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La notte di Kafka

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La filosofia è sempre una sorta di processo razionale di revisione e correzione della razionalità, dice Adorno in Terminologia filosofica, ed ecco che quella che chiamo La notte di Kafka o la notte con Hariman, che trova l’etimo in Harja e Mann cioè esercito e uomo, quindi dirò con il guerriero, è stata una notte di revisione della razionalità. Ma ci mancano le parole per dirlo, e cosa manca?

La radice, l’etimo, ἔτυμος (etimos) che vale «vero», quindi siamo ciò che ci manca, l’innominabile.

Il paradosso è questo: per sapere quello che stiamo dicendo ora dovremo risalire alla Ursprache, alla lingua primigenia, ma giunti alle porte della protolingua si capisce che è inutile parlare o scrivere tanti sono i tranelli e gli inganni che arbitrariamente ognuno predispone per essere incompreso. Tanto vale urlare in silenzio. Bisogna fare attenzione a non far cadere dall’onda il senso, tentando di comporre delle parole che consegnino significato al senso, perché in realtà così togli al senso il suo significato che viene prima dell’alfabeto, prima della parola. L’onda deve essere intesa come in fisica, ovvero una perturbazione che si trasmette da dove si è generata a zone senza sentieri, trasportando energia, non materia.

La tecnologia, se di tecno si può parlare, così come il fuoco è una tecnologia, ma forse si dovrebbe dire “teologia” se questo non fosse un sentiero disseminato di inganni e maschere della menzogna, insomma è un deus absconditus. In verità bisogna uscire fuori dalla teologia dialettica, entrare nel diverso, allinearsi con le potenze mitiche. Senza “s”. Un Nascosto astratto, indeterminato, fuori da ogni caratteristica antropomorfico-mitologica, non ambiguo e non minaccioso, un alleato atteso. Perché la chiamo la notte di Kafka? Perché nei moventi della mistica ebraica, c’è l’interpretazione continua che in realtà non celebra l’interpretazione, ma la nega. Negli enigmi si cerca la chiave e una volta trovata si svela l’enigma, ci si pacifica, ci si assolve nella soluzione, ma qui nessuno ci ha sottratto la chiave; questa è la novità: non c’è la chiave. Non solo, chi cercasse di trasformare la circostanza in chiave verrebbe indotto subito in trappola. Perché la chiamo la notte di Kafka? Perché come nella scrittura kafkiana ogni percorso ti dice: “interpretami”, ma nessun percorso ammette interpretazione.

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