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Domenica è sempre domenica? 1

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I.

Il Domenicale, settimanale di cultura fondato e finanziato dal neosenatore Marcello Dell’Utri1, esordì il 22 ottobre 2002 in pompa magna e in sordina: in pompa magna perché, allegato gratis a Panorama, raggiunse suppergiù 300.000 lettori; in sordina perché, con le sue quattro pagine di cui l’ultima occupata da pubblicità, offriva solo articoli anonimi, attribuibili perciò al direttore Angelo Crespi2o ai redattori Marco Respinti3 e Davide Brullo4. L’andazzo continuò così anonimamente (uniche eccezioni, tre articoli di Stefano Zecchi5, Vittorio Sgarbi6 e Gianfranco De Turris7), con una media di 20.000 lettori, fino all’aprile 2003, quando il Dom passò a dodici pagine e ad articoli firmati, con tanto di programma-manifesto: “Siamo convinti che compito dell’uomo di cultura sia innanzitutto costruire, sottraendosi al nihilismo. Sia innanzitutto riconoscere valori, sottraendosi al relativismo etico. Sia innanzitutto parteggiare per il bello, evitando il trash”. Così, oltre a firme assai note e ricorrenti come Rosa Alberoni8 e Massimo Introvigne9, ci fu spazio per le rubriche: politica, Filippo Facci10; libri nuovi, Luigi Mascheroni11; poesia, Davide Rondoni12; costume, Pietrangelo Buttafuoco13; cucina, Camillo Langone14; internet Massimiliano Parente.

Parente (grossetano del 1970 inurbato da un lustro nella capitale), che fino ad allora aveva firmato qualche articolo su Il giornale e su Il Foglio, nella sua rubrica B-log mania dà la caccia a due bestie nere, i Wu Ming (politica) e Melissa P (porno), così nere che il direttore lo lascia volentieri debordare dalla rubrica addirittura con un coup de théâtre: il 9 agosto 2003 Parente pubblica un falso a firma Wu Ming in cui uno dei cinque bolognesi ritratta le critiche a Bush15. L’incipit, parentiano assai e poco parentetico: “Ma quanto ci siamo rotti le palle, noi stessi di noi stessi” e poi via: “Siamo stati in Iraq, abbiamo parlato con gli iracheni, ce ne siamo sbattuti per un momento della nostra ideologia e della ‘moltitudine’ e degli altri maquillage marxisti elaborati da intellettualini azzimati e flosci come Paolo Virno. Mentre noi cercavamo di infiltrarci nei gangli del capitalismo, il capitalismo si è infiltrato in noi, e ci ha fatto riflettere […]. Prima all’Iraq non avevamo mai pensato, prima che ci pensassero gli Stati Uniti, per fortuna ci sono loro a tirare fuori i soldi per l’Africa […] ci siamo guardati allo specchio e abbiamo capito, noi con Zapata non c’entriamo niente, e tantomeno con il razzismo nero di Malcolm X, più feroce e razzista di quello dei razzisti bianchi […] abbiamo scritto che ‘l’Italia è il Sudamerica d’Europa’, poi siamo andati in Sudamerica e ci siamo resi conto di dove viviamo, noi italiani, con le nostre macchine, i nostri agi, la nostra libertà, la nostra e di tutti quanti, noi e Beppe Grillo e i suoi cazzo di spazzolini riciclati. Noi, Wu Ming, noi, Tute Bianche, con internet che ci piace tanto, neanche l’avessimo inventata noi e non il capitalismo, […] noi con i nostri romanzi e nostri bollini Siae, noi prefiche scontente, e tutto sommato vigliacchi, figli annoiati di una democrazia vera che ci tollera […] quando stavamo qui al calduccio a parlare delle ‘mattanze del 2001’, rendendo Carlo Giuliani un martire pur con un estintore sollevato sulla testa di un carabiniere, e denunciando ipocritamente il tentativo di spazzarci via ‘manu militari’ perché volevamo essere liberi di sfasciare le vetrine di negozi che tanto mica erano nostri […] noi, insomma, non abbiamo speso una parola, non una parola sull’11 settembre, sulle vittime di quell’attentato folle, sull’ideologia nazista, intollerante, degli sceicchi antioccidentali dell’integralismo islamico, anzi abbiamo simpatizzato e disinformato, Osama e Saddam ci sembravano vittime, per non dire amici”.

I Wu Ming replicano in rete, e il 28 agosto Parente da B-log mania li apostrofa “Wu Cumprà”, “Wu Minchia”, e poi: “hanno reagito al nostro splendido dissidente mettendolo al bando e, udite udite, per farci un piacere. Anzi, per darci visibilità, perché ‘nella più grande edicola della nostra città il Dom non davano segno di averlo mai sentito nominare’. Hanno faticato per procurarsene una copia. Da come ne parlano si capisce che siamo un giornale clandestino e carbonaro. Invece i Wu Ming veri, i the original, i the official, sono ben agganciati, ammanicatissimi, sono bestseller, pubblicano per Einaudi, mica per DeriveApprodi, mica per Stampa alternativa. Si trovano nelle migliori librerie e anche nelle peggiori […]. Sono insomma un’istituzione, non scherziamo. Noi del Dom, d’altra parte, al confronto sembriamo una pattuglia di dissidenti. Ecco perché il nostro Wu Ming pentito l’abbiamo accolto subito e, dalle ricerche intraprese (impossibili, coi nostri limitati mezzi), pare sia il vero Wu Ming”.

Il 22 novembre, dieci giorni dopo l’attentato di Nassirya, da B-log mania Parente rispara, ad alzo zero: “Sono tutti d’accordo, vergognosamente d’accordo, pasciuti e cinici scribacchini di bestseller, militanti no global e bloggers di contorno. E allora, per favore, per coscienza civile, per i nostri diciotto ragazzi caduti per difendere il popolo iracheno dai signori della morte, poiché in democrazia forse si parla troppo e non ci si indigna più di niente, e forse proprio per questo si parla troppo, per buon senso scrivetegli e dite la vostra, e stiamo a vedere se alla prossima newsletter, nella prossima antologia di blog, compariranno anche i vostri commenti. L’indirizzo è wuming@wumingfoundation.com. Loro con chi stanno l’hanno detto. Stanno con Al Qaida, il cui obiettivo siamo noi e fa di Hitler un dilettante. Fate sentire la vostra voce, i vostri valori. E, se credete, mandateli affanculo. Grazie”16.

