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Joyce Carol Oates. Pericoli di un viaggio nel tempo

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Joyce Carol Oates in Pericoli di un viaggio nel tempo (Hazards of Time Travel) edito dalla Nave di Teseo, porta alle estreme conseguenze tutto il peso politico e direi antropologico connesso all’ossimoro di “Guerra al terrore” inaugurato da George J. Bush dopo l’attacco alle Torri gemelle del 2001.

La scrittrice lo immagina operativo nel 2040, con l’instaurazione degli North American States, NAS, un regime totalitario e concentrazionario in cui ogni libertà di parola è abolita a favore della sicurezza nazionale; in cui la gente vive nella costante paura del nemico alle porte, sottomessa a un controllo tecnologico ossessivo; in cui la pena per il dissenso consiste nella deletion, cioè nell’essere richiusi in campi di detenzione a vita, nei casi più gravi nella vaporizzazione, ossia nella pena di morte tramite raggi laser, teletrasmessa nei canali televisivi per dare l’esempio a futura memoria e per incoraggiare delazione e codardia.

Romanzo distopico che si raccorda benissimo ad altri lavori del genere, in primis al 1984 di George Orwell, quindi a Margaret Atwood (Il racconto dell’ancella), in fine a Kazuo Ishiguro (Non lasciarmi) per la stessa sensazione di claustrofobia e impotenza che detti scrittori sono riusciti a ricavare da una narrazione prossima alle scansioni di un incubo, ricavandone al contempo il senso di un perenne stato di prostrazione senza vie d’uscita per chi vive e pensa fuori dal coro.

L’inizio è fulminante: “Ho sbagliato tutto, e ho fatto tutto da sola. O meglio non ho usato proprio la testa. E adesso, che fosse vanità o idiozia, sono perduta. A volte quando sono in ginocchio come stessi in preghiera, riesco a passare oltre le barriere della censura e a ricordare. Ma poi mi scoppia la testa. Una fatica pazzesca come cercare di vincere la forza di gravità su Giove”.

Adriane Strohl è una brillante studentessa di 17 anni eletta migliore studente dell’anno e invitata a tenere un discorso. I suoi genitori sono stati sospettati in passato (perciò declassati) di aver nutrito simpatie di sinistra. Per le stesse ragioni uno zio è stato vaporizzato.

Adriane, ancora prima di tenere il discorso, viene arrestata a causa dei suoi appunti, torturata e infine vaporizzata in una forma penitenziale sconosciuta alla collettività, ossia costretta a vivere nell’anno 1959. Nuovamente studentessa, ma in una università vittoriana nel Wisconsin, dove risiederà in pianta stabile sotto altre spoglie, con la prescrizione di non allontanarsi a più di dieci miglia dal Campus. Per sorvegliare Adriane, le viene inserito un microchip nel cervello. Inspiegabilmente risulterà ancora capace di ricordare pezzi della sua precedente vita, i suoi genitori, lo studente arrestato assieme a lei e che ha visto essere vaporizzato da un raggio laser.

In questa nuova vita lei si chiama Mary Ellen e si confronterà con una società priva di Internet, di cellulari, dove ogni informazione e conoscenza è appurata soltanto per mezzo della carta stampata. Una società in cui si può ancora dissentire, manifestare contro il pericolo atomico e le guerre imperialistiche incombenti, nonostante la già pressante reazione repressiva del più bieco maccartismo, l’avanzare di un piatto conformismo tutto proteso al consumo e all’edonismo, l’irrilevanza ribadita del ruolo femminile relegato alla sua funzione calmierante di cura familiare e di madre.

Mary Ellen alias Adriane si ritrova a primeggiare anche dentro questo tempo, ha i voti più alti, studia incessantemente, non partecipa alla vita sociale con le altre ragazze, si reclude in uno spazio angusto di dolore e rimpianto, segue tra l’altro un corso di psicologia incentrato sulla cura dei comportamenti antisociali tenuto da un brillante assistente professore ebreo, Ira Wolfman, del quale intuisce la stessa propria condizione di esiliata nel tempo (EI) e riscontra la stessa inclinazione ribelle per intelligenza e conformazione biologica.

