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Filippo La Porta. Disorganici. Maestri involontari del Novecento

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Lo ho tra le mani da tempo, ma ora finalmente lo leggo e recensisco. E’ un libriccino rosso, rosso come la passione della ribellione, dove ri-bellione è tornare alla bellezza, quello di Filippo La Porta, Disorganici, edito da Edizioni di Storia e Letteratura. Un libro che è un’arguta e sapiente carrellate di intellettuali, che in silenzio o scopertamente si sono battuti per la libertà di opinione e che rappresentano per il critico letterario dei maestri. Su questo termine vado a riflettere: maestro è colui che educa, che ex-duce fuori dai propri schemi di pensiero il discepolo, il lettore impegnato a compiere un processo di apprendimento in nome di una approfondita maturazione interiore. Maestro è colui che “ci indica un limite (oltre il quale una cosa diventa cattiva, una parola vera diventa falsa) e chi sa risvegliare in noi una qualche passione”. La Porta considera “maestri, coloro che hanno risvegliato in lui una qualche ossessione. Pasolini lo ha ossessionato con l’idea della ricerca di “ciò che è reale” e “ciò che è irreale” nelle nostre esigenze, assecondando un bisogno che era già in essere dentro di noi, come un’idea a priori. Per lo scrittore di Monteverde “era reale il presente, il desiderio , la felicità che scivola via e irreale il futuro, l’utopia, la Storia…”

Ci sono però anche maestri invisibili, anonimi, non coincidenti con nomi a tutti noti: il professore di scuola di cui pur si è diffidato, il compagno di classe fuori dalle regole, il cugino più grande ( Gualtiero), l’amico fraterno, l’insegnante ruvida di judo, il meccanico delle moto… Di questi dice La Porta ne incarniamo la memoria, li portiamo dentro in quale tic e movenza. Ci abitano inavvertitamente, ci sono familiari e li esprimiamo anche nei gesti più banali del quotidiano. Un tema attraversa trasversalmente la quasi totalità dei ritratti che l’autore ci propone: la democrazia, quella della “ginestra” di colui che so viene considerato da La Porta il massimo Poeta, colui che ci educato ai valori dell’utopia egualitaria, l’umanità solidale, la “social catena”. A questo punto l’autore si interroga su come rendere attuale questa idea, che significa nella concretezza vivere in democrazia, come riposizionare al centro il concetto di individuo, chi non è diviso, estraneo alla teoria antica , alla polis greca. Qui il cittadino coincideva con la polis, ne incarnava gli ideali, aderiva all’idea plastica del Bello, per dirlo in termini platonici. “Civitas autem non saxa, sed habitatores vocantur”, si cita nel frontespizio del libro. Niente di più indovinato: Atene sono gli Ateniesi, Sparta gli Spartani, Tebe i Tebani, la città per i Greci non è definita dalle mura, ma dai cittadini che hanno in sé l’idea di città. Una democrazia moderna necessita di cittadini capaci di gestirsi, responsabili e consapevoli; dice Bobbio presuppone” il libero e pieno sviluppo delle facoltà umane”. La globalizzazione produce un “conformismo generalizzato” tendendo a reprimere” il senso della responsabilità individuale su cui si regge una società democratica”. L’autore ammira la divulgazione culturale ben appropriata, consapevole però che “industria culturale fabbrica persone passive, manipolabili, etero-dirette, prive di senso critico, governate dall’emozione immediata, appunto cittadini incapaci di badare a se stessi. “ Il popolo è bue ma solo quando inerte, non informato, non organizzato in associazioni”. Per questo abbiamo bisogno di buoni maestri perché si torni ad essere democratici nel senso pieno, nella sfera personale, usando al minimo la delega, prendendosi cura dello spazio pubblico, assumendo l’iniziativa quando e tutte le volte che si può, “partecipando alle buone pratiche di cittadinanza”. Va quindi sollecitato il formarsi di organismi” dove si genera il senso critico, l’attitudine al dubbio, la diffidenza verso gli idoli dominanti, abitudine ad un pensiero non conforme, non spensierato.”

Il denominatore comune ai maestri involontari del Novecento è l’aver prodotto una critica alla realtà attuale, abbattendo pregiudizi e sradicando i modelli condivisi e false ideologie e credenze.

Come non leggere allora Jacques Maritain, Giacomo Noventa, Herbert Marcuse, Teodhor Adorno, Aldo Capitini, Carlo Rosselli, Ignazio Silone, Carlo Levi, George Orwell….Hannah Arendt, Alberto Moravia…Simone Weil. Pier Paolo Pasolini…? Questi intellettuali e altri ancora hanno alimentato in noi il seme del dubbio e hanno fatto attecchire quella che Manganelli definiva la “concupiscenza libraria”, sbalzandoci fuori dalle strettoie del pensiero unico.

Giovanna Albi

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