Nel frattempo in settembre era stato liquidato Facci, per aver chiesto nella sua rubrica Scartafacci se nella Destra ci fosse spazio per gli anticlericali. Giancarlo Lehner gli risponde sul Dom così: “Dopo l’11 settembre non c’è più spazio, da nessuna parte, per i distinguo. Sono aggrediti e messi a rischio, infatti, Zivilisation e Kultur dell’Occidente, in specie la nostra radice giudaico-cristiana […] o stai con Anna Frank ed Emilio Guarnaschelli, oppure con i loro carnefici neri o rossi, tertium non datur […]. Dove sono, poi i clericali? Semmai bisogna guardarsi da quanti hanno derubricato la fede a mera attività socio-assistenziale, tagliando via il mistero di Cristo e la metafisica”17.

Per un po’ il direttore Crespi prova con Rondoni, il quale però non ha la grinta di Facci, finché da gennaio 2004 affida a Parente una nuova rubrica, Lettere corsare, dove il titolare se la prende a settimane alterne con l’antiberlusconismo (Sabina Guzzanti, Grillo), l’antifascismo (Bocca), l’antiamericanismo (Giulietto Chiesa), per poi fra marzo e aprile bersagliare uno a uno vari giornalisti minori de L’Unità, rei, “in nome dell’antiamericanismo filoislamista travestito da relativismo culturale travestito da multiculturalismo travestito da Kant” ecc. ecc.

Contemporaneamente, escono tre sue articolesse politiche, di maggior volume se non spessore. Nella prima del 31 gennaio, Elogio leopardiano degli Stati Uniti. Contro ogni antiamericanismo, Parente elogia l’Elogio dell’America di Mario Andrea Rigoni, appena uscito per Liberal, e siccome l’autore è un noto studioso di Leopardi, il Nostro pensa bene di dare una spruzzata leopardiana non petita al tutto: “Dietro il trattato di Maastricht c’è il nulla leopardiano. Le illusioni, senza le quali la vita diventerebbe un deserto, le abbiamo appaltate all’America, tanto sarà l’America a difenderci […]. Questo libro di Rigoni è un piccolo ma essenziale zibaldone prêt-à-porter come antidoto alla nausea dei sofismi europei. Che dopo l’11 settembre, se la storia insegna qualcosa, sono diventati vigliacchi e intollerabili […]. L’Europa si trova per la prima volta con i mezzi per poter aiutare l’America. Aiutarla, non salvarla, salvando al contempo anche noi stessi. Peccato stia perdendo l’occasione. L’Italia no, meno male. Cordoglio e orgoglio per i nostri caduti”.

La seconda articolessa, del 7 febbraio, esalta la giornalista più reazionaria d’America, di cui Rizzoli aveva appena tradotto Tradimento. Come la sinistra liberal sta distruggendo l’America: “Se ai GAP preferite la resistenza liberale, antifascista e anticomunista, del conte Carlo Sforza, leggete Ann Coulter. Lei, brillante polemista della Destra statunitense, è furente. Non ne può più di sentir parlare di ‘maccartismo’. La sinistra liberal da 50 anni a questa parte ha costruito miti, disinformato, occupato giornali e università e case editrici, nonché parteggiato, in patria, per i nemici della patria. Il Venona Project, reso noto nel 1995, rivela quante spie sovietiche ci fossero in USA […]. Quanto agli effetti delle ‘persecuzioni’, bastava essere additati da McCarthy per ottenere, come minimo, una cattedra alla Harvard University (non è difficile crederlo, in Italia non c’era McCarthy ma bastava la tessera del PCI e persino Alberto Moravia [?!] e Renato Guttuso diventavano un grande scrittore e un grande artista) […]. Più che caccia alle streghe fu caccia allo stregone. Ma gli USA gli debbono molto. E anche l’Europa, che agli USA deve la libertà”.

La terza articolessa infine, del 5 giugno, corteggia l’autore di Terrore e liberalismo: “Paul Berman è ‘uno studioso americano di sinistra’, come dice bene la quarta di copertina del libro (che essendo Einaudi e per di più Stile Libero non pubblicherebbe mai uno non di sinistra) […] per lui la malattia dell’Occidente è sempre quella, un razionalismo incapace di definire l’irrazionalismo assassino dei suoi nemici […]. Berman ci dice che la guerra per la libertà non è finita nel 1989. Questa guerra rischia di essere più lunga delle altre, e ugualmente incompresa dalle anime belle e arcobalenate che trovano giustificazione ai nemici della democrazia […]. Si tratta insomma, per Berman, illuminato uomo di sinistra, di combattere il nichilismo”18.

L’altra bestia nera del giovane Parente fu Melissa Panarello coi suoi Cento colpi di spazzola. Così il 23 agosto 2003, in contemporanea all’avvio della campagna contro i Wu Ming: “L’editore Elido Fazi lo chiamano ‘l’ultimo dandy’, bontà sua. Negli ultimi due anni ha cavalcato la tigre, non della Malesia ma del terrorismo islamico e dell’antiamericanismo trucido, arrivando in libreria, per esempio, una settimana appena dopo l’11 settembre con un pamphlet insipido e apologetico su Osama Bin Laden messo su a tavolino, un tavolino piccolo piccolo e in tempi record19. Ora che il tema non tira più, pensando pensando si è inventato Melissa P, diario dei turbamenti sessuali di una sedicenne. Per l’estate va benissimo, i giornali ci si buttano come mosche sul miele, e questa Melissa, più che miele, è una melassa ideale per lettori bavosetti di bocca buona, e i giornalisti ci vanno a nozze […]. Il fatto poi che nonostante le 143 pagine di scopate forsennate e di erotiche autocontemplazioni allo specchio, di Melissa si dica che si è data a tutti per essere amata, perché lei disprezza i maschi, che pensano solo a quello, i cattivi, rende il libro profondo, femminista […]. Toccante non c’è dubbio, anche se poi non è il libro che tocca ma il lettore vergognoso e pavido che fa da sé, come sempre, tra sé e sé, e Melassa, per certe cosucce, è un alibi di ferro. Volendo, dopo, ci scappa pure la lacrimuccia”.

