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Marco Vichi inedito. Un caso maledetto

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Da oggi in tutte le librerie arriva una nuova indagine di Marco Vichi, Un caso maledetto (Guanda, pagg. 390, € 19), e ne offriamo in esclusiva per i nostri lettori un brano in anteprima. Il protagonista è il suo personaggio più seriale, il commissario Bordelli, che sin dal cognome esprime l’ironia di un protagonista che non ha paura di scavare tra i misteri più oscuri di Firenze e di un’Italia scandagliata senza timori da Marco Vichi. Un personaggio seriale ,ma che non stanca mai: non è costruito a tavolino, come molti altri gialli italiani oggi di gran moda. Perché Vichi trasforma ogni caso in una indagine esistenziale, sociale e morale. Marco Vichi – nato a Firenze nel 1957, ma da anni vive in Chianti – è tra i pochi scrittori contemporanei adessere l’indagatore di un Novecento dai misteri mai risolti. E anche un piccolo caso di omicidio è sempre il volano per raccontarci una “Storia d’Italia” che fornisce al lettore tante domande e che, con la licenza poetica della narrativa, racconta più di mille saggi. Marco Vichi è tra i pochi poeti italiani contemporanei che riesca a trasformare le parole in musica, la prosa in una ricerca dei nostri io ormai per lo più sepolti dall’oblio di una memoria sempre più istantanea. Leggere i romanzi di Vichi è sempre un arricchimento: non scrive quei gialli da primi posti della classifica – anche se ha milioni di lettori – dove la serialità è industriale e dove l’arte della scrittura diventa una caramella letteraria. Vichi mette sempre il lettore spalle al muro: non c’è scampo più per noi che per gli assassini. E così, come davanti a un plotone di esecuzione, ci fa ritrovare noi stessi e la memoria di una Italia che non ha mai dimenticato, ma che forse ha dimenticato gli italiani. Qui la sua forza: ogni parola è un proiettile che ci sfiora appositamente. Sentiamo il sibilo dello sparo, la paura è tanta ma è una paura che ci fa risorgere. Vichi è un (p)artigiano della parola: uno dei pochi che davvero ci conducono a riflettere anche a libro chiuso. Perché l’indagine su noi stessi non è mai un caso chiuso.

Gian Paolo Serino

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Quando Bordelli arrivò a casa erano quasi le due. Blisk dormiva, e per salutare sbatté due o tre volte la coda sul pavimento. Il commissario s’infilò subito sotto le coperte sperando di addormentarsi, ma appena spense la luce si ritrovò sopra il solito calesse trainato dal cavallino stanco, che lo portava in giro nella memoria più recente…

Era riuscito a risolvere da solo due casi di omicidio. Uno scapolo di quarantadue anni trovato morto in casa propria, sdraiato sul pavimento della cucina, trafitto da trentadue coltellate, ucciso da un rivale in amore per gelosia. E una giovane donna di trent’anni trovata in un bosco dalle parti di Polcanto, ammazzata a revolverate dal marito che non accettava di essere lasciato. L’omicidio era davvero il più infantile dei crimini… Sei un ostacolo al mio piacere, sei la causa del mio dolore, dunque ti ammazzo… Se i bambini avessero la capacità e il potere di intervenire sul mondo, ucciderebbero una enorme moltitudine di persone proprio come i tiranni che sterminano gli oppositori.

Per vie traverse il calesse lo portò nei boschi intorno a Empoli, dove quasi un anno prima, esattamente il 13 febbraio, era riuscito a mettere le manette a un maniaco che torturava e uccideva prostitute. E se pensava che ci era riuscito grazie alla passione della guardia Mugnai per La Settimana Enigmistica… Be’, ancora non ci credeva. Il destino a volte si divertiva a giocherellare con la vita delle persone. Gli sembrava quasi di vederlo, il signor Destino, con la faccia da schiaffi, un sorrisetto sulle labbra da bambino viziato, che mezzo ubriaco osservava dall’alto il mondo affannato e si metteva a tirare leve, a tagliare corde, a lanciare palle, solo per vedere cosa poteva succedere… E giù in basso il formicume umano veniva travolto o graziato dai suoi giochetti, in balìa di forze oscure alle quali ognuno dava una spiegazione diversa. Ma non si stancava di ricordare che grazie alla cattura di quel maniaco sanguinario, per via di un giuramento, lui aveva addirittura smesso di fumare, facendo contento anche Piras… L’ennesima dimostrazione che a volte dal Male poteva nascere qualcosa di buono. Ma per adesso nulla di buono era nato dall’odiosa strage del 12 dicembre, nella banca di piazza Fontana. La pista anarchica? Ma davvero qualcuno ci credeva? Se davvero la CIA stava cercando di impedire con ogni mezzo che i comunisti guadagnassero terreno, poteva essere capace di organizzare o di favorire qualsiasi porcata pur di riuscirci, magari con la connivenza di una parte dei Servizi italiani. E se gli organismi incaricati della sicurezza nazionale creavano insicurezza, per poi imporre una più forte «nuova sicurezza» con il pugno di ferro, era un vero casino, il ribaltamento della logica… Un po’ come se un vetraio andasse di notte a rompere i vetri per poi di giorno correre a cambiarli. E pensare che nel gennaio del ’69, per puro caso, lui e il colonnello Arcieri avevano avuto tra le mani dei documenti dai quali emergeva proprio quella volontà eversiva e stragista, anche se da quei pochi elementi nessuno avrebbe potuto immaginare una tragedia del genere. E chissà quali altre squallide sorprese nascondeva il futuro d’Italia… Povera Italia, non aveva pace… Dopo i dolorosi decenni che aveva appena attraversato, sembrava proprio che stesse per essere travolta da nuove tormentose burrasche…

Ovviamente non era possibile che il cavallino macilento non lo portasse dalla povera Diletta, stuprata e uccisa poco più di un anno prima, la notte della Befana e della finale di Canzonissima. Anche il 6 gennaio appena passato c’era stata la finale di Canzonissima del ’69, ma lui per scaramanzia non aveva voluto guardarla, temendo che subito dopo la sigla potesse accadere un altro omicidio. Ma sapeva come tutta l’Italia che di nuovo Gianni Morandi aveva vinto, e che Claudio Villa era arrivato secondo…

Poi il calesse si sollevò da terra, trainato dal povero cavallino ormai stremato, e guidato dal Nano Sabbiolino attraversò i cieli avanzando nello spazio infinito, fino alle stelle, fino alla lucente luna… la luna, la luna… che il 20 luglio l’uomo era riuscito a calpestare… Gli astronauti ci avevano messo i piedi sopra, avevano saltellato qua e là, e chissà Leopardi cosa ne pensava… Ormai mezzo addormentato, fissando il buio ebbe il tempo di sperare che l’uomo non sporcasse e non deturpasse quella magica sfera piena di crateri, come già aveva fatto con la terra… A un tratto sentì la voce di sua mamma che recitava alcuni dei suoi versi più belli… Guardo le stelle, e m’abbandono, al liquefarsi lento delle ore, paga di andare per gli eterni spazi, cullata dalla buona madre terra…Mamma… Mamma… Come stai? Dove sei? Dormi, Franco, dormi, che domani c’è scuola… Fate la nanna coscine di pollo… La luna, la luna… Dovevano salvare la luna… E i poeti, a bocca aperta, affascinati da quella sfera biancastra, dovevano continuare a lanciare verso la sua magica luce rubata i loro versi… Tramontata è la luna, e le Pleiadi a mezzo della notte… Anche giovinezza già dilegua, e ora nel mio letto resto sola…

Marco Vichi

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