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Vitaliano Trevisan inedito. Dundee united

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Dundee United

ovvero: pane bianco dal cinese

Questa mania per il pane bianco, non di Ade, ma di tutte le mie frequentazioni nigeriane.

La pagnotta di pane bianco, anzi bianchissimo, morbido, quasi senza crosta, di circa mezzo chilo, in sacchetto di nylon trasparente (privo di etichetta), nel nostro carrello non mancava mai, con chiunque di loro andassi a far la spesa. E sorprendentemente, qui come a casa, lo si trovava solo nei negozi di generi vari gestiti da cinesi. Quello in cui ci recavamo un giorno sì e uno no, ma a volte sì, era a circa tre quarti d’ora dall’hotel.

Andata: appena in strada si prende a sinistra, si passa la moschea dello sputatore – l’avrei rivisto un paio di volte; scambio di occhiate, di fuoco le sue, glaciali le mie, ma, grazie a dio, il mio il suo il vostro è lo stesso, niente più sputi -, e sempre diritti fino alla fine di Unity Road; poi a destra per Herbert Macauley street e sempre diritti fino al Chiken Republic – catena di fast-food nigeriana che, come si sono premurati di informarmi i miei ospiti, sembra essere di proprietà (occulta) del presidente in carica Olusegun Obasanjo1, il primo democraticamente eletto dopo quindici anni di dittature militari più o meno feroci -; appena superata la Repubblica del Pollo, subito a sinistra per l’affollata, e asfaltata, Awolowo Way e via diritti finché, sulla destra, un due-trecento metri dopo L’Holy Trinity Hospital, ecco il negozio di generi vari del cinese che, guardia armata a parte, trovai sorprendentemente simile, negli articoli che proponeva, ai negozi cinesi per africani a cui ero abituato a casa: stessa paccottaglia varia, un po’ più di vestiario, e stessa tipologia di generi alimentari: ortofrutta esotica (qui esotica solo per me), scatolame vario, olio di palma a volontà, grandi pesci sciolti surgelati, e quelli essiccati in sacchetto di nylon trasparente (cela va sans dire senz’ombra d’etichetta), e naturalmente le pagnotte di pane bianco; e il latte condensato in barattolo che tanto piaceva ad Ade.

Grazie alle mie insistenze, per tornare si seguiva un percorso alternativo: appena fuori si risaliva l’Awolowo, poi, prima della clinica, si tagliava per una strada secondaria (nome non in memoria), stretta e polverosa, che si percorreva tutta fino a sfociare nella trafficatissima affollatissima Ahmadu Bello road (asfaltata); da qui, a sinistra fino alla grande chiesa cattolica, con tanto di amplissimo sagrato sopraelevato e larga scalinata d’accesso in pietra (il tutto, materia prima, manifattura e posa in opera, di probabilissima mano italiana2), passata la quale si prendeva a sinistra per una strada altrettanto larga, trafficata, animata, ma non asfaltata, e si continuava diritti fino all’altezza di una chiesa evangelica, anche più grande della cattolica, la cui architettura in cemento armato, da palasport, mi ricordava, certo anche per via dei serramenti in alluminio verniciato (scrostato), certa edilizia pubblica italiana anni ottanta, ma con una vena per così dire nerviana, che me la rendeva al tempo stesso familiare ed esotica; chiesa evangelica palasport da cui spesso, e specialmente di domenica, si sentivano arrivare, fino all’hotel, le accorate amplificate parole del predicatore, e il relativo sentito controcanto dei fedeli, e, oltrepassata la quale, la strada subito si gettava, neanche fosse un fiume, nella nostra Unity Road, più o meno all’altezza della moschea dello sputatore.

Dopo essere andati e venuti almeno due o tre volte, ritengo di essere in grado di fare da solo almeno il ritorno. La mia scorta non vuole assolutamente saperne. But it’s not safe!, dice Ade, e lo ripeterà non so quante volte, mentre io cerco di mediare col meno acceso, ma non per questo meno contrario, Amen.

Voglio fare due passi da solo. Posso tornare in albergo da solo? Voi fate la strada dell’andata, io quell’altra e ci ritroviamo alla moschea, ok? Come no?, cazzo. Non posso fare una passeggiata da solo? Continuate a sfottermi perché dite che ho paura, e che non devo aver paura perché They’r just people, abi? Noting to be afraid of, just people3. E a parte che non ho ‘paura’, anche se sì: sono totalmente spaesato. Ma paura no. Se avessi paura non sarei qui a insistere per tornare da solo. E poi che cazzo!: I wanna go back alone, either u like it or not, abi? A sabi where the Imperial is and A wanna go back alone, is it clear?4

Mi dicono di abbassare la voce, la gente ci guarda.