In breve tempo si scopre di essere innamorata di Ira. Con questo sentimento ancora incerto capisce che si sta riaprendo al mondo, in qualche modo il suo spirito si rinnova, ritrova una via maestra per uscire dal suo isolamento autistico, intuendo che l’amore travolge le paure, riattiva i vasi sanguigni, ristabilisce sinapsi e circuiti mentali che aprono la mente, che l’amore la spinge verso il prossimo irrefragabilmente.

Reinventando una empatia che pareva sepolta e negata, scopre la sola strada che può ricacciare la paura, rinverdendo il moto della speranza e il senso primario della libertà. Sconcertata che si possa davvero vivere pure a dispetto della coscienza della propria duplicità temporale, che si possa ancora cercare la salvezza pur essendo stati trasformati dalla macchina repressiva in un essere disadattato e bipolare, Mary Ellen riprende a vivere.

Ma il portato esiziale del proprio vissuto di reietta si ripropone, il sospetto si insinua, il verme del disincanto mette a repentaglio la genuinità del sentimento: e se Ira Wolfman fosse un agente del governo del NAS scelto proprio per smascherarla? Può un AI, cioè un esiliato come lei, essere designato per curare i comportamenti antisociali? Può davvero fidarsi di lui? Se fosse tutta una cospirazione intesa a metterla alla prova e, nel caso, a vaporizzarla definitivamente? Perché Ira la biasima per aver partecipato a una manifestazione pacifista in cui è stata trascinata da un professore di scultura, libertario e socialista?

Quando anche l’amare si traccia nella mente come sospetto, come un rimando della fantasia senza presa sul reale, come un puro anelito destinato al disincanto e alla frustrazione per cui ricadere ogni volta nella consueta solitudine, ecco: questo tipo di incertezza intellettiva è quanto di più angoscioso uno stato totalitario sarà mai in grado di instillare nelle menti dei propri sudditi, così da annichilirli in via precauzionale.

La Oates rileva questo passaggio nella mente di Mary Ellen, in connessione con gli approfondimenti tematici durante le lezioni di Ira. Vi è tutto l’armamentario della moderna analisi comportamentale, non trascurando l’eredità analitica che da Freud e Jung arriva sino a Fromm, Adorno, Lacan e Deleuze, sulle questioni attorno all’autenticità dei sentimenti, al cosiddetto behaviorismo, all’insorgenza infestante della realtà virtuale sugli apparati psichici, sul condizionamento subliminale, sui riflessi condizionati sino alla plausibilità o meno dei dati statistici rilevati in sede di laboratorio e quindi sull’attendibilità della scienza tout court.

Ira in realtà si mostra affidabile tanto da convincere Mary Ellen a fuggire dal Campus universitario che ritiene un luogo di mediocrità, come mediocre è tutto ciò che l’America esprime. Per Ira infatti l’America è fondata sull’amnesia e sulla negazione e il suo esito storico non potrà che essere allarmante (calzante l’espressione: “hotbed of mediocrity”).

Il finale, che non sveliamo, vedrà Mary Ellen aderire al concetto buddista per cui vivere non è rammendare il passato né tantomeno pensare al futuro, vivere è adesso! “For life is now”!

Un’ultima precisazione: la Oates non distingue mai tra ciò che siamo e ciò che diventeremo. Richiama in realtà un modello esistenziale e normativo che si svolge già davanti ai nostri occhi; una regressione delle democrazie mutate in oligarchie, che già conforma le nostre vite oggi. È questo il suo monito che urge alle nostre coscienze cloroformizzate da decenni di mondezzai mass mediali. Un libro paradigmatico e oracolare, che deve essere letto!

Marcello Chinca Hosch

Recensione al libro Pericoli di un viaggio nel tempo di Joyce Carol Oates, La nave di Teseo 2021, pagg. 352, €

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