Parente ci torna il 20 settembre: “Melissa P, la bufala pornografica dell’estate che non vale una sega, ma lacrime a fiumi. I giornali ci sono andati a nozze”, e chiude sconsolato il 6 marzo 2004: “in testa alle classifiche di vendita c’è Melissa P, storia di una quindicenne carina e troia, troia ma bambina, o adolescente […] in questi libri a indurirsi è sempre ‘il sesso’, come i ‘membri’ di Melissa P. Mai un cazzo, neppure quando sono o non sono pornografici”20.

Che a Parente interessasse più Melissa di Osama, lo si deduce da un intervento del direttore stesso, del 25 ottobre 2003: Altro che Melissa P. Se volete sesso e amore, leggetevi Massimiliano P., recensione benevola a Canto della caduta, “chirurgica e spietata vivisezione della modernità” di… Parente, appena uscita per ES: “Un uomo, anzi un vecchio, ama una donna molto più giovane di lui […]. Lui, lei, sono figure nude di fronte all’amore, semplici anime. Non c’è altro spazio in cui rifugiarsi se non la nudità dei rapporti più intimi e scabrosi. Non c’è salvezza psicologica altrove: non il lavoro, la famiglia, gli amici, le relazioni mondane. Ecco, la sintesi […]. È il freddo reportage scopofilo di chi osserva dal buco della serratura una camera da letto. I personaggi non hanno passato, né futuro, ma solo l’orrido, glaciale, ossessivo presente della loro contesa amorosa […]. La scrittura, volutamente, viene condotta fino alle sue massime possibilità, perfino del turpiloquio. Non ci sono paraventi lessicali, perché l’azione (anzi, la non-azione) si svolge in quelle regioni primordiali, aurorali della psiche, dominate da un istinto preletterario e quindi simbolico. E in questo sta la riuscita di un testo che solo a un’inesperta lettura può apparire pornografico. Qui anche l’atto osceno e contro natura per antonomasia è un atto metafisico che tradisce l’impazienza del maschio, un atto durante il quale il maschio si svela per quello che è, perché deve arrivare subito al limite dello sfintere, un limite astratto, verso l’intestino, e quindi non raggiungibile se non per ansiosa approssimazione, per ripetuto tentativo che va sempre a vuoto, perché non c’è fondo, è inganno perpetuo: metafora dunque dell’insaziabile, infinito desiderio dell’uomo per la vita, che però è finita, determinata. Non c’è dunque, in Parente, nessun ammiccamento. Distanza abissale dalla scrittura erotica o pornografica. Distanza abissale dal caso dell’anno, quella Melissa P dei cento colpi di spazzola… da 400 mila copie, una lolita che si autodescrive senza letteratura, ma con la violenza del finto diario che imita la realtà, e tutta la pornografia, lo svilimento che esiste nel caso costruito ad hoc dal marketing più disinteressato alla vita e alla letteratura.

Più che la pornografia, quindi, la disperazione della modernità, quella dei ripetuti onanismi guardando la pubblicità televisiva dei vibromassaggiatori nella quale i corpi sono in vendita come gli aggeggi meccanici, violenza della tecnica rispetto al mondo poetico; la disperazione del coito senza amore, meccanismo di riappropriazione dolorosa del proprio io disgregato dal progresso, dal gossip mediatico ed evanescente dei nuovi riti, dei nuovi miti della moda. Ma è nella disperazione, nella solitudine della propria esistenza, nell’impossibilità di essere in due, se non nell’estasi breve dell’atto amoroso, che è dimenticanza per solo un istante della propria condizione umana, della finitezza umana, che si giunge alla verità”21.

È il caso di analizzare il libro, innanzitutto nei suoi dati estrinseci: stampato in 1.500 copie, consta di 127 pagine quasi mai piene e spesso quasi vuote, in quanto il plot procede a flash, quando non a frame di una sola frasetta. L’esergo è da D’Annunzio: “E questo fu il primo giorno dell’ultima prova”, che google riporta a Forse che sì forse che no, il romanzone incestuoso del 1910. Criptica invece la dedica: “A Blu d’Oasi, che resta”, la quale però si scioglie anagrammando Blu d’Oasi in Aldo Busi22.

Già, cosa resta di Busi che valesse una dedica? Lo scopriremo analizzando il primo contributo in assoluto di Parente al Dom, una sesquipedale recensione del 12 aprile 2003 al romanzetto appena uscito La signorina Gentilin dell’omonima cartoleria.

 

 

II.

La signorina Gentilin appunto… “Uscito ormai da qualche mese, le recensioni scarseggiano. Eppure è un’altra delle ormai innumerevoli costole di cui è formato l’inarrestabile corpus narrativo del ‘più grande scrittore italiano vivente’, come lui stesso ha provveduto anzitempo a autodefinirsi, non senza fondate ragioni, se solo lo si leggesse, e lo si leggesse sapendo beccare i libri giusti, dimenticarsi di quelli sbagliati, e soprattutto dimenticarsi della faccia pubblica dell’autore. Si legge ancora Busi? Perché è diventata impresa ardua difendere Busi, per chi lo ama e per chi amandolo lo odia, dal suo peggior nemico, Busi stesso. Eppure ogni volta ci proviamo, almeno taluni di noi ci provano, con la portinaia, un tassista, un giornalista, gli amici, i nemici, le zie, i cugini, i conoscenti, gli sconosciuti, una volta mi sono lasciato andare con uno scettico Giampiero Mughini, e Mughini, incuriosito e fidandosi, è andato a comprarsi l’ultimo Busi, e l’ultimo Busi, per la verità, era davvero brutto (Nudo di madre), poco si attagliava ai miei sperticatissimi elogi […]. Invece, riprovandoci, bisognerebbe avere il coraggio e la voglia di dirla tutta, o quasi, tanto dello scrittore ora anche girotondino cofferatiano quanto della sua cialtroneria da avanspettacolo. […] Busi va in televisione con tacchi a spillo e veletta o viceversa, nella variante seria in giacca e cravatta, da vent’anni fa la checca e le battute sconce, non si schioda da lì, il cazzo e il culo, il culo e il cazzo, chi tromba e chi non tromba, e a morte i preti e il cattolicesimo, senza rendersi conto di incarnare il cliché dell’omosessualità che fa più comodo all’eterosessualità ideologica da lui tanto disprezzata, e difatti gli eterosessuali lo amano e gli omosessuali lo odiano, mentre ai non sessuali è del tutto indifferente […]te lo immagini, Busi, astrattamente sospeso su un qualche empireo da sub-dio, su un Olimpo à la Arbasino, o giù in una fogna à la Céline, o a marcire in un carcere à la Genet, invece apri un quotidiano e lui ti fa un santino di Di Pietro e un altro di Cofferati, perché sono buoni e puri, e ci aspetteremmo di meglio, noi busiani ripudiati da Busi […]. Fossimo i romanzi di Busi ci ribelleremmo al loro autore e lo uccideremmo”23.

