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Salvatore Patriarca inedito. Stranger Things. Il male della crescita

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Joker, Dexter, Walter White, Vito Corleone… perché rimaniamo affascinati da queste figure? Cosa ci attrae del male? Perché i cattivi sono sempre più protagonisti delle narrazioni mediali? E quali sono le ragioni che mettono il negativo al centro dei mondi immaginari? C’è veramente un pericolo imitativo dato dalle azioni di queste figure? Queste sono alcune delle domande che stanno alla base del saggio Il Cattivo di Salvatore Patriarca (Castelvecchi, 2023, pp.176, € 17,50).

Salvatore Patriarca è giornalista, filosofo ed esperto di questioni digitali e new media. Con Castelvecchi ha pubblicato Il digitale quotidiano. Così si trasforma l’essere umano (2018), Popgiornalismo. Il caso Dagospia e la post-notizia (2019) ed Elogio della banalità. Per una comunità indispensabile (2022).

Sostenuta da uno strutturato impianto teorico, l’analisi di Patriarca esplora il male come scelta e la violenza come conseguenza, in un percorso filosofico che si snoda attraverso figure mitologiche, letterarie, cinematografiche e televisive.

E la disamina dei cattivi è davvero articolata, si va dal lato oscuro del primo Rambo, a Joker, al colonnello Kurtz di Apocalypse now, senza trascurarne il più famoso: “Caino rappresenta la prima figura completa del cattivo. Egli, infatti, rompe la soglia trascendentale di realizzazione del male. Agisce, scegliendo un orizzonte significativo alternativo secondo il quale il merito dell’azione del fratello non è legittimo, e rende fattuale una realtà diversa, nella quale appunto la stessa presenza del fratello è annullata. (…) Se Adamo ed Eva sono l’origine ideale del male, i responsabili della caduta della realtà umana, Caino è l’origine reale del male, la concreta sanzione dell’articolazione competitiva e assiologica dello spazio significativo dell’umano. Il primo cattivo.”.

Si affronta il tema anche dal punto di vista ontologico: “L’essere del male è un essere in qualche modo a metà, qualcosa di non completamente realizzato ovvero che porta all’essere in maniera deficitaria qualcosa che sarebbe dovuta essere altrimenti, o non essere affatto”.

Non manca il fatale monito di Socrate nella sua arringa difensiva: «Anche voi, giudici, dovete esser fiduciosi sul tema della morte. Tenere a mente che c’è una sola verità sicura: non esiste male, per l’uomo moralmente retto, né nell’esistenza, né oltre la sua morte».

Un’analisi approfondita e sfaccettata che esplora le teorie filosofiche sul male, esplorando il mistero che avvolge questa oscura dimensione umana.

Carlo Tortarolo

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Stranger Things, il male della crescita

di Salvatore Patriarca, in esclusiva per Satisfiction

Stranger Things è stato ed è un caso di successo planetario. La serie è connotata da alcune novità caratteristiche proprie dell’epoca dello streaming: il flusso e l’immersività. Vedere una serie non è più un’esperienza singola e puntale, un appuntamento, un momento di sospensione dal tempo di vita normale. È viceversa immersione, continuità, definizione del proprio spazio rappresenativo. Per certe aspetti, è addirittura la sostituzione al tempo della vita esterna: si è quello che si vede. Si è quello che si sceglie di vedere, identificandosi in quei mondi narrativi e valoriali. Questa libertà singolare, estesa fino alle conseguenze più estreme, di pura autofondazione del sé, possiede dei risvolti particolarmente interessanti nella considerazione dei personaggi negativi. Nei mondi immersivi della costruzione rappresentativa il cattivo è sempre più il protagonista. E lo è in maniera sorprendente, anamorfica, attraverso una continua trasformazione dei significati che possono essere attribuiti a tale figura. In altre parole, il cattivo sembra sempre essere quello che commette l’azione che dovrebbe essere considerata negativa. Il problema è che, modificando la prospettiva, contemplando le possibilità della complessità, quell’azione non riesce più a essere definita tale.

il mondo intorno si rifigura continuamente. I cattivi sono dunque meno cattivi e la connessione valoriale ha un peso solo se si assume una specifica prospettiva. Appena cambia o se ne assume un’altra, tutto va ridefinito.

In tal senso è esemplare proprio il caso di Eleven, la protagonista di Stranger Things.

La serie

Entrando nello specifico della serie dal successo tutto sommato inatteso, si potrebbe subito notare come a livello contenutistico non ci si trovi di fronte a un sperimentalismo estremo. La storia si presenta secondo modelli abbastanza usuali: una piccola cittadina della provincia americana, in questo caso Hawkins nello stato dell’Indiana, un gruppo di adolescenti davanti alle prime prove dell’adolescenza, divisi tra amicizia e competizione. A ciò si aggiunge, soprattutto nella prima stagione, un filo narrativo complottistico secondo un linea di contrapposizione tra giovani e adulti. Al centro di tutta la storia c’è una ragazza, Eleven, con poteri telecinetici. Ci sono soprattutto gli anni ottanta con l’innocenza fantasmagorica che si attribuisce loro come momento di inizio della contemporaneità informatico-digitale.