A don’t give a fuck, ok? I WILL GO BACK ALONE !5 (tutto urlato, e il maiuscolo anche staccato).

Nel contesto, l’oyibo che sclera in pubblico dev’essere una scena, oltre che penosa di per sé, non priva di disturbanti implicazioni. A giudicare dalle espressioni, la sensazione è che siano in grave imbarazzo per la situazione, che si vergognino, per loro e per me6. Non me ne frega un cazzo, ma abbasso il tono. Listen, A wanna go back alone. May I go back alone, please?7

Sorrisi di resa.

Amen dice che, se arriveranno alla moschea per primi – cosa del resto più che probabile: voglio un po’ di solitudine anche per potermi fermare quando e dove cazzo voglio -, anziché aspettarmi, mi verranno incontro, abi?. Il compromesso mi sembra ragionevole.

Ci incamminiamo.

Al momento di tagliare, mi fermo giusto il tempo per un C u later, e, senza por tempo in mezzo, mi infilo deciso per il vicolo salutandoli con la mano.

Good bey crocodile / c u later alligator, penso camminando. Poi, e me lo ricordo come se fosse ora, penso anche, sempre in inglese: U know why six is afraid of seven? Becouse seven ate nine. E camminando, per darmi il tempo, su sfondo di tamburo rullante (La monstrouse), mi ripeto in testa (ad libitum) :

good bey / crocodile / ‘couse seven / ate nine

good bey / crocodile / ‘couse seven / ate nine

good bey / crocodile / ‘couse seven / ate nine

c u later / alligator!

Le cose che ci si fa rimbalzare in testa quando si è nervosi! Tenendo sempre presente che a uno scrittore non bisogna mai credere. Che cazzo ne so di cosa pensavo quel giorno camminando da solo per le vie di Ikeja?

So però che, a dispetto delle intenzioni, non camminavo affatto come a casa, non mi guardavo intorno, non mi soffermavo a osservare frantumi, frammenti, particolari; né scandagliavo i dintorni alla ricerca della fonte di un suono o di un odore particulare. Per come camminavo, testa basa e bareta fracà8, nulla potevo cogliere.

Non è esatto: oyibo lo sento, e, più lo sento, più mi calco il berretto in testa. Non più eco ma rimbombo. Brutta cosa quando una parola rimbomba nella testa. Chissà se negro fa lo stesso effetto? Intendo a un africano, magari albino, ma non bianco. E che dire di nigger? Smetterà mai di rimbombare?

Nel frattempo, eccoci alla chiesa. Intendo la cattolica. E qui accade qualcosa di davvero extrasordinario: vederla mi consola.

Ah dio, quanto abbiamo sofferto prima di lasciare per sempre la tua casa! Non poi molto a dire il vero: a quattordici anni, ovvero poco dopo una cresima che, lasciandoci così come ci aveva trovati, aveva confermato in noi il dubbio, cominciammo a non osservare più.

O forse, meglio, volsi altrove il mio sguardo.

Seduto su un muretto, il sacro portale da me il più lontano (sinistra testa), gambe larghe, piedi ben saldi a terra, punte leggermente aperte, gomiti sulle cosce, mano sinistra abbandonata; mentre la destra, con pollice e medio, toglie cicca dopo profonda boccata, lo sguardo si alza mentre il collo si torce (destra testa), e la fronte si aggrotta mentre l’occhio mette a fuoco, di là della strada, in un angolo di mura, nella preziosa ombra di un albero che non ricordo, un gruppo di okada-boys9.

Uno seduto sul motociclo in cavalletto; uno in piedi accanto al suo motoveicolo in cavalletto anche; l’altro pure, ma col culo appoggiato sulla sella. Vedo che parlottano. Da questa distanza, sentirli certo non posso.

Mi inquadrano.

Ah, queste sinestesie, che da sempre mi tormentano. Ne farei volentieri a meno, ma il rimbombo ricomincia.

Fuori di me.

E dimentico la prima fondamentale regola, che sempre, ovunque mi sia ritrovato a camminare, sempre mi ha preservato: evitare, per quanto ci è dato, ogni possibile situazione di tensione. A volte però, ed è questa una di quelle, il nostro conflitto, che non aspetta altro, si riaccende.