A inquadrare questo articolo di Parente del 12 aprile 2003 valgano le precisazioni seguenti:

1- Nudo di madre, definito “brutto” e rubricato tra i “libri sbagliati” di Busi, era uscito nell’estate 1997.

2- La raccomandazione di Parente a Mughini cadde attorno al 1998. All’epoca Mughini, evidentemente amico già prima del Nostro, oltre che ospite fisso del Costanzo show (con minore risonanza di Busi invero, cui era stato dedicato il siparietto Busi contro tutti), stava lasciando L’appello del martedì di Maurizio Mosca per approdare a Controcampo. Nel 1999 avrebbe congedato per MondadoriUn secolo d’amore. Arte, bellezza e desiderio da Picasso a Marilyn, e partecipato a una trasmissione televisiva come giudice fisso in coppia con Busi, secondo quanto apprendiamo da un articolo di Mughini stesso su Il Foglio del 2 ottobre 2002, dedicato alla misura del pene (ma “d’ora in poi cazzo, signori quando ci vuole ci vuole”): “Alla prima seduta che facemmo a preparare Fenomeni, la trasmissione settimanale di RaiDue condotta da Piero Chiambretti, Aldo Busi esordì dicendo che l’aveva molto grosso. Non dissi e non pensai nulla. Lui la sera andò a cena da Roberto d’Agostino e gli si rivolse più o meno così: ‘Ho conosciuto quel Giampiero Mughini. Deve essere un cretino, non dice nulla’”24.

3- A differenza che con Busi, i rapporti di Mughini con Parente rimasero stabilmente buoni fin oltre il 2003, a giudicare almeno dall’avversione che entrambi nutrivano per il movimento dei girotondi e dagli accenni camerateschi all’amico di cui Parente cosparge i suoi articoli sul Dom25.

Quanto al rapporto di Parente con Busi, a partire dall’articolo esso andò peggiorando sul Dom a vero e proprio tormento(ne) secondo due linee parallele: dei libri salvati se ne cita quasi esclusivamente uno, mentre la delusione colleziona sempre nuove conferme.

La prima linea s’impone subito, già dal 13 giugno 2003: “Ancora continuano a romperci i coglioni con l’autoritarismo e la società repressiva? Ormai lo sanno pure le portinaie, i processi hanno sempre fatto la fortuna degli autori, da Flaubert a Joyce fino al Sodomie in corpo 11 di Aldo Busi […]. Il problema, casomai, è che oggi in letteratura ogni parola vale l’altra e non ti processa più nessuno”; 14 febbraio 2004: “sublime Aldo Busi, che non ringrazia mai nessuno, nel sublime Sodomie in corpo 11”; 5 marzo 2005: “considerazione di Aldo Busi in Sodomie in corpo 11, ossia che ‘è ben triste scrivere per vendere, sacrificare tutto il resto, e poi non vendere’”; 26 marzo: “Sodomie in corpo 11, p. 73 [ma 93]: ‘Mi sembra che Kant e Fichte e Hegel arrivino dopo Lenz, Goethe e Hofmannsthal di parecchie misure e che lo scrittore vero precede o dà [sic] il via a ogni speculazione filosofica, della filosofia della scienza compresa, mai che vada a carretta – anche prescindendo dall’aspetto fondamentale della rigenerazione del linguaggio. Io non so se Heidegger o Husserl o Wittgenstein abbiano letto Proust per rendersi conto di essere conglobati nella Recherche con venti anni di anticipo”26; infine, Parente raccoglie gran parte dei suoi articoli sul Dom in Parente di nessuno, che esce nel gennaio 2006 per Gaffi Editore, con a esergo un brano adespota di Busi desunto sempre da Sodomie in corpo 11: “Stessa cosa vale per la scrittura: posso spiegarla ricorrendo a una nomenclatura criticistica o ingegneristica, e non avrò ancora detto niente sull’essenza – tutt’al più, molto sull’inessenza, dicendo come per tanti campi del sapere, che cosa non è. Chi non è scrittore non sa che farsene delle teorie sulla scrittura, chi lo è non ne ha bisogno. Uno scrittore vero è allo stesso tempo il teorico più qualificato nel suo campo, non ha bisogno di articolare i problemi inerenti alla propria arte: li individua arandoli, e basta. Scrivere un romanzo è l’unica possibile teoria dello scrivere. Tutto il resto riguarda o il leggere o è gettone di presenza”27.

