Uno gliommero di immagini sospese tra realtà e sogno, un gomitolo che si srotola tra città e porti, laghi e portoni, musei e silenzi…è la silloge poetica di Ikene Holzhaus, Controluce, edito nella collana “Il Gabbiere” delle edizioni Di Felice. La poetessa, nata nei Paesi Bassi nel 1951, è anche novellista, drammaturga,regista teatrale e insegnante di scrittura creativa. La sua prima silloge è del 2008, seguita da quelle del 2011 e 2014. La leggiamo nella presente silloge con la traduzione di Patrizia Filia.
Poco nota al pubblico italiano, è un serbatoio di immagini realistiche e metaforiche, secondo la tecnica dell’affastellamento, dell’enumerazione, che conferisce vitalismo alla poetica sottesa, vibrante di vita e pur percorsa da un velo di malinconia per il trascolorare di tutte le cose, che vengono rincorse dalla memoria, fil rouge della raccolta. Poesia montaliana del ricordo, in cui la poetessa tiene il filo e come per miracolo fa riemergere dalla sua mente le immagini care che la tengono in vita impedendole di scivolare nell’horror vacui latente. Un’opera, dunque, che si inserisce nel canone della poesia della rimembranza che da Saffo ad Orazio, da Leopardi a Montale ci conduce nel nostro secolo. Per motivazioni personali, ma condivise, questo genere poetico è uno dei più felici nel panorama letterario europeo, perché forse la croce del poeta è quella del filosofo : il paradosso del divenire, che tormenta la vita del singolo, specie se portato a riflettere sulla teleologia della sua esistenza terrena.
Capita, allora, di sovente che il poeta abbia la missione di ridare sul foglio le immagini conservate nel polipaio della mente, perché si possa erigere un monumento più duraturo del bronzo, come ebbe a dire il poeta Orazio. La poetessa olandese con molta abilità raccoglie le immagini, attivate soprattutto dalla vista, mentre si legge in filigrana un ordito di competenze maturate attraverso la conoscenza dei grandi del passato. Una passeggiata di primo mattino in città tende a rivivere quella che è nella memoria “Non puoi evitare di cercare le tracce presso una fontana/nel parco, lungo case dove hai dormito/ti lasci tentare dalla specchiante porta girevole di un emporio dove acquistasti penna e quaderni/tra uomini con giacche in pelle che amministrano titoli/con microfoni sui baveri, donne armate di tessere di plastica;/cammini per strade di pietre nuove, bambini/saltellano ascendendo sull’erba sopra una galleria/con macchine sfreccianti,pensano come te allora, che tutto/sarebbe rimasto immutato,/che la città era interamente tua.”
Il mondo viene osservato con gli occhi dei bambini, quando con l’onnipotenza della fantasia si pensa che tutto rimanga immutato e che esista la categoria del “sempre”, mentre, ahinoi, l’età adulta ci avverte che tutto si trasforma e che l’erba dei prati sarà sostituita da gallerie e pietre nuove; allora la poetessa si specchia alla porta girevole dell’emporio, dove tutti noi annusiamo gli odori antichi della penne e dei quaderni. La porta girevole è il correlativo oggettivo del tempo che passa e che ci travolgerebbe se non conservassimo tutto nell’archivio della memoria. Questa sfida il tempo e schiera in battaglia ciò che non può essere cancellato, perché noi siamo sostanzialmente ciò che siamo stati nella nostra infanzia. Trovo questa struggente e vivace poesia particolarmente universale perché attinge al bacino memoriale di qualsiasi essere umano.
Il titolo della raccolta risale all’ omonima lirica del 2011 e chiarisce la dimensione onirica, in controluce appunto, in cui si muove l’intera silloge; perché, se è vero che questa ha tratti di realismo, gli stessi sfumano tutti in una dimensione dell’altrove. ”Un cielo nel cavo della tua mano/volta al sole, piedi piantati/sul tetto, arioso angelo cocente/carta mangia acido che s’infiamma…Qui vive l’inutile/lacerazione della crosta terrestre/che brulica,ronza, estrae dal nulla/la bianca dura resilienza…”
Da una mano posta in controluce a raccogliere il cielo si squaderna una serie di immagini che sgorgano dalla fantasia fino ad arrivare all’inutile lacerazione della crosta terrestre che estrae dal nulla la dura resilienza. Non c’è un dio che ci assista ma tutto nasce dal cavo nulla da cui origina la terra e per estensione l’umanità costretta a resistere in questo cieco viaggio nel mondo. Meno male che ci sono i colori e le forme della poesia; una poesia, quella di Holzhau, che si innesta nella tradizione proiettandosi vigorosamente nell’innovazione e nella sperimentazione.
Consigliato
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Ineke Holzhaus
Controluce
Di Felice edizioni 2020
pp.97
euro 12