Accecato da improvvisa fiammata.

Sigaretta a terra con stizza.

In piedi all’istante. Ma nessuno ‘scatto’ – questo, scritto per dopo.

Il dubbio. Il dubbio anche se sono sicuro.

Attraverso con decisione strada trafficatassima. Maledizioni non mi toccano.

Risalgo su lato destro guardando diritto davanti a me mentre allenatissima vista laterale mantiene fuoco su di loro.

Ecco, ora sento, e vale per orecchio ciò che vale per occhio. In pochi passi parola oyibo distinguo 3 volte.

Improvviso cambio di direzione (destra testa), e diritto su di loro con tutto me stesso.

Subito non si rendono conto. Continuano a chiacchierare come se niente fosse.

Non durerà.

Ma dura10. Sì, quando facevo le dure camminavo più o meno così.

Ero giovane allora. E fuori, madre alla finestra che saluta piagnucolante, gesticolante. Mi sentivo molto, molto violento.

Non dura.

Seduto resta seduto. Appoggiato alza il culo. Terzo si gira a guardarmi.

A don’t give a fuck.

Come quando giocavo a rugby. Esaltante arrivare a tutta velocità, penetrare fin che si può e schiantarsi contro un pilone. E più è grosso più ci dà soddisfazione. Ma troppo basso, troppo leggero. E mento troppo alto quando vado a placcare un cazzone che è me per due. Gomito su mento alto del cazzo. Sveglia in spogliatoio con sali sotto al naso.

Mento sempre basso, sempre basso, a coprire collo.

Palestra tre volte a settimana: pesi, fune, spalliera, barra; e infiniti petti di pollo, di tacchino, d’oca il venerdì; e latte con proteine in polvere – vera schifezza. Risultato dopo qualche mese: 171,00 cm in altezza – piccoli non dimenticano neanche mezzo centimetro – per 72 Kg in peso e non un filo di grasso.

Bravo! Ma per serie B, ancora troppo leggero.

Si fottano. Mangiare non piace. Devo sempre fare attenzione a non mangiare troppo poco.

Sono in mezzo ai 3 okada-boys, che potrebbero anche essere area-boys – una cosa non esclude l’altra.

Probabilità di prenderle assai alta, quasi una certezza. Non sarà la prima volta.

Nessuno che mi abbia mai rotto il naso!, neanche a pugilato. Pensavo, credevo di, essermela cavata con il mio naso. Ma non si può dire.

Distanza è sicura. Mettersi in guardia non si deve mai fare. Rilassato. Braccia lungo il corpo. Mani morte.

Oyibo: Oyibo’s here. How now?

Pausa di perplessità.

Approfitto per breve panoramica:

Tutti e tre sui 20/25, altezza 170/80, peso 65/75, fisici asciutti.

Occhi su Seduto, che rimane seduto.

Istinto dice: Andasse male, scagliarsi su di lui. Poi si vedrà.

Oyibo: So? U no speak anymo’?

Seduto: resta seduto ma posizione cambia: prima semidisteso: gomito su serbatoio, testa appoggiata su mano; ora raddrizzato, gambe larghe, mani sulle cosce; mi guarda rilassato, pronto.

Così per tempo larghissimo, tre, forse addirittura cinque secondi. Un’eternità, vista la situazione. E così cado nel consueto errore.

Perché sono qui?, penso. Stupido. Stupido stupido stupido. Fuori di me. Fuori di chi? no: fuori da chi?

A don’t kno’!

Lie.

Dey didn’t do me noting. Fuck dem. Fuck dis fucking war.

2 late omo. We went to war. Ain’t no going back … and if it’s a lie, then we fight on the lie!

E qui, a salvarmi, l’arrivo di Ade e Amen.

Pessimo romanzo come ce ne sono tanti. Ma non è colpa mia se arrivarono appena in tempo per evitare il peggio.

Amen e Ade parlano con gli okadas. Seduto è ora in piedi. Di tutto ciò che dicono poco nulla capisco. Parole che riesco a isolare: oyibo (sic!) – oybo-go (sic-sic) – white man (strasxx) – dundee …Dundee United (???).

Denti bianchissimi. Mani che si toccano, dita che schioccano. Sguardi con sorriso per me.

Fuoco estinto. Fumo si dissolve. Vero: ascia solo lasciata (!) e non sepolta, ma /

Bianchi miei denti anche. Ma in realtà gialli, per via della nicotina

Mi avvicino.

me: (a Seduto, in piedi di fronte a me) A’m Vitt, omo, not ‘an oyibo.

