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Marco Di Eugenio. Se l'amore finisce

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Non è un senso di colpa, questo romanzo dal titolo lapidario, “Se l’amore finisce”. Non siamo neanche a “sei metri sopra il cielo” o tra le poesie da baci Perugina di Prevert: non è un romanzo. È una epifania. Perché ad ogni pagina comprendiamo come il “naufragio sentimentale” diventa per tutti un naufragio che ha lo stesso approdo: l’illusione della costa, l’arrancare verso terra, il nuotare  tra detti e non detti che diventano murales, ma incisi nel nostro cuore. Incisi a lama doppia, ma che feriscono solo noi. Non è un romanzo per vittime o per uomini dimenticati, ma un romanzo che racconta ciò che oggi è difficile leggere: la confessione di un autore, il romanzo è autobiografico ma trascende dalla biografia, scorticato vivo: di un ragazzo che si è inoltrato negli abissi dell’amore per vederne la luce – splendida, straordinaria, unica- ma anche il baratro, quando le luci della relazione si spengono e rimane solo lui. Ariel un giorno di Natale abbandona il protagonista: è tutto il mondo di castelli d’amore Disney che hanno costruito cade come in gioco di carte e di specchi.
La bellezza di questo romanzo è che non è consolatorio, anzi: Marco Di Eugenio ci racconta per la prima volta, in questi tempi (im)mediati, com’è essere lasciato dalla Donna che si ama. E per Amore si intende tutto: mitizzazione della Donna amata – e Di Eugenio descrive i fatti con la grazia di un trovatore francese e al contempo con la sensibilità di un cantante punk mai davvero costretto a sanguinare. “Se l’amore finisce” è un romanzo che non troviamo ancora nelle classifiche dove a vincere è il solito maschio italiota da “L’animale che è in me”. L’autore non ha paura di mettersi a nudo, di far capire che la Donna è l’unico Essere Umano capace di azzerare un uomo. SE davvero è amore e non gelosia, ripicche, ma condivisione di anni come attimi, di istanti come inverni che adesso sembrano non passare. Marco Di Eugenio è un cavaliere della tavola che credeva rotonda e la ritrova quadrata: un amore sconfinato, mai rancoroso, un testo che andrebbe adottato nelle scuole come educazione sentimentale e civile. Per far comprendere, in tempi di femminicidi e altre nefandezze, come la sconfitta d’amore possa diventare arte. Come quella di questo romanzo, del quale sentiremo senz’altro parlare e che meriterebbe la classifica e magari un film. Così, tanto per migliorarci.
 

Gian Paolo Serino

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