La seconda linea è quella della delusione e conseguente ripulsa. Il 7 febbraio 2004, su e io, che ho le rose fiorite anche d’inverno?, libro di Busi appena uscito da Mondadori: “È un libro violento, è una rivolta totale, contro l’amore, contro l’odio, contro i lettori, contro la Chiesa, contro l’idea di Dio, contro i gay, contro gli eterosessuali, contro la prostituzione, contro la droga, contro la Destra e contro la Sinistra, persino, e questa è una novità, contro i bambini […]. L’unico elemento patetico della rivolta radicale di Busi, debolezza di un baratro altrimenti sublime: salvare se stesso, poiché nessuno è intelligente, nessuno è integro, tranne lui. Si resta, alla fine, con un io ipertrofico”; 14 febbraio: “oggi che Aldo Busi va in televisione e è indistinguibile da Platinette (anzi sì, è meno intelligente e persino meno autorevole) […], si può dire che questo atteggiamento ci ha rotto i coglioni?”; 20 marzo: “è intervenuto Aldo Busi, per affermare che lui c’è, dura, e viene censurato (e probabilmente se da dieci anni credete di averlo visto ovunque e in tutte le salse e proprio nell’‘iperspazio mediatico’ vi sbagliate, era Platinette senza parrucca)”; 20 novembre: “Caro Aldo Busi. Che confusione, sarà perché ti amo, cantava la brunetta dei Ricchi e Poveri. E sarà anche perché, amandoti, c’è qualcosa di triste, nel vederti ad Amici ogni sabato pomeriggio, come ogni volta in televisione da anni a questa parte; e sentirti ripetere sempre le stesse frasi a macchinetta, sempre gli stessi predicozzi egolatrici […]; sei lì, e sapendoti un genio fa ormai abbastanza specie; sei lì in giacca e cravatta […] per insegnare un’etica, che sarebbe la tua e solo la tua e per ora non applicata da nessuno se non da te che saresti inimitabile e irraggiungibile e irripetibile; ossia che lo Scrittore (te e solo te) non deve avere prìncipi, deve stare lontano dal potere per essere autonomo, libero, indipendente”; 4 marzo 2006: “Lo amo, e spero muoia presto. lo ho amato e spero che muoia presto […]. Lo dico perché so che Aldo busi è tra gli scrittori viventi più importanti in assoluto. Lo penso e lo penso con sempre più rabbia e più dolore […]. Proprio perché è un genio, proprio perché è Scrittore, proprio perché anziché portare avanti la letteratura la affossa scavando la tomba anche a se stesso. Aldo Busi, non il più grande scrittore vivente ma solo il vivente, mi ha rotto il cazzo, mi ha fatto venire il latte alle ginocchia e calare le braccia e le palle. Io l’ho amato troppo e adesso non vedo l’ora che muoia […]. Non vedo l’ora che muoia, Busi, perché Aldo Busi l’ho amato visceralmente […]. Non vedo l’ora che muoia, sperando di non morire prima io, per essere io a riabilitarlo dopo averlo tanto odiato per eccesso d’amore […]. Io su Busi ci avrei messo la mano sul fuoco. E me la sarei bruciata”28.

Conclusa nell’estate del 2006 la collaborazione col Dom, Parente trasmigra a Libero di Feltri, e poi dal settembre 2009 a Il Giornale, in sincronia perfetta con la nomina a direttore di Feltri stesso. Qui il 17 gennaio 2010, prendendo spunto da Aaa!, silloge di racconti con cui Busi passa da Mondadori a Bompiani: “Scrittore di capolavori indiscutibili, io l’ho amato così tanto da arrivare a odiarlo più di chi ho sempre odiato e basta […]. Va bene che, avendo la Bompiani cacciato Parente, è meglio la gallina vecchia di Busi che un ovetto sculato da Scurati oggi […]. Ora non fa che ripetere garibaldinamente che uno scrittore è ‘la coscienza della nazione’, la nazione di qua, la nazione di là, l’Italia non è una nazione, gli italiani non sono una nazione, sembra D’Azeglio […] incorruttibile, modello unico di vita e di 740, di correttezza, di onestà, di sessualità pulita, di altruismo impeccabile introiettato in un egoismo sempre filantropico, in un mondo di corrotti e di non Busi. È una predica continua […]. ‘Chiamami professore e dammi del lei’ mi disse l’ultima volta che ci siamo sentiti, quasi dieci anni fa, come un italiano qualsiasi con il complesso della gerarchia. Me lo disse prima di riattaccarmi il telefono spezzandomi il cuore che non ho. Insomma, per quel poco che c’era tra noi, per quel tanto che sentivo e sento per quei suoi romanzi, artisticamente troppo e umanamente troppo poco per potermi rapportare al suo moralismo cristologico, altrimenti avrei desiderato un rapporto intellettuale con Beppe Grillo. Lui, l’amore mio, avrei dovuto ucciderlo subito durante la nostra unica cena che non era neppure a lume di candela, uccidere lui per salvare l’altro”.

Anche qui vanno fatte delle precisazioni:

1- Parente aveva rotto coi fratelli Sgarbi dopo la pubblicazione per Bompiani del suo Contronatura (2008).

2- La telefonata risale verosimilmente al marzo 2000.

3- La cena conviviale altrettanto verosimilmente si svolse pochi mesi prima.

Ora, tenuto conto che Mamma. Romanzo d’amore, seconda prova di Parente, uscì per Castelvecchi nel febbraio 2000 dedicato ad Aldo Busi, la vicenda può essere ricostruita così: i due si conobbero a una cena di amici comuni, e tanto bastò a Parente per azzardare una dedica cui l’ignaro dedicatario, a lettura ultimata del romanzo, reagì rimarcando le distanze. A conferma, c’è che alla presentazione del libro al Palazzo delle Esposizioni di Roma il 19 aprile successivo, Busi non c’era. Chi ci fosse, lo vedremo nella prossima puntata, mentre qui registriamo la risposta a distanza di Busi, il 30 marzo 2011 sul suo sito altriabusi (tolta in seguito): “Intanto, per andare bene a me, dovresti drenare la tua scrittura di tanta aggettivazione pretenziosa e, al contempo, narrare di qualcosa che sai, che conosci in prima persona, smettendo di entrare in strutture kafkiane di autofiction che poi ti sfuggono (per come la racconti, la tua identità socio-artistica non ha credibilità, è tutto un arrancare in una discesa di cui non hai conosciuto la salita, la grande fatica e l’ancor più grande ridarella per la vanità del risultato una volta in cima); ti dò un suggerimento: non inventare niente, e non inventarti nobilitandoti a vanvera, smettila di fare il genio incompreso, il genio se ne frega di essere il prodotto della macchina del consenso che lo comprende, vediti dall’esterno, se ne sei capace; mi ricordo che ti eri sposato con un’avvocatessa molto più vecchia di te e che convivevi con lei e un tuo amico: se tu di questo trio ci svelassi le implicazioni ‘luciferine e inconfessabili’, anche economiche e professionali, magari negate e nascoste (e forse a te stesso occulte) usando una struttura semplicissima e lineare e lasciando perdere ‘i nomi alla Busi’ e il senso del ridicolo sparso sui personaggi che ti si ritorce contro (il primo soggetto politico di un romanzo è chi lo racconta, sicché non può spargere parodia e sprezzo sugli altri finché non ha capito che lui è un altro come chiunque e non merita di farsi alcun favore) potresti scrivere qualcosa davvero di inedito – e lascia perdere le tiritere filosofiche, il cinismo, l’autocompiacimento, le sfuriate dei tuoi residuati infantili: hai già dato abbastanza prendendoti arbitrariamente molto di più. Devi assumere un ritmo sentimentale ‘contrario’, più leggero… Provatici. Spero che questo mio beau geste non mi costi troppo caro, e a proposito: quando ti viene voglia di inveire contro di me, attacca te stesso, non resterai mai a corto di materia”. La replica di Parente, sempre lì il giorno stesso: “Caro Busi, grazie del beau geste, forse lo stampo e lo regalo al primo prete che incontro per l’omelia domenicale. Quanto a me, per quello che te ne può fregare, ormai mi interessano solo argomentazioni dal Pleistocene in giù, residuati infantili inclusi, il resto è finalismo politico-religioso più o meno travestito. Se posso, invece, ti mando un abbraccio, non sarebbe male se tu sapessi prendere almeno questo con umana o animale leggerezza. M.”. E la controreplica di Busi, istantanea: “P.! Come non detto. E buona caverna. B.”.

