivere la voce di uno dei morti viventi, che era passata apparentemente intatta dal sonno alla veglia. Il mondo di Mezzafaccia, nella mia immaginazione, si è presentato come una catena di reperti da riportare alla luce. Le idee fondamentali erano chiare e definite: i vivi avevano imprigionato i morti nelle gallerie della metropolitana che non usavano più, i morti avevano bisogno di farsi capire, i morti volevano ribellarsi. Tutto il libro si basa sull’associazione tra logopedia, letteratura e rivoluzione. In poche parole, mi trovavo davanti a un’utopia horror che metteva insieme le cose decisive della mia vita.
Dopo la prima trascrizione a mano, che evitò la dissoluzione del sogno, scrissi la storia al computer e lì rimase per un bel po’. Negli anni successivi, un po’ per motivi personali, un po’ per occasioni di studio, entrai in contatto con Paola Del Zoppo. Già conoscevo i libri di Del Vecchio, che ho sempre trovato bellissimi. Mano a mano che uscivano i miei lavori, sia quelli di critica letteraria sia quelli di invenzione, la conoscenza e la stima (direi reciproca) tra me e l’editore si è consolidata. Così ho proposto questo romanzo ed eccoci qua.
Per tornare alla tua domanda, di “officine di lavorazione” ce ne sono state almeno tre: una onirica, di autostrutturazione inconscia, diciamo così; una materiale, che si è spostata negli appartamenti in cui ho vissuto a Pisa, Praga e Volterra negli anni in cui sistemavo il libro e una terza, mobile e inattesa, che sono state le classi in cui ho lavorato a scuola come insegnante di sostegno.
Dopo un paio d’anni di docenza  a contratto per l’università, ho iniziato a lavorare a scuola e lì ho incontrato un buon numero di personaggi del mio libro. La versione tratta dal sogno del 2010 era tutta in prima persona. In classe, invece, mi trovavo a simulare lo sguardo sul mondo dei ragazzi con cui lavoravo. Ho trasformato alcuni degli appunti che prendevo su di loro nelle caratteristiche di morti viventi che, nella prima versione del libro, non c’erano. Questo ha reso tutto più reale. Ecco perché ora il libro inizia con la descrizione di uno di questi studenti, che non solo è identico a DiCaprio, ma si chiama davvero Leonardo. È una cosa che non mi sarei inventato. Per unire i diversi livelli di realtà, ho provato a trasportare dall’uno all’altro un oggetto magico: l’apparecchio di questo ragazzo. L’ho visto nel mondo, l’ho immaginato nel romanzo, l’ho unito al sogno, con tutti i suoi piccoli dettagli che si trasformavano in altrettanti effetti di realtà. Dopo aver descritto l’apparecchio, è stato come se il libro si fosse guadagnato un grado innegabile di esistenza. C’era, finalmente, dopo dieci anni, davvero.
Mancava solo l’ultimo tocco, che ho dato grazie alla collaborazione con Silvia Falabella, la meravigliosa editor che Del Vecchio mi ha affiancato.

 
Enrico e poi il giovane sosia di DiCaprio, la piccola Tokyo, la scrittrice AnnaCambi, Topolino e Mezzafaccia: sono i nomi dei protagonisti di questa narrazione corale. Si tratta di nuovi zombie che vivono relegati dentro una stazione della metropolitana in una Roma distopica. Vuoi descrivere meglio nel dettaglio chi sono questi personaggi e attraverso loro addentrarci nella trama di questo romanzo post-apocalittico?

Nel libro il mondo è diviso in due. Si immagina che, tra una cinquantina d’anni, i vivi abbiano relegato i morti nelle gallerie della metropolitana di Roma, così come li hanno imprigionati in modi più o meno creativi nelle altre città. La storia, all’inizio, viene raccontata direttamente da un morto un po’ particolare, uno che non solo ha reimparato a parlare, ma a leggere e poi a scrivere. Così la prima delle tre parti che fanno Mezzafaccia è costituita dal suo diario. È dal suo punto di vista e attraverso le parole che scrive che il lettore conosce gli altri morti viventi e poi anche i vivi. Enrico, in particolare, è quello che gli porta un libro. La lettura rianima la mente dello zombie e questo gli permette di descrivere quello che ha intorno, gli spazi abbandonati della stazione, le figure anonime che ci si muovono dentro come in stato di sonnambulismo e quelle riconoscibili citate nella domanda. Topolino è una ragazza senza labbra, che fa scattare continuamente a vuoto il suo morso. È morta con indosso una felpa della Bunte Republik Neustadt (BRN: Repubblica colorata della Neustadt), una micronazione immaginaria che ha sede a Dresda e che ha la faccia del personaggio Disney sulla sua bandiera. AnnaCambi, che ho ritratto dal vero, è una scrittrice che abita a Volterra e si è fatta tatuare sulle braccia l’autografo di Stephen King e la faccia di Wallace, due scrittori che hanno molto a che fare con l’immaginario della nostra generazione e con questo romanzo. Tokyo è una bambina cinese, adottata dopo la sua morte e rinascita da AnnaCambi, che tratta male tutti tranne lei.
La seconda parte del libro racconta le morti dei personaggi che abbiamo conosciuto come zombie nella prima, mostra il mondo della superficie e la vita e le azioni dei vivi che hanno deciso di aiutare i morti. In un mondo senza politica, la solidarietà con i reclusi diventa un gesto rivoluzionario. Fin dall’inizio, inoltre, gli zombie sono ritratti come persone che hanno molte caratteristiche comportamentali proprie dell’autismo e un ragazzo autistico diventa, mano a mano che la storia va avanti, sempre più importante per il racconto. Come per il mio primo romanzo, L’istrice, ho pensato che questa neuroatipicità fosse una specie di luogo di convergenza delle figure del racconto. È una cosa della quale credo che continuerò a parlare anche nei prossimi libri.
Nella terza parte di Mezzafaccia il mondo sotterraneo e la superficie entrano finalmente in contatto, ma spero che i lettori abbiano voglia di scoprire da soli come e con quali risultati.

