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Operaprima. Intervista a Simone Salomoni

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Per le Tre Domande del Libraio su Satisfiction incontriamo oggi Simone Salomoni, docente di scrittura alla Bottega di narrazione e autore di “operaprima”, romanzo d’esordio pubblicato da Alter Ego Edizioni il 26 settembre.

Antonello Saiz

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Simone ci racconti il tuo percorso nel mondo della scrittura e come nasce l’idea di “operaprima”, oltre a descrivere il tuo approdo nella casa editrice Alter Ego nella Collana Specchi?

 Hai presente quelle persone che dicono: “avevo questa storia in testa, l’ho scritta, è piaciuta, me l’hanno pubblicata”? Ecco, io non posso dirlo. Ho sempre pensato di essere uno scrittore, è la sola certezza – la sola – che ho avuto nella mia vita, anche se non ho mai voluto fare lo scrittore, il mio essere scrittore non coincide con immaginare e raccontare una storia e quindi non potrò mai fare lo scrittore, posso limitarmi ad esserlo. La scrittura è per me la messa in pratica di un’attitudine; è la lente offuscata attraverso la quale osservo il sole, non puoi guardare il sole a occhio nudo o troppo a lungo, ti bruceresti gli occhi; è il setaccio attraverso il quale seleziono il dato, il mio setaccio ha dei fori minuscolissimi, dei fori dai quali non passerebbe lo zucchero a velo e quindi le storie che restano, che credo valga la pena raccontare, i libri che vale la pena scrivere – vivere, banalizzo così ogni lettore riempie il verbo come più lo aggrada, è di gran lunga più utile e divertente e gratificante che scrivere – sono pochissimi.
operaprima” non nasce da un’idea, ma da un’immagine che ho avuto nel 2009 o nel 2010, che è presente nel libro e che non rivelo per non farmi odiare dal lettore, significherebbe svelare il finale; è un’immagine ha trapassato il setaccio e quando ho trovato la forma capace di contenerla mi sono messo a scrivere: tre mesi per la prima stesura, un altro paio di mesi per la revisione, poi la mia agente ha cominciato a fare girare il romanzo. Ho scelto Alter Ego perché mi sembravano fra i pochi editori interessati a portare avanti un tipo di ricerca coerente non solo con il mio romanzo, ma anche con la mia poetica. Ricerca che è manifesta a partire dai nomi dati a casa editrice e collana.
 
Un romanzo particolare dove, nella narrazione, la trama e l’intreccio passano in secondo piano rispetto alla sfida innescata nel lettore con il fluire di una scrittura e di un linguaggio innovativi. Eppure alla fine della lettura rimane fortemente impressa questa storia potente di fascinazione a tre, sull’Appennino bolognese, tra un pittore quarantenne impotente, l’adolescente Simone Salomoni e sua madre Marie Bertrand. Vogliamo raccontare più nel dettaglio come si muovono questi tre protagonisti nell’intreccio di una serie di situazioni disfunzionali?

La storia, in effetti, è stato l’ultimo elemento ad andare a posto, forse perché nella mia idea di scrittura è il meno importante. Prima è arrivata l’immagine alla quale ho accennato sopra, poi è arrivata la forma, senza l’intuizione di alternare due tipologie di testo scritto, la confessione e i racconti, e quindi di fare sì che nel romanzo tutto fosse scrittura – e quindi finzione – sarei ancora impegnato a cercare il contenitore adatto ad ospitare l’immagine primitiva. Trovata la forma tutto si è rischiarato, fatto più semplice. Ho cominciato a immaginare i personaggi – o meglio le loro relazioni, secondo il procedimento tipico della mia immaginazione – e stabilite le relazioni fra i tre personaggi principali (era per me necessario mettere in scena: il conflitto all’interno del nucleo famigliare e la famiglia come luogo di nascita delle disfunzionalità di cui tanto oggi si sente parlare e alle quali anche tu accennavi; il legame che si crea fra docente e discente: un legame molto particolare, simile all’amore perché richiede un reciproco riconoscimento, reciprocità che in relazioni di altra qualità non è indispensabile; la banalizzazione del corpo e del sesso, dei corpi che attraverso il sesso non si usano ma si consumano, del sesso inteso come strumento di esercizio del potere) ho pensato all’ambientazione e in ultima battuta alla storia. In quel momento avevo il romanzo, potevo cominciare a scrivere, ma non l’ho fatto. Mi mancava il trick, il colpo che mi facesse dire: ok, vale la pena raccontare questa storia, sublimare gli aspetti dolorosi che contiene, farci pace; per convincermi dovevo ancora riconoscerla come il granello capace di superare il setaccio, doveva spingermi a dirmi: devi raccontare questa storia perché questa storia, così, puoi raccontarla solo e soltanto tu e quindi è tuo dovere farlo. Il punto di svolta è arrivato quando ho intuito, anzi chiarito, che il mio nome – Simone: che per noi italiani è maschile ­– in altre culture e lingue, prima fra tutte il francese, è un nome femminile. Questa banale osservazione mi ha permesso di mettere in scena un personaggio che ha il mio nome e cognome, elemento ricorsivo della mia scrittura e perno della mia poetica, ma che allo stesso tempo è del tutto altro da me, così da allontanarmi dalla cosiddetta autofinzione per accostarmi a qualcosa che sento più mio, che trovo più moderno e interessante e che io chiamo autofrizione.
 
A colpire il lettore è un montaggio che vede l’alternanza tra la storia principale e dei brevi racconti scritti. A partire anche dalle importanti considerazioni sull’Arte e sulla ricerca del Vero vogliamo soffermarci nello specifico sull’aspetto formale e la composizione strutturale e se, da lettore forte e docente, racconti anche agli amici di Satisfiction le letture da abbinare a “operaprima”?

Credo di non essere uno scrittore di racconti, non ho mai praticato la forma, quelli contenuti  in “operaprima” sono in pratica i primi quattro racconti che ho scritto e – come dicevo in precedenza – sono stati fondamentali per trovare la forma adatta a contenere l’immaginazione e a rendere così possibile il romanzo. Questi racconti sono importanti all’interno della narrazione perché mi permettono dare concretezza al personaggio di Simone, Simone vuole essere artista, la sua arte è la parola scritta, era indispensabile mettere in scena questa forma d’arte, mostrarla e mostrala nella sua evoluzione, altrimenti il personaggio sarebbe rimasto poco credibile, parlare d’arte senza mostrarla, impaginandola in astratto, come concetto o pensiero, mi sembrava una soluzione facile: e fragile; ha a che fare con la ricerca del vero, il vero per l’artista passa d’istinto, quasi in automatico, attraverso il diaframma della finzione, senza finzione non può esserci verità e in “operaprima” senza la finzione dei racconti il lettore non può comprendere le verità presenti nella confessione.
Ai lettori di Satisfiction consiglierei di abbinare la lettura di “operaprima” all’ascolto del vinile “Ballate per piccole iene” degli Afterhours e agli Afterhours in genere, perché credo che una certa parte del mio immaginario affondi lì le sue radici; alla visione della serie TV BoJack Horseman per i debiti che ha – e che ho – con modernismo e postmodernismo; alla conoscenza del “Ciclo delle stelle” e in particolare della performance “L’umiliazione delle stelle” di Mauro Covacich per una certa idea di arte e di letteratura come forma d’arte. Una delle possibili attitudini riguardanti la scrittura: attitudine che in Italia mi pare tuttora minoritaria e forse ostracizzata.

Buona Lettura di “operaprima” di Simone Salomoni

Antonello Saiz

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