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Gli anni Novanta – Prima parte

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Davide Steccanella

La prima volta che sono andato al cinema fu a Padova, era il 1965.

Avevo poco più di tre anni e mamma e papà mi portarono a vedere Mary Poppins di Walt Disney.

Da allora ci sarei tornato molte volte.

Penso che non mi stancherò mai di andare al cinema.

Dicono che il primo lungometraggio sia stato Nascita di una Nazione dell’americano David Griffith, uscito l’8 febbraio del 1915.

Sono passati più di cent’anni, sono usciti migliaia di film e si continua ad andare al cinema.

Ho voluto ricordare 260 titoli italiani e stranieri in ordine cronologico dedicando, al termine di ogni decade, un approfondimento a registi, attori o a particolari “filoni”.

Ovviamente sono scelte soggettive che non metteranno d’accordo tutti, ma l’importante è continuare ad andare al cinema.

Perché nessuno schermo televisivo saprà mai restituire la magia di un grande schermo che si illumina nel buio di una sala gremita di spettatori vocianti che improvvisamente si zittiscono, come davanti a un’apparizione divina.

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La decade dei film più intimisti che raccontano la provincia americana, ma anche del Titanic e di Pulp Fiction

Cattive compagnie di Curtis Hanson (1990)

Fu il capostipite degli stalker movie, filone in seguito un po’ abusato. In ambientazioni ancora molto anni Ottanta, Rob Lowe, ai tempi fascinoso seduttore, è il cattivo Lucignolo di James Spader come sempre perfetto nel ruolo dell’Upper di sane e liberiste ambizioni, finché il gioco non si fa troppo duro e perverso da sfuggire al controllo di entrambi. Nel ruolo del fratello tonto ma decisivo bravo Cristian Clemenson e memorabile la scena del video hard fatta proiettare sul televisore dei borghesi genitori della promessa sposa di Michael.

Che mi dici di Willy di Norman Renè (1990)

Una comunità di amici gay si trova ad affrontare agli inizi degli anni ’80 la falcidia improvvisa e drammatica dell’AIDS e alcuni di loro ci lasciano le penne prima che il tutto venga compreso e metabolizzato. Tante belle storie raccontate per la prima volta in modo diretto e senza filtro con attori ispirati come Bruce Davison, Campbell Scott e Dermot Mulroney e l’immancabile amica “fag hag” Mary Luise Parker. Gran bella musica e finale commovente per un flagello di cui ormai si è persa memoria.

Pomodori verdi fritti alla fermata del treno di Jon Arvet (1991)

Negli anni seguenti la solfa dei titoli culinari avrebbe sfracellato, ma questa storia di un passionale amore saffico non esplicitato tra due amiche provate dalla vita che allestiscono un caffè contro la brutalità dei maschi e il razzismo di quegli anni è coinvolgente e ben realizzata. Bella soprattutto la trovata di farla raccontare dalla vecchia Jessica Tandy a una come sempre strepitosa Kathy Bates, leggendaria nella scena del parcheggio fuori dal supermarket quando dice “io sono più vecchia e meglio assicurata”. Ansiogena la scena della scarpa intrappolata del giovane Chris O Donnell di un film apparentemente soave che non risparmia tragedie e omicidi.

Un bacio prima di morire di James Dearden (1991)

Sembra il titolo di un filmetto ma non lo è. Girato con tecnica e musiche da noir anni ’40, è uno dei più sconvolgenti racconti di una rivalsa di classe, quella del piccolo proletario Jonathan che vede passare tutti i giorni dalla finestra della sua squallida cameretta i vagoni della ditta Carlsson di uno degli uomini più ricchi d’America. E così contatterà le sue due figlie gemelle e sarà tragedia senza ritorno. Matt Dillon ha la faccia giusta e Sean Young è molto brava nella doppia parte.

Belli e dannati di Gus Van Sant (1991)

Il vero titolo è My Own Private Idaho dove si conclude la parabola del narcolettico Enrico IV di Shakespeare, oniricamente riadattato nel tossico homeless Mike che si prostituisce per vivere nei bassifondi metropolitani di Portland insieme all’amico Scott, ricchissimo rampollo in cerca di stimoli “oltre frontiera” come il Gafitas del romanzo di Cercas. Lo strepitoso River Phoenix, meritata coppa Volpi a Venezia, conferma che se non fosse morto anzitempo solo due anni dopo i vari Di Caprio, Deep e compagnia cantante avrebbero faticato non poco ad emergere, Keanu Reeves non è mai stato così figo neppure sul bus di Speed e la nostrana Chiara Caselli, improbabile cameo di una altrettanto improbabile gita italiana nel solito casolare toscano, ha fatto bene a ritornare nei suoi più limitati ranghi paesani. Poesia e sensualità allo stato puro e vero e proprio cult gay senza neppure dover mostrare scene di sesso che il regista sublima in fermo immagini sensazionali, film non solo bello ma tanto stupendo quanto sottovalutato.

A proposito di Henry di M. Nichols (1991)

Strepitoso Harrison Ford nella parte dell’odioso avvocato dell’Upper di Manhattan che diventa il migliore dei padri e mariti possibili dopo essersi preso una pallottola in testa durante una rapina dal tabaccaio sotto casa. Molto brava anche Anette Bening nel ruolo della moglie ex fedifraga che scopre premurosa un “nuovo” marito e il fisioterapista Bill Nunn. Una chicca vedere la piccola e non ancora famosa Mikki Allen.

