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Sophie Daull anteprima. Il lavatoio

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Il Lavatoio di Sophie Daull, è un romanzo breve di rara bellezza in cui l’orrore, l’innocenza perduta, la redenzione e il caos onirico e fisico di vite distrutte si miscelano in un’unica grande cisterna di ossessioni. Ma al lavatoio certe macchie dell’animo umano non vanno mai via.

Ibridando esperienze auto-biografiche e traumatiche a uno stile lirico, poetico e intimo che cavalca la finzione narrativa, Sophie Daull ne Il Lavatoio rielabora il suo doloroso passato. L’omicidio della madre, nel 1985, non è solo la catastrofe che distrugge l’infanzia dell’autrice – protagonista anch’essa del romanzo – ma l’evento che rivoluziona la vita dell’assassino. “Due” ergastoli, uno emotivo, l’altro tra le sbarre di una cella. Purtroppo l’ergastolo del colpevole viene revocato e per buona condotta sconta soltanto 18 anni in prigione. La vita dell’assassino è radicalmente cambiata, merito del suo amante raffinato e colto; addirittura lo ha introdotto a una diete vegetariana, povera di alcolici e altre sostanze. L’ex detenuto ora lavora come giardiniere municipale a Norgent- le- Rotrou; il luogo in cui viene presentato un libro su una figlia scomparsa per una malattia fulminante. È il libro della figlia della donna che ha ucciso ormai trent’anni fa. Nella sofisticata traduzione di Cristina Vezzaro esploriamo una lingua spezzata ma elegante, rotta come i legami emotivi tranciati da una coltellata e intrisi di sangue. Sophie Daull non è una semplice narratrice ma un’artista della composizione, come i giardinieri francesi innesta nel testo il punto di vista dell’ex detenuto e la figlia della vittima, il risultato è un’oasi di visioni grottesche, malate, terribilmente umane. A volte si tenta di lavare via la colpa, il peccato, il sangue delle vittime; non riuscendo si opta nel cancellare la memoria stessa, si tenta di sotterrare in una policromia floreale i dolori di una non-vita mai nata. Uccidere un individuo non è mai un atto unico, limitato, confinato a una singola esistenza.

Il Lavatoio ospita acque inquiete, in esso si bagnano individui che non sono mai gli stessi, ma, giocando con le ombre e le ambiguità, un uomo e una donna possono tornare a essere quello che erano grazie a una ferita appena riaperta? Sophie Daull ci interroga, usando il bisturi del dolore e della solitudine, apre il nostro corpo per una autopsia letteraria, tastando gli organi della colpa e del perdono, fino a farci immedesimare nel carnefice e nella vittima.

Sophie Daull lancia i propri lettori nel grande lavatoio della vita, a loro la scelta di cosa cancellare.

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Cristiano Saccoccia

Il tizio che ha ucciso mia madre con quarantuno coltellate, dopo averla violentata con il manico di una pala da neve una notte di gennaio, è stato condannato all’ergastolo. Compatibilmente con un profilo a basso rischio di recidiva e il possibile “reinserimento” attribuitogli dagli esperti in assise, a cui si è aggiunto un percorso penitenziario irreprensibile, è stato rilasciato dopo aver scontato i diciotto anni di pena obbligatori. Negli archivi giudiziari o della stampa si trovano con facilità i dettagli del crimine, del processo e perfino del suo soggiorno in carcere durante i primi anni, poiché gli hanno dedicato un lungo documentario televisivo in cui risulta particolarmente fotogenico. A star is born. Donna di cuore quale sono, umanista e progressista, non posso che applaudire l’esemplarità di questa esperienza di riabilitazione: la cella come cabina dell’ascensore sociale, la vita dietro le sbarre come occasione di realizzazione personale portata a termine con successo.

Anch’io sono stata condannata all’ergastolo. In una cloaca di dolore putrido, di amnesia forzata, di confusa rimozione che ha finito per prosciugarsi, discretamente nauseabonda. Ma dopo trent’anni passati in questo sarcofago perfetto, la crosta prude, la piaga riparla. Trasuda un qualcosa che va lavato con acqua abbondante. Andrò quindi al lavatoio, dove la memoria si sfrega contro il granito rugoso, dove la lingua si risciacqua nel torrente che schiuma come un sapone di inchiostro, dove la finzione si fa candeggina. Guarderò l’acqua sudicia scorrere in una grande sinovia di parole e lascerò che gli schizzi si asciughino al sole della loro consolazione. Gran bucato. Occorre un personaggio. Chinandomi sugli ultimi riflessi, lo vedo. Star per un giorno, star per sempre. Il tizio che ha ucciso mia madre sarà quindi giardiniere municipale a Nogent-le-Rotrou.

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