Ora noi amici. Convenevoli: where u from – Italy ehee – Italia mafia like Kaduna mafia, … and so on and so forth.

Finisce che per tornare ci facciamo dare un passaggio.

Okada prima volta. Esaltante. Meglio che in scooter per Roma. Vecchio motociclista in me mai salito dietro sarebbe ma /

Vecchio motociclista lasciato a casa con altro di me. Non tutto. Abbastanza per salire dietro Seduto (su serbatoio) e aderire a suo corpo; mia mano destra, o sinistra, in presa sotto-sella e altro braccio abbandonato. E Ade dietro di me, abbracciata a me, aderente a mio corpo.

First time a really feel her. A letto, mai successo.

Abbandono.

Seduto si muove fluido in traffico spaventoso come nato in.

È nato in, vissuto in, sopravvissuto in.

Moto: 2 tempi; 2/3 e 50; serbatoio metallizzato con inserti rosso scuro; ricorda Java; non è; forse koreana.

Traffico spaventoso non spaventa. Velocità bassa, a volte bassissima, no: giusta; e, se possibile, fermi mai. A volte impossibile; ma, se non impossibile, fermi mai.

Quando fermi, fermi immobili. Al sole non dare confidenza. Approfittare per detergere sudore con fazzoletto sempre con me.

Seduto: (a me, torcendo collo) Go slow.

me: Kwanu go-slow.

Seduto: Ah!, u ear / pidgin …

me: Yes’se, oyibo ear pidgin omo. B carefull then.

Denti bianchissimi davanti e dietro vs Denti bianchi gialli di nicotina.

E avanti nel traffico, sinuosi come serpente.

Tempo.

Pensiero non-pensiero: oyibo solo una parola. Conflitto in me, non in parola.

Fuck the words!

Arrivati.

me: (a Seduto) How much?

Seduto seduto su moto sorride, stringe spalle, piega testa, apre mani bianco in su.

me: How much?

Seduto seduto chiude occhi scuotendo testa in diniego.

Miracoli accadono (?).

Guardo Ade. Stringe spalle lei anche, e Appoggiato, e Amen. E allora, non-oyibo anche lui stringe spalle, apre mani, palme in su, denti bianchi ma gialli x via di nicotina etc.

Okada-boys svaniscono in nuvola di polvere.

Rientrando in albergo, chiedo a miei ospiti perché Dundee United, parole chiaramente distinte più volte. Possibile? due okada di Ikeja tifosi del Dundee? O era dandy? Ma allora, perché united?

Grasse risate. Dundee o!, dice Amen, Dundee United o! E giù a ridere con Ade.

Beh?, che c’è da ridere? Lo hanno detto più volte no? Dundee United; o dandy united; più volte.

Ma continuano a ridere.

Dundee, ripeto, Dundee United, lo hanno detto, sì?.

E, mentre dico e ridico, viene da ridere a me anche.

Alla fine mi spiegano ciò che qui riporto, da dizionario di Nigerian Pidgin English di Ola Rotimi, davanti a me aperto:

DUNDEE: agg. Stupido; tardo di mente; ottuso; credulone. Dall’espressione Yoruba “Dada ndidi, che sta per asino, cretino, stupido. Entrata nel pidgin come Dundee, per assonanza con il nome della squadra di calcio scozzese Dundee United, che, per motivi oscuri a chi scrive, il professor Rotimi definisce, da nigeriano, popolare. Poi, continua, è questo il motivo per cui, in pidgin, l’espressione di stupidità massima è “dundee unitelf”, ovvero stupidi di un’ottusità così densa, che rimediarvi è impossibile.