Grand Canyon di L. Kasdan (1991)

Meritato Orso d’oro a Berlino. Bellissimo intreccio di sei personaggi in una Los Angeles caotica e violenta che ruota intorno all’incontro occasionale tra il ricco Mack e il meccanico di colore Simon e che sfocia in un’amicizia speciale che troverà soluzione finale nell’ammirazione di uno dei posti naturali più suggestivi della terra. Bravissimi Kevin Kline e Danny Glover ma non da meno l’eccezionale produttore di Bmovie di Steve Martin. Notevole anche il cast femminile con Mary-Louise Parker, Mary Mc Donnel e Alfre Woodard

Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme (1991)

Oscar per tutti e quattro i più importanti premi: film, regia, attore e attrice con imperitura mitizzazione del fino a quel momento sobrio attore gallese Antony Hopkins nel leggendario ruolo di Hannibal Lecter. La scena in cui Jodie Foster cerca di sfuggire al buio pesto al serial killer dotato di appositi occhiali all’interno della casa degli orrori è una delle più adrenaliniche della storia del cinema. Ottimo anche Anthony Heald nel ruolo del Dottor Chilton, il maldestro e destinato a una brutta fine direttore del manicomio criminale.

Thelma & Louise di Ridely Scott (1991)

Il road movie femminile per eccellenza destinato a diventare anche una straordinaria guida di viaggio per i panorami mozzafiato del west USA fino al Grand Canyon. Gran parte del merito di questo film è dato dalla strepitosa performance delle due protagoniste dove ad una Susan Sarandon prevedibilmente brava si affianca una ai tempi meno nota Geena Davis in una involuzione caratteriale che avrebbe meritato l’Oscar. Il debutto dell’allora sconosciuto Brad Pitt è comparabile, per carica sensuale inaspettata, alla celebre apertura della porta di Marlyn Monroe pupa del gangster in Giungla d’asfalto di Houston. Da cult la frase della Sharadon “Ricordati che quando una donna piange in quel modo significa che non si sta divertendo per niente”, prima di abbattere il maschio violento in un parcheggio e dare inizio al tutto.

Eroe per caso di S. Frears (1992)

Comincia e finisce su un tetto di NY questo azzeccato film denuncia della suggestione mediatica che crea falsi eroi con finale non scontato. Dustin Hoffman si mostra una volta ancora impeccabile nel ruolo del brutto, sporco ma non cattivo, e la non protagonista Joan Cusack ruba la scena alla coppia glamour Andy Garcia e Geena Davis, ai tempi ancora in auge.

Luna di fiele di Roman Polanski (1992)

Geniale e intenso noir con pesanti risvolti psicologici tutto giocato tra due coppie che si incontrano durante una crociera che si rivelerà fatale per tutti e quattro. Si sfalda ben preso la stucchevole armonia dei due giovani sposini all’imprevisto contatto con l’amore perverso ma ben più affascinante dell’altra coppia di maledetti. Straordinari Peter Coyote, Kristin Scott Thomas e la bellissima Emmanuelle Seigner e per una volta tutto sommato accettabile anche quel gran lessone di Hugh Grant, uno degli attori più sopravvalutati degli anni Novanta. Geniale, bellissimo e tragico allo stesso tempo.

La moglie del soldato di Neil Jordan (1992)

Molte candidature all’Oscar per questo bellissimo film che racconta la storia dei due incontri speciali del protagonista Fergus, un militante IRA superbamente interpretato da Stephen Rea, prima con un militare britannico sequestrato dall’organizzazione combattente cui appartiene, e poi a Londra con la di lui fidanzata, lo straordinario attore di origini ghanesi Jaye Davidson, di cui si innamorerà. Passato alla storia per uno dei più sensazionali colpi di scena cinematografici, fu il primo film ad affrontare il tema transgender e la canzone che ha per titolo quello originale del film, The Cryng Game, è cantata da Boy George il leader dei Culture Club. Nel ruolo della militante Jude si fa valere come sempre la bravissima Miranda Richardson.

Gli Spietati di Clint Eastwood (1992)

Fu con questo capolavoro di moderno western crepuscolare, giustamente premiato con svariati Oscar, che il cinema mondiale si accorse di quale straordinario regista fosse diventato l’ex eroe degli spaghetti-western nonché sindaco destrorso della fintissima Carmel, la cittadina sulla costa alta del Pacifico per ricconi annoiati. Lo strepitoso Gene Hackman confermò di essere, insieme a Robert Duvall, il migliore attore USA della decade, ma una menzione particolare la reclamano anche Richard Harris e Morgan Freeman.

Con le migliori intenzioni di Bille August (1992)

Il film è tratto dall’autobiografia di Ingmar Bergman che ne ha curata la sceneggiatura ed è stato premiato con la Palma d’oro al Festival di Cannes che ha incoronato anche come migliore attrice Pernilla Wallgren Augus. La storia è quella assai tormentata dei genitori del grande regista svedese fino al di lui concepimento nel 1918 e nel cast due tra gli attori svedesi più amati da Bergman: Maz Von Sydow e Anita Bjork.

Davide Steccanella

Leggi anche Gli Anni Ottanta, prima parte e seconda parte.

 

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