La serie, per tutta la prima stagione e buona parte della seconda, vive proprio su questo elemento nostalgico e su una caratterizzazione avventuristica delle ambiguità della vita di provincia, dove dietro l’apparenza di perfezione si annidano delle oscurità inconfessate. Per raccontare questa oscurità l’intuizione narrativa dei fratelli Matt e Ross Duffer, sceneggiatori e creatori della serie, è quella di proiettare il male del quotidiano verso una dimensione parallela e speculare, l’Upside down, nella quale è imprigionata la minaccia del negativo. Tale proiezione d’alterità è un chiaro movimento anamorfico: il male diventa il Male assoluto di un altro mondo, preda dell’oscurità, che cerca di introdursi nella quotidianità del vivere. Eleven e i suoi amici sono chiamati alla grande avventura che è confrontarsi con questo male e provare a sconfiggerlo, permettendo a tutti gli altri di continuare a vivere serenamente al riparo dalla minaccia dell’oscurità.

La lotta contro il male

Questo tratto, insieme favolistico, soterico e formativo, diventa pienamente esplicito proprio sul finire della seconda stagione, quando si supera in maniera definitiva l’ambiguità del rapporto contrappositivo tra adulti e adolescenti, e la posta in palio diventa il significato stesso del crescere. Proprio perché il portato significativo è il più importante, la sfida è quella essenziale: affrontare il male nella sua forma più inquietante, che è poi la paura di affrontare la vita. La forza della serie e la sua profonda modernità è insita nella modalità con la quale avviene questa battaglia senza una logica stringente o una costruzione teorica coerente, ma con passione e fiducia reciproca. Il male assoluto è un male dalle forme mostruose, è un nemico che genera terrore, dal quale bisogna fuggire e che bisogna tuttavia sconfiggere. A livello visivo si è completamente immersi in una condizione anamorfica. Il male ha ridotto al minino la sua componente fattuale. Non ci sono propriamente fatti malvagi. Ci sono dolori giovanili che segnalano la spia di questo male. Ci sono alcune morti, è vero, che colpiscono proprio quelle figure che si dimostrano meno adatte ad affrontare la realtà.

L’intera storia è narrata in questa multidimensionalità nella quale ogni tratto negativo è principalmente un’occasione significativa. Lo è per la crescita del gruppo di ragazzi adolescenti. Lo è per gli stessi adulti; anche questi sono chiamati a crescere di nuovo, a ricominciare la loro vita sfidando, come mai sono riusciti prima, le loro insicurezze per riuscire a rendere realtà la vita che avevano sempre immaginato di vivere. In questa grande costruzione formativa, nostalgica e immaginifica, il punto centrale intorno al quale si snoda ogni elemento è proprio il cattivo che ogni volta si rifigura: il Demogorgone, il Mind flyer, Vecna. Tutte queste figure del male sono l’alterità minacciosa, sono il cattivo che vuole diventare dominante. Non si tratta tuttavia di un alterità metafisica, non è un altro oscuro che va illuminato attraverso un processo transitivo, non è neanche un altro eterno dal quale bisogna sempre guardarsi e temere. Non c’è questa ambizione metafisica, non c’è neanche una completa coerenza nella progressiva articolazione delle figure diaboliche. Ma ciò conta poco. Tutto si tiene nella continua anamorfosi del cattivo che ogni volta rilancia la sfida significativa del confronto con il negativo.

Eleven, l’origine del male

Tale mancanza speculativa, se così si può chiamare, incontra in realtà un calzante spiegazione esistenziale a conclusione della quarta stagione che conferma il carattere vitale dell’intero confronto con il male. All’origine del sottosopra (l’Upside down), all’origine della realtà parallela nella quale dimora il cattivo e ogni oscurità, c’è la stessa eroina della serie, Eleven. La bambina dai superpoteri, che è diventata ormai ragazza, scopre in se stessa che sono state queste doti soprannaturali a determinare la creazione dell’altro mondo. L’alterità è allora veramente speculare, è l’abisso di se stessi. È la tentazione del male che diventa sempre più forte di fronte alla difficoltà del crescere. Il cattivo è il buono in un’altra proiezione di sé. I piani si differenziano e si confondono, esprimendo al fondo il sentimento di terrificante precarietà propria della vita umana. E ciò avviene attraverso una visionaria trasformazione del cattivo come centro di ogni declinazione esistenziale.

Eleven è la perfetta rappresentazione contemporanea del cattivo anamorfico. È colei che, in sé, ha la forza del bene assoluto, del sacrificio eroico per la salvezza degli altri e l’oscurità del male originario, il difetto di giudizio che genera il male. Non c’è più quella linearità dei personaggi eroici, non c’è addirittura spazi per una completa bontà. Rimane lo spazio di una male continuamente cangiante e il cattivo è la figurazione che di volta un volta assume questo male e che si può considerare tale secondo attraverso uno specifico punto di vista. Si cambia la prospettiva e si modifica la percezione dell’agente. Come accade appunto per Eleven.

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