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Antonello Saiz racconta “Italian psycho” di Corrado De Rosa

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«Piazza della Loggia è la più politica tra le stragi ascritte alla strategia della tensione. La bomba colpisce vittime innocenti, ma ha il valore aggiunto di puntare a chi quel giorno, a Brescia, sta manifestando il suo credo antifascista. Il processo, come tutti i processi sulle trame di quegli anni, è lungo e accidentato. Si svolge a colpi di omicidi misteriosi, di coperture e alibi fasulli, di veri e finti pazzi, di testimonianze e ritrattazioni, di tentativi di dare un nome e un volto a mandanti ed esecutori materiali, di ragionevoli pretese di venire a capo della verità, di frustrazioni e angosce alla prospettiva di non riuscirci mai.»

Corrado De Rosa, Italian psycho, minimum fax 2021

Sulla pagina Facebook della casa editrice minimum fax abbiamo presentato in un sabato sera di metà maggio, insieme all’autore Corrado De Rosa e allo scrittore e sceneggiatore Carlo Lucarelli, questo saggio che per sottotitolo ha Follia tra crimini ideologia e politica.

Siamo partiti in maniera piuttosto punk, eleggendo a sigla la canzone Gigi l’amoroso di Dalidà che, come riportato nell’introduzione del libro, veniva utilizzata a volume altissimo per l’annientamento psicologico e per coprire le grida dei prigionieri, torturati dagli scagnozzi di Augusto Pinochet in Cile.

Come ha ricordato Lucarelli, questo saggio, dal racconto incalzante e scritto con una penna di notevole spessore, parte già con una citazione altissima proprio nell’introduzione. Riprende un racconto di Joachim Maria Machado De Assis, L’Alienista, che ha per protagonista un medico psichiatra. Questo medico ricovera inizialmente i quattro quinti della popolazione di un villaggio e finisce con il ricoverare solo gli umili, i leali, i buoni, gli altruisti e i sinceri.

Capiamo già da questa apertura che si tratta di un saggio dal forte carattere narrativo, attraverso cui si indaga sul ruolo della follia come strumento di potere: follia per occultare, follia per proteggere i politici o per ottenere benefici di giustizia. Follia per relegare al gesto imprevedibile di un pazzo le pagine più nere della storia dell’Italia.

Saggio che, nella sua facilità di lettura, si occupa di follia, di malattia mentale e di manipolazione della psichiatria. Saggio che diventa spesse volte racconto e cronaca appassionata di vicende umane.

De Rosa è uno psichiatra. Per conto dell’autorità giudiziaria si è occupato di camorra, infiltrazioni mafiose ed eversione. Ha scritto diversi saggi sulla follia come strumento di manipolazione dei processi e nel 2018 ha pubblicato per Rizzoli il suo primo romanzo, L’uomo che dorme.

Tra i molteplici usi che si è fatto della patente di matto, sicuramente resta singolare quello del tentativo di annientare e delegittimare un avversario politico.

Nel primo capitolo, intitolato Quando l’omosessualità era una malattia, vediamo come la malattia mentale venga usata come arma per liquidare una voce scomoda.

Siamo nel 1961, l’anno di uscita de Il giorno della civetta, di Leonardo Sciascia, ma anche di Sophia Loren vincitrice a Cannes con La Ciociara, così come di Adriano Celentano militare che spopola a Sanremo, con tanto di licenza concessa dal ministro della Difesa Andreotti.

Nel novembre dello stesso anno, a San Felice Circeo accade qualcosa che vede protagonista Pier Paolo Paolini: davanti al tribunale di Latina si tiene il processo dei Guanti Neri.

Dal collegio difensivo della vittima viene coinvolta una voce autorevole della medicina italiana, quell’Aldo Semerari vicino alle frange eversive di destra che ha legato il suo nome a diverse vicende oscure della storia italiana.

Semerari attraverso una relazione psichiatrica cerca di stabilire un’equazione molto semplice: Pasolini è accusato di aver minacciato un giovane barista con una pistola e aver fatto proposte sessuali esplicite; Pasolini è un omosessuale e un immorale; Pasolini non può che aver fatto quello di cui è accusato.

Si decide di cavalcare il moralismo perbenista del tempo e le crociate omofobe che intanto stavano montando sui giornali, per mettere in cattiva luce Pasolini.

Dell’odio che circondava il regista e narratore si racconta, del resto, anche nel libro di Carlo Lucarelli, Pasolini un segreto italiano, uscito per Rizzoli.