 
Una profonda riflessione sull’importanza e la centralità della letteratura, con tanto di citazioni, viene fatta attraverso la lettura del romanzo Mezzafaccia. Ma, con una prosa ricercata e molto curata, tra le tante situazioni di lotta e resistenze che vengono messe assieme, il genere del racconto zombie viene in realtà utilizzato per porre l’accento su diversi aspetti sociali della contemporaneità. Mi piacerebbe Luca, che per i nostri  lettori forti di Satisfiction, tu riuscissi a spiegare al meglio i temi che muovono questa narrazione?

Come buona parte della mia scrittura, Mezzafaccia prova a vincere il terrore che si prova quando si tenta di parlare e ci si accorge di non poter essere compresi. L’io diviene militante proprio mentre rimane bloccato tra la testa e la gola. Paradossalmente, in letteratura la paralisi può articolare un discorso fecondo. Il tema portante potrebbe quindi essere il linguaggio come fatto esistenziale quanto politico. Come dicevo all’inizio: logopedia, letteratura, rivoluzione. C’è una scena, nella prima parte, in cui i morti dondolano e danzano mentre ascoltano dei brani recitati a memoria. Un po’, mentre la scrivevo, ho pensato alle comunità preistoriche che probabilmente hanno inventato insieme civiltà e letteratura mentre danzavano intorno al fuoco.
C’è poi l’aspetto che riguarda il singolo e la sua possibilità di essere compreso. Il narratore della prima parte del romanzo vive prima una rigenerazione del pensiero verbale leggendo e poi recitando a memoria poesie e brani di prosa, poi una regressione delirante, nella quale al posto della coscienza si ritrova un flusso di citazioni nelle quali testi di film e libri si mescolano su base essenzialmente ritmica, un’ecolalia erudita. In questo senso, il libro che ho scritto assomiglia poco all’horror contemporaneo. Ciò nonostante, spero che lo zombie, in Mezzafaccia, sia proprio sé stesso per come ci è stato consegnato dall’immaginario derivato da Romero. Una figura spaventosa di quello che diventiamo a causa dell’alienazione consumistica, un’allegoria di matrice rivoluzionaria. I morti viventi sono gli ultimi, inchiodati all’afasia mentre ancora cercano di entrare nel supermercato o infilarsi in una casa borghese. Insomma, i film dell’orrore, Stephen King, Dylan Dog, nella mia testa convivono un po’ promiscuamente con Emily Dickinson, Dante e Proust. Non si pensa, abitualmente, che una storia di zombie abbia come chiave la lirica, la voce poetica. Io ho provato a fare anche questo.
In seconda istanza, c’è un piano più legato all’invenzione mitica: immaginarsi la reversibilità del trapasso o di dare voce ai defunti sono modi classici della poesia e del racconto. Come dire che andare nel regno dei morti, far parlare i morti e parlare da morti a chi non è ancora nato sono cose che poesia e narrazione fanno per statuto, uno specifico dell’animale umano rispetto alle altre bestie. “Vivemmo”, come scriveva Leopardi, ma anche uno strano e paradossale “vivremo” (vivranno). Mentre leggiamo, mentre scriviamo, le nostre fantasticherie è come se fossero parte di un infinito tessuto di immaginazione metacronica. Questo mi ricorda che Vanni Santoni, presentando il libro alla sua prima uscita per il Pisa Book Festival del 2023, fece un’affermazione molto interessante: questo libro, intanto che racconta ciò che accade nella coscienza di una delle figure classiche dell’horror contemporaneo anche nei momenti in cui mangia viva una persona, inventa anche una risposta alla domanda su cosa possa restare di noi, per così dire, “in noi”, dopo la nostra morte. Vanni disse: i libri che abbiamo letto. È un’ipotesi narrativa che non mi dispiace affatto.

Buona Lettura di Mezzafaccia di Luca Cristiano.

Antonello Saiz

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