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Bruno Ventavoli. Seimila gradi di separazione

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Ogni epoca ha bisogno di un’opera letteraria che faccia da contraltare alle mode narrative del suo tempo; un romanzo capace di smascherarle, pungolarle, ridicolizzarle, provocarle e infine spinge il lettore a ammettere l’esistenza di altri lavori, di altri tipi di storie.

L’emergenza Covid ci ha costretto a rinchiuderci in casa, il mondo letterario perciò ha reagito in vario modo.

Per esempio, si è verificata la proliferazione di antologie di racconti di matrice “decameroniana”, volte a emulare lo spirito di reclusione dei giovani rinchiusi nelle cornice-villa del capolavoro di Boccaccio ai tempi della Peste Nera.

Altri scrittori hanno prodotto romanzi dell’Io, opere che ospitavano la propria biografia. il 2020/21 è stato il trionfo dell’autofiction. Come se ci fossimo dimenticati di un assunto vitale: le storie devono essere abitate dai personaggi, non da un claustrofobico Io narrativo.

Per non parlare degli inutili “Diario della Quarantena”, una moda pseudo letteraria che i letterati del futuro non prenderanno nemmeno in esame per apprendere in toto i fragili meccanismi sociologici di questi anni.

Perciò è difficile nel panorama odierno scorgere opere originali, spogliate dal protagonismo narcisistico. Per fortuna Edizioni E/O ha dato alle stampe il polifonico romanzo sperimentale di Bruno Ventavoli. Famosissimo per il suo eccelso lavoro da traduttore dall’ungherese e per la cura di “TuttoLibri”, l’inserto culturale de La Stampa.

Un intellettuale che vive di libri, di inchiostro e recensioni, ora autore di Seimila gradi di separazione, romanzo labirintico, a tasselli, con echi e reminiscenze che legano le ventiquattro storie di cui è composto le une alle altre.

Un viaggio spericolato sulle montagne russe dello storytelling e, come dice lo stesso autore, senza nessun tentativo di autobiografia, tranne le ovvie tracce di una memoria involontaria, che ha sedimentato in esso le macerie di esperienze vissute.

Uno stile brillante ci accompagna in un carosello di attori narrativi ossessi e straordinari, quasi surreali.

Ventavoli irradia le sue pagine di una potenza ironica devastante, rendendo piacevole anche il lato più grottesco e bestiale dell’essere umano. Il suo Seimila gradi di separazione è stato scritto, è innegabile, col sorriso.

Solenoide e spirale, dalle movenze di un pitone psichedelico che si avvolge su se stesso fino a svelare le infinite potenzialità di un mondo immaginifico e cangiante, questo suo romanzo.

Ventavoli non scrive una storia, ma un itinerario nella commedia umana, tributando autori e storie impossibili da codificare. In questa Route 66 fatta interamente con BlaBlaCar, siamo al cospetto di un tessuto narrativo strabordante, siamo saturi di una potenza iconica e comica a dir poco inedita negli ultimi dieci anni in Italia.

Da leggere fino a toccare un finale così pazzesco da costringere chiunque a giocare con i racconti già letti. Per ritrovare la via e il senso di dettagli essenziali per comprendere un affresco gigante in cui Ventavoli ha ritratto le nostre mancate connessioni.

Un miliardo di volte separati da noi stessi e dagli altri, viviamo deragliando da quello che siamo.

Cristiano Saccoccia

Recensione al libro Seimila gradi di separazione di Bruno Ventavoli, Edizioni E/O 2021, pagg. 336, € 18.00

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