Qui ancora qualche precisazione:

1- Il riferimento critico di Busi è senz’altro al quarto e quinto romanzo di Parente, La Macinatrice (Pequod 2005) e Contronatura appunto, dove a differenza dei primi tre compaiono nomi alla Busi (Valva, Mezzomondo, Naike Porcella, Montefeltro ecc.).

2- Il triangolo parentiano cui accenna Busi risale agli inizi del decennio: il matrimonio sarebbe durato pochi mesi, l’anziana avvocatessa venne sostituita dalla più giovane Maria Sole Abate, mentre identico rimase l’amico o fidanzato, Mario Maccherini. Di entrambi ci occuperemo in seguito, in quanto scrittori seppur minori le cui carriere s’intersecano con quella di Parente.

3- L’uso del nome puntato da parte di Parente nella replica, e del cognome puntato da Busi nella controreplica riporta le distanze all’antica telefonata, questa volta definitivamente29.

 

 

(continua, in sinergia con http://tysm.org/ )

 

 

 

 

NOTE

Dalle elezioni del giugno 2001 uscì il governo Berlusconi II, il più longevo della storia d’Italia, che durò fino all’aprile 2005 (con la coda del Berlusconi III, fino al maggio 2006).

2 (Busto Arsizio 1968) scrive all’epoca su Il Foglio di G. Ferrara e su Il Giornale di M. Belpietro. Nel 2004 pubblica. Contro la terza pagina (Biblioteca di via Senato Edizioni, di cui diviene direttore responsabile) e prefà M. Pandolfi, Inchiostro rosso: le vere veline dell’era Berlusconi, Ares (tre anni dopo curerà V. Sgarbi, Ragione e passione, Bompiani).

3(Milano 1964) scrive all’epoca su Libero di V. Feltri, su Il Foglio e su Cristianità. Socio di Alleanza Cattolica, senior fellow presso The Russell Kirk for Cultural Renewal nonché direttore della sezione italiana, aveva all’attivo L’inventore del Polo delle Libertà: Barry Goldwater (in Aa.Vv., Rivoluzione blu. La sfida di destra alla terza via, Koinè 1999), un contributo con M. Introvigne a R. Pernoud, Luce del Medioevo (Gribaudi 2002), la curatela di T.S. Eliot, La Roccia (Biblioteca di Via Senato 2004), L’Europa fuori dall’Europa, in Aa.Vv., L’Europa fra radici e progetto. Civiltà cristiana o relativismo etico?, e Ronald W. Reagan. Un americano alla Casa Bianca, (entrambi Rubbettino 2005). Nel 2003 sul Dom pubblica a puntate La causa americana di Kirk, e nel 2007 congederà per Piemme Processo a Darwin.

4 (Milano 1979) giovin poeta con all’attivo Annali (Atelier 2004) e Annali. Lustro (Mimesis 2006), più traduzioni dall’Antico Testamento (Scanni, Raffaelli 2003, e Il libro della sapienza, Medusa 2006).

5 All’epoca capogruppo di F.I. al comune di Venezia, firma de Il Giornale, ospite fisso del Costanzo show e di Porta a porta, è alla II edizione de L’artista armato. Contro i crimini della modernità, Mondadori 1999, in cui bolla il nihilismo.

6 Reduce da Sgarbi Quotidiani, all’epoca deputato di F.I. e sottosegretario neodimissionario ai beni culturali, contro le avanguardie artistiche sforna nel 2002 per Bompiani Percorsi perversi, Il Bene e il Bello, e La stanza dipinta.

7 All’epoca presidente della Fondazione Julius Evola e collaboratore de Il Giornale, pubblica Come sopravvivere alla modernità (Asefi 2000) eI non-conformisti degli anni 70: la cultura di destra di fronte alla contestazione (Ares 2003). Dei tre, è l’unico che continuerà a scrivere sul Dom.

8 Riuscirà a portare al Dom il consorte Francesco, e intanto cova per Rizzoli cristianità e antidarwinismo (La cacciata di Cristo, 2006; Il dio di Michelangelo e la barba di Darwin, 2007).

9 Consultore di Alleanza cattolica (assieme a A. Mantovano di A.N., che saltuariamente scrive sul Dom), membro fondatore di Res Publica (think thank promosso da Berlusconi), direttore del Centro Studi sulle Nuove Religioni ed editorialista de Il Giornale, sforna Osama Bin Laden. Apocalisse sull’Occidente (Elledici 2001), con R. Stark Dio è tornato (Piemme 2002), Hamas. Fondamentalismo islamico e terrorismo suicida in Palestina (Elledici 2003), con L. Iannaccone Il mercato dei martiri. L’industria del terrorismo suicida (Lindau 2004), La nuova guerra mondiale. Scontro di civiltà o guerra civile islamica? (SugarCo 2005).

