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La ragazza ininterrotta

A volte l’unico modo di rimanere sani è andare un poco fuori di testa 

 

E’ una frase tratta dal romanzo del 1993 La Ragazza Interrotta  di Susanna Kaysen, che nel 1999 divenne un film Ragazze, Interrotte con protagoniste Wynona Rider e Angelina Jolie, dove si raccontano le vicissitudini di una giovane donna affetta da disturbo di personalità borderline che passa diciotto mesi in un istituto psichiatrico alla fine degli anni ’60. A quei tempi negli Stati Uniti le cliniche psichiatriche erano chiamate “loony-bin”, sanatori, ricoveri per matti, svitati e “lunatics” che in inglese significa pazzo furioso e non lunatico come viene ogni volta mal-tradotto in italiano.

Io sono una Ragazza Ininterrotta, indomata e indomita vagabonda del dharma sempre alla ricerca, sempre in viaggio, sempre in perpetuo movimento. Mentale, fisico, sessuale.

Altro memorabile memoir sul tema del disagio psichico è La Campana di Vetro, l’unico romanzo scritto dalla poetessa americana SylviaPlath, nata nel 1932, che ebbe una vita emotiva travagliata, subì un elettroshock e morì suicida a trent’anni. Il libro narra la lenta ma progressiva discesa negli inferi della depressione della giovane Esther Greenwood nella New York dei compassati e omologati anni Cinquanta.

La protagonista è intrappolata in una campana di vetro, dalla quale Esther cerca disperatamente di liberarsi volendo riuscire a essere altro per quanto si è stati rattoppati, ricostruiti e omologati per la strada. Se nevrotico vuol dire desiderare contemporaneamente due cose che si escludono a vicenda, allora io sono nevrotica all’ennesima potenza. Superfluo precisare che la Plath è una delle mie poetesse preferite.

Nella prima metà del secolo scorso negli Stati Uniti per curare le psicosi era in voga una pratica barbara e pericolosissima, ossia la lobotomia, un intervento di psicochirurgia che consisteva nel recidere le connessioni della corteccia dell’encefalo. Il risultato più riscontrato era il cambiamento radicale della personalità. La lobotomia era usata in passato per trattare una vasta gamma di malattie psichiatriche come schizofrenia, depressione, psicosi maniaco-depressiva o disturbi derivati dall’ansia. Emblematico in proposito fu il caso della sfortunata Rosemary Kennedy, terza figlia di Joseph e Rose Kennedy dell’omonimo clan, sorella dei ben più famosi John e Robert. Da giovinetta, la bella Rosemary – nata con un lieve ritardo mentale perché durante il travaglio la madre fu assistita da un’infermiera la quale, in attesa del medico, impedì a Rosemary di nascere, tenendola nel canale uterino per due ore in debito di ossigeno – iniziò a mostrarsi frivola e vivace, provocando nel severissimo padre, nonchéfamigerato nazista, Joseph, il terrore di un’eventuale onta e vergogna sulla famiglia per la quale il patriarca nutriva ambiziosi piani. Il padre si lamentò con i medici degli sbalzi di umore della figlia e della sua condotta sessuale libera e disinvolta. La soluzione finale del maledetto fu sottoporre nel 1941 Rosemary, che all’epoca aveva solo 23 anni, a un’invasiva e disastrosa lobotomia che la trasformò in un vegetale.

Episodio raccontato con garbo e sensibilità nel bel libro Quando Cadono Le Stelle del critico letterario Gian Paolo Serino. Durante la presentazione del libro presso la Libreria del Mondo Offeso a Milano, Gian Paolo citando l’episodio di Rosemary mi chiese di alzarmi nel pubblico per indicarmi ad esempio di cosa sarebbe potuto succedere anche a me se fossi nata in altri anni e in un’altra famiglia. Eh sì, riso amaro …

Una profonda sensibilità mi lega alla tragica sorte di Rosemary perché sono sempre stata fragile, disinibita e irrefrenabile.Ho consapevolmente e appassionatamente scelto di seguire un lungo, e tormentato, percorso di aiuto terapeutico per conoscere e gestire i miei disagi mentali. Ho rifiutato le medicine per gestire la mia bipolarità preferendo affrontare a parole e in pianti il difficile confronto con i miei demoni. Iniziato a 20 anni con terapie dal sessuologo, proseguito da uno psicologo e completato poi con un pesante ma necessario periodo da un analista che mi ha salvato da me stessa e permesso di tornare in vita con euforia, slancio e coraggio. Ricordo il primo appuntamento con il dottor Reichmann, che già nel nome incuteva timore e rispetto: arrivai ancora stonata da una notte selvaggia, parlai a raffica con fare strafottente. Lui rimase in silenzio per tutto il tempo e mi congedò con una frase che mi raggelò il sangue perché incise nella ferita colpendo con precisione chirurgica: “Ho capito. Dunque, vuole portarsi a letto anche me?” Io balbettai un provocatorio: “Se volessi, ci riuscirei.” Uscii dal suo studio e scoppiai in un liberatorio e salvifico singhiozzo. Così fu per tre volte la settimana per un anno. Distrusse qualsiasi mia fasulla certezza, minò le mie melmose fondamenta per ricostruirle/mi. Fu il percorso più lancinante e rigenerante che abbia mai intrapreso. Se oggi, buffa e leggera, sensibile e fragile, determinata e schietta, affronto e racconto la vita lo devo in primis a me stessa per il coraggio di essermi guardata dentro nell’abisso, ai miei genitori per avermelo permesso e ai medici che hanno colto il mio disagio e mi hanno tenuta per mano per risolverlo. Non sottovalutate MAI la vostra emotività. Prendetevi cura della vostra anima. Medicate i dolori. Se possibile, analizzandoli, non solo stordendoli con medicine. Perché il mostro risolleverà sempre la sua diabolica testa se non lo siaddomestica.

Vi lascio con una nota divertente: il mio medico dice che sono la bipolare più sana che abbia mai conosciuto. Io gli rispondo sempre: “Sana o Xanax?!”

Comunque a me non dovrebbero mettere la camicia di forza bensì la mutanda di forza!

Roberta Denti
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