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1 Nda: E in effetti ora, mentre vado scrivendo, l’ex generale yoruba ex capo di stato (vice di Murtala Muhammad e suo successore alla guida della giunta militare al governo del paese dal 1975 al 1979) ex presidente, nonché, dopo la conversione in carcere, cristiano rinato, Olusegun Obasanjo, ancora attivo politicamente nel ruolo di grande vecchio padre della patria, è diventato una specie di Amadori nigeriano, naturalmente elevato alla potenza – immensi pollai, soprattutto nel suo stato indigeno, Ogun state (stato del sud-ovest, soprannominato Gate of Nigeria, ovvero la Porta della Nigeria), quote strategiche nei consigli di amministrazione dei due o tre colossi della trasformazione, e idem in quelli delle catene di vendita al minuto del prodotto trasformato (supermercati), e anche cucinato (fast-food); possesso e gestione presunti, s’intende, perché di tutto questo si sa, ma poco o nulla si parla (il profilo wikipedia, ad esempio, di polli non fa menzione). E di nuovo non vorrei essere frainteso: nel contesto cleptocratico nigeriano, ciò che lo fa un positivo è il fatto che, a differenza di buona parte degli altri cleptocrati, che con lui hanno governato e governano la Nigeria, la sua, perlomeno, non è stata (e non è) un’attività puramente estrattiva (vedi soprattutto alla voce petrolio), né speculativo-parassitaria (generatori e altri beni esteri di consumo) ma sempre volta allo sviluppo delle notevoli, e per buona parte inespresse, potenzialità dell’agricoltura industriale nigeriana.

2 Nda: Marino. È il nome di un amico di qui, impresario edile in quel di Bolca. Gli riporto la motosega che mi ha prestato mentre la mia era in riparazione. Vorrei almeno pagargli la miscela, visto che mi ha dato anche quella. Naturalmente non vuole saperne, ma accetta un bicchiere al bar. Così, parlando del più e del meno, viene fuori che sto scrivendo un libro ambientato in Nigeria. “Ah!, a so sta’ la’orare, in Nigeria. Sarà … quanto? Ventisinque ani? Quando che metevo xò piastre’e a cot’imo. Semo ‘ndà xò far na moschea, gheto capio; te ghè presente ‘e piastre’e de vero, che i ‘e fa qua Vicensa … Tre mesi dodase ore al giorno; un caldo che gnanca in agosto so’to el sole, dio can! Però gò portà casa bei schei … (etc.)”.

Ah sì, direi che, specie quando si scrive, non serve andare tanto in giro: le storie sono ovunque, e anzi, a volte, più ci sono vicine, più c’è il caso che ci sfuggano. Per tornare a Marino: della Nigeria, tutto sommato, ha un buon ricordo. Tanto lavoro, ma poi, la notte, trovandosi a Lagos … Per farla breve, non passa una settimana e non uno, ma tutti i componenti della squadra (quattro compreso il mio amico) hanno trovato la morosa (E che fighe, dio can!); cioè tutti a parte uno: Marino: “Lu el se gà trovà el moroso, gheto capio. Del resto, se a uno ghe piase el secondo cana’e, i xé casi sui, no?” Io: “ Ah beh!, mii e tui, no de sicuro.”

Traduzioni: “Ah, ci sono stato a lavorare, in Nigeria. Sarà…quanto? Venticinque anni? Quando posavo piastrelle a cottimo. Siamo andati giù a fare una moschea, capisci; hai presente le piastrelle di vetro, che fanno qua a Vicenza … Tre mesi a dodici ore al giorno; un caldo che neanche in agosto sotto il sole, dio cane! Però ho portato a casa dei bei soldi …” – Marino: “Lui si è trovato il moroso, capisci. Del resto, se a uno piace il secondo canale, sono cazzi suoi, no?…”. Io: “Ah beh!, miei e tuoi no di sicuro.”

3 Nda: È solo gente. Non c’è niente da aver paura, sono solo persone.

4 Nda: Voglio tornare da solo, vi piaccia oppure no, va bene? L’Imperial lo so benissimo dov’è e voglio tornare da solo, è chiaro?

5 Nda: Non me ne fotte un cazzo, va bene? TORNO DA SOLO, OK!

6 Nda: “Nel vedere come perdo la pazienza anch’io con i neri che mi infastidiscono, penso a quale grado di bestialità devono giungere nei rapporti con gli indigeni coloro che sono sfibrati dal clima e non sono frenati da nessuna ideologia …”. Michel Leiris, L’Afrique fantôme, Gallimard, 1931.

7 Nda: Sentite, voglio tornarmene da solo. Posso tornare da solo, per favore?

8 Nda: Testa bassa e berretto calcato in testa.

9 Nda.: Okada = moto-taxi.

10 Nda.: Dura: sm Voce gergale; chiamasi dura l’appropriazione indebita, tramite intimidazioni, minacce, ed eventualmente percosse qb, di roba (ero, coca, quello che è). Nel corso degli anni 70/80, tra gli spacciatori allora attivi nel Triveneto, i tossici vicentini erano particolarmente temuti per la loro propensione a ricorrere alla dura anche quando in grano.

Vedi: Il Cerchio Rosso, studio x un affresco, dramma, 2015.

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