10 (Monza 1967) craxiano di ferro, scrive prima su L’Avanti, dal 1994 su Il Giornale di Feltri e su Il Tempo di Belpietro, poi su Il Foglio. Suoi Presunti colpevoli (Frecce 1996) e Di Pietro. La biografia non autorizzata (Mondadori 1997).

11 (Varese 1967) scrive all’epoca per Il Foglio e Il Giornale. Pubblicherà nel 2007 Il clan dei milanesi, Booktime.

12 Forlì 1964, poeta ciellino prolificissimo, scrive su Il Giornale.

13 (Catania 1963) membro all’epoca dell’assemblea nazionale di A.N., passa nel 1999 da Il Giornale a Il Foglio, nel 2004 a Panorama di C. Rossella. Per Ar, la casa editrice di F. Freda, pubblica Fogli consanguinei (2003) e con altri L’ora che viene. Intorno a Evola e a Spengler (2004).

14 (Potenza 1962), rubrichista de Il Giornale e poi de Il Foglio, dove aggiorna sulle messe in Italia, pubblicaCari Italiani Vi Invidio (Fazi 2001), Scambio coppie con uso di cucina (ES 2003), Maccheronica: guida reazionaria ai ristoranti italiani (Mondadori 2004).

15 L’autore si svela solo nel 2006, in Parente di nessuno, Gaffi, p. 39.

16 Una coda biliosa e fatidica, quanto alla data, uscirà l’11 settembre 2004, con Parente che se la prende coi “repubblichini di Repubblica”, rei di avere segnalato il successo di vendita dei Wu Ming: “la classifica è un valore anche della ‘controcultura’ che va sulle pagine dei giornali più importanti e in tutte le librerie, grazie all’Einaudi e dunque anche a Silvio Berlusconi, il tiranno democratico che li pubblica”.

17 Lehner, anziano giornalista con velleità di storico, grazie anche a Storia di un processo politico. Giudici contro Berlusconi 1994-2002 (Mondadori 2003), si guadagnerà un posto in Parlamento. Guarnaschelli, operaio comunista emigrato in Unione Sovietica, cadde vittima nel 1938 delle purghe staliniste.

18Il libro era stato preannunciato mesi prima su Il Foglio da C. Rocca, il quale due anni dopo a Roma si farà presentare da Berman stesso (un liberal di centro) il suo Cambiare paradigma, che Parente prontamente recensisce sul Dom definendo l’autore “di sinistra”.

19 F. Falconi-A. Sette, Osama Bin Laden, il terrore dell’Occidente. In realtà i due autori erano giornalisti Mediaset (il secondo dopo aver transitato come inviato per L’istruttoria di Ferrara e Porta a porta).

20 Una coda cospicua la troviamo più di un anno dopo, in una lettera corsara del 4 giugno 2005 ad Agamben: “Poiché tu sei la ‘potenza del pensiero’, e siccome la filosofia è quella che dice il non detto […] e tenuto conto che praticamente ogni volta che c’è un non detto, in un ambito, in una disciplina, arriva il filosofo, arrivi tu, a dire il non detto, e che se non ci fossero i filosofi, se non ci fossi tu, nessuno direbbe questo non detto […] tenuto conto che di te c’è quindi grandissimo bisogno ermeneutico, per non dire euristico […] ecco, io volevo chiederti, se puoi, se hai tempo, visto che adesso dirigi anche una collana di pensiero non detto e essendo anche uscito il tuo La potenza del pensiero, io volevo chiederti, perché solo tu puoi chiarirmelo: quando Melissa P, dopo essersi messa con Thomas Fazi, figlio di Elido, dopo essercisi messa prima senza fare niente per mesi poi, piano piano, arrivando a dormirci insieme e poi, piano piano, anche non solo a dormirci: quando insomma lei, per il lancio del nuovo libro, si fa intervistare da Io Donna e dichiara, parlando appunto di Thomas, ‘Lui mi ha riverginizzata’, ecco, Giorgio, tu che disponi della potenza del pensiero, mi dici il non detto, cioè cosa c’è sotto, cosa c’è sopra, insomma come cazzo ha fatto?”. Poi altra lettera il 18 giugno, a Fanucci: “è più fico Elido che: l’ha trovata, l’ha presa, l’ha fatta sbancare, l’ha data a Thomas, l’ha riverginizzata”, e infine il 2 luglio, a… Brullo che in privato gli aveva chiesto di fargli conoscere V. Parrella: “io non credevo che tu, mentre scrivevi l’anno primo del terzo Annali, mentre scrivevi l’unica opera dell’unico poeta che a me sia consentito leggere negli ultimi cento anni, mentre scrivevi ‘come un’enorme X era aperta la donna/punto d’incisione e tribunale/il luogo della frattura e quello dove sarà infisso il bastone” […] io non pensavo che questa donna e questa X e questa asta girassero intorno alla Parrella, e questo mentre Thomas, figlio di Elido, zitto zitto si è preso la nostra Melissa, l’ha pubblicata, l’ha fatta sbancare e poi l’ha riverginizzata. E tu, o sommo poeta, con un’occasione così,” ecc. ecc..

21Due settimane prima di questa, era uscita sul Dom una marchetta di Parente (E Langone è meglio di Pietro Aretino) su Scambio coppie con uso cucina “appena pubblicato da ES nella sua collana prestigiosa Biblioteca dell’Eros” (resoconto di un tenutario di bordello). Il 21 febbraio 2004 Parente conquisterà la prima pagina del Dom (sceso frattanto a 15.000 lettori) criticando i favori reciproci fra recensori e recensiti sulla terza pagina del Corriere della sera.

22 Secondo disposizione implicita dell’autore, che nel 1987 in Sodomie in corpo 11 aveva scritto: “Dio è una parola che appartiene a me come a chiunque altro e ne faccio l’uso che mi pare e ad alta voce e in autostrada e senza una lacrima: Dio che sei mio, fa’ che io sia sempre dentro questo attimo così pieno delle sue ruggenti verità, così poveramente intenso, così blu d’oasi” (corsivo suo).

23 La chiusa va al “divino Paul Valéry, che scriveva due ore al mattino ‘per conquistarsi il diritto di essere stupido fino a sera’. Tuttavia Valéry aveva un modo ben diverso di usare la propria stupidità. Se proprio doveva dire la sua, liquidava l’affaire Dreyfus dicendo: ‘Lo fucilassero’. Era un modo per liberarsi dalle opinioni, non per restarvi impastoiato”.Parente replica il 3 aprile 2004: Valery “si liberò dell’affaire Dreyfus con una frase da menefreghista totale: ‘Lo fucilassero pure’”. Gli è però che la frase è solo di seconda mano, e dubbia assai: fu Paul Léautaud a riportarla nel suo Journal (“Qu’on le fusille et qu’on n’en parle plus”, cfr. M. Thomas, Le cas Valéry, in Aa.Vv., Les écrivains et l’affaire Dreyfus, PUF 1983, p. 103).

24 Mesi prima, in La mia generazione (Mondadori, p. 113): “Busi venne a pranzo, al tempo in ci era appena cominciata l’avventura di Fenomeni […]. Avevo conosciuto Aldo da pochi giorni, e subito lo invitai. Anche lui esperto d’arte e collezionista, sogguardava le cose di casa mia senza particolare compiacimento. Disse a un certo punto – categoricamente – che nella storia della letteratura italiana di tutti i tempi, in ordine d’importanza e di qualità subito dopo Dante veniva lui”.

25 Busi partecipò praticamente a tutte le manifestazioni nazionali dei girotondini, mentre Mughini suIl Foglio del 7 febbraio 2002: “A Piazza Navona sabato sera, ero stato e avevo sostato un po’: giusto il tempo di ascoltare il ringhio rabbioso che dalla folla striminzita ma compatta prorompeva appena Francesco Rutelli civilmente accennava a possibili civili intese fra maggioranza e opposizione in tema di conflitto d’interessi, e ovviamente sto dicendo del conflitto (che c’è) fra gli interessi del Silvio Berlusconi grande imprenditore e il suo ruolo di capo politico degli italiani. Subito ho capito che tra la sinistra di Piazza Navona – una specie antropologica di cui sono forse il maggior esperto al mondo – e il civile Rutelli (e con lui i civili Massimo D’Alema e Piero Fassino) non sarebbe corso buon sangue. Mai però avrei immaginato che sarebbero stati messi alla gogna da Nanni Moretti […]. Siamo alla farsa. Di Moretti sono il massimo esperto al mondo […]. Una sinistra così, la sinistra di Piazza Navona, quelli che vanno in edicola e comprano (sotto i miei occhi) Repubblica Manifesto l’Unità, quelli che si vantano di essere nati il 25 aprile 1945 (i giorni dell’odio fra italiani), una sinistra così può aspirare alla riscossa?”. Quanto a Parente, sul Dom cita a spron battuto l’amico. Instar omnium la marchetta del 31 luglio 2004, per l’uscita di Che belle le ragazze di via Margutta: “Bisogna leggere Mughini, per salvarsi dal giornalismo pseudopensoso travestito da intellettualismo impegnato, che produce libretti apocalittici sulla guerra, sull’Impero, sulla democrazia orribile, seguendo furbescamente il trend antioccidentale e la classifica di vendita […]. Bisogna leggerlo perché scrive libri inattesi e in controtendenza, li pensa e li scrive rifiutandosi di battere il sentiero già battuto, girando alla larga dalle topiche modaiole delle prostitute del pensiero che non c’è […]. Bisogna leggere Mughini perché Mughini è un uomo di sinistra ma che alla sinistra non concede niente […]. Bisogna leggere Mughini, o noi [?], perché non si può pensarla diversamente, perché insomma il libro è bello e denso e giusto, perché lui deve pagarsi il muto della casa museo e della collezione che, se ci tenete, vi mostrerà” (di spalla, nella lettera corsara Parente bastona Baudrillard). Sull’intesa reciproca riguardo a erotismo e porno, diremo in seguito.

26 Sublime qui Busi, nel senso di orrido: Kant è di una generazione precedente a Lenz e Goethe, che sono contemporanei di Fichte. Quanto a Hofmannsthal, è di un secolo abbondante successivo a tutti costoro Hegel compreso (evidente la confusione con E.T.A. Hofmann, contemporaneo di Hegel). Si pensi poi che se la Recherche proustiana uscì scaglionata in sette volumi tra il 1913 e il 1927, Husserl aveva pubblicato le fondamentali Ricerche logiche, nel 1900-1901, il Tractatus di Wittgenstein è del 1921 ed Essere e Tempo di Heidegger del 1927.

27 Il 23 aprile 2005 aveva provveduto a elogiare Alberto Gaffi, “il quale per l’entusiasmo e la giusta follia sembra destinato a diventare l’Angelo Fortunato Formiggini dei giorni nostri” (Gaffi assume la direzione editoriale della sua casa editrice nell’ottobre 2005, per sfornare nel giro di tre mesi sforna due gioielli, quello di Parente e Sul conformismo di sinistra di Fulvio Abbate (ahimè consultabile in rete). A far quadrare il cerchio, o moglie e botte, o capra e cavoli, ci prova l’introduzione immediatamente successiva: “Questo libro raccoglie due anni di miei articoli scritti per il Domenicale, perché, essendo uno scrittore e non un giornalista, credendo nel romanzo e non nelle opinioni, ho trovato utile raccogliere questi scritti polemici facendone, come Musil, delle pagine postume pubblicate in vita; perché disprezzo le opinioni, persino le mie, e l’unico modo per neutralizzarle è dargli la forma solida di un libro; e perché le parole di uno scrittore sono sempre eterne, nel bene e nel male, e perché lavorare per un giornale ti obbliga a pensare giornalisticamente, mentre alla fine, nella ragione e nel torto, condivido un pensiero di Walter Siti, tratto da un suo bellissimo libro, secondo cui, appunto, ‘è inutile perdere tempo a discutere con gente che, cent’anni al massimo, sarà morta. Discutere è un’ossessione necrofila’”. La citazione adespota è da Scuola di nudo, Einaudi 1994.

28 Qui Parente ripete il maestro Sgarbi, che nel 1989 al Costanzo show aveva proclamato: “Io odio Federico Zeri e desidero la sua morte”.

29 Una coda il 22 novembre 2012, quando Parente su Il Giornale sbotta: “da anni non fa che ripetermi che devo smettere di scrivere, paura eh? Ma fatti i cazzi tuoi”.

 
 

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