Del resto proprio Lucarelli, che ci ha accompagnato in questo viaggio tra le pagine del libro Italian psycho, ha dedicato memorabili approfondimenti nella sua trasmissione televisiva Blu notte a molti degli argomenti trattati da Corrado De Rosa. Pensiamo solo alla Strage di Piazza Fontana o a quella di Piazza della Loggia a Brescia.

Abbiamo visto come questi casi spesso non sono stati misteri insondabili, ma veri segreti italiani.

De Rosa fa una ricerca che scuote e inquieta il lettore a partire, per esempio, dalle perizie psichiatriche a cui furono sottoposti tutti i componenti del circolo anarchico “22 marzo”, ballerino Pietro Valpreda compreso. Ma anche nel caso del medico veneziano Carlo Maria Maggi, referente per il Triveneto di Ordine nuovo e mandante della strage del 1974. Nel 2015 Maggi tenta la carta della perizia psichiatrica, per evitare di partecipare ai processi e sospendere le udienze che poi lo avrebbero, invece, condannato all’ergastolo.

Molto interessante apprendere dal libro come, a grandi linee, i terroristi neri cerchino sempre perizie psichiatriche per essere protetti. Sostenuti anche dal fatto di provenire da famiglie alto borghesi e avere la vicinanza ideologica di professionisti e psichiatri.

Di contro, i rossi hanno sempre rifiutato ogni associazione delle loro azioni alla malattia mentale: una perizia avrebbe potuto rendere meno credibile l’azione politica, mentre la lotta armata richiede consapevolezza, lucidità e coerenza.

La patente di matto diventa, dunque, un’arma formidabile a seconda degli usi e Italian psycho ci fornisce una prospettiva inedita di casi di cronaca, dove l’elemento psichiatrico diventa determinante e produce esiti diversi, anche a seconda di chi maneggia la malattia.

Prendiamo il caso di Aldo Moro nella prigione delle Brigate Rosse.

Dopo il rapimento del 9 marzo 1978 si naviga a vista e il ministro degli Interni, Francesco Cossiga, pensa bene di istituire un comitato di esperti della mente. Chiama perciò Franco Ferracuti a presiederlo.

Lo psichiatra e criminologo di fama pensa bene di fare una analisi in absentia dello statista rapito, con diagnosi precisa di Sindrome di Stoccolma. La fa al solo fine di screditare la sanità mentale dello statista, ma anche per sollevare dubbi e ombre sulle lettere di Moro dalla prigionia.

Malattia mentale, in questo caso usata come arma politica, tanto da arrivare a una vera e propria manipolazione psicologica di quelli che furono i cinquantacinque giorni più drammatici della storia d’Italia.

Un viaggio interessante lungo la linea di separazione tra follia e scelta consapevole di delinquere, confine che separa quanto la società intende per pazzia da quanto, dal punto di vista della psichiatria, è la malattia mentale.

È il racconto di come i progressi della scienza possano essere manipolati per deresponsabilizzare gli autori del reato, di quanto i comportamenti apparentemente incomprensibili siano archiviati come frutto di follia per una lettura di comodo e socialmente tranquillizzante.

Corrado De Rosa segue i casi giudiziari più significativi, dove la malattia mentale è stata usata per assicurare impunità a mafiosi o per ottenere benefici nei processi di ‘ndrangheta, con i clan intenti a manipolare perizie per scampare al carcere duro.

Il carcere è descritto anche come luogo di sofferenza in due delle vicende, raccontante con molta delicatezza, all’interno del libro.

Nell’ottobre del 2018, la Corte Europea dei Diritti ha sanzionato la Repubblica Italiana per aver rinnovato il 41 bis nella vicenda legata a Bernardo Provenzano, il capomafia dei pizzini.

La legge, da strumento di giustizia viene trasformata, in questo caso, in arma di vendetta. Lo Stato, per paura dei media, lascia il vecchio mafioso in regime di carcere duro fino alla morte, avvenuta nel 2016, violando così il diritto per ogni essere vivente di non essere sottoposto a trattamenti inumani.

Sempre lo Stato aveva fatto la stessa cosa qualche anno prima con Diana Blefari Melazzi, coinvolta nell’omicidio di Marco Biagi da parte delle nuove Brigate Rosse.

Nonostante i digiuni, i deliri, la reale depressione, il suicidio della madre, si continua a credere che la ragazza, nata nel 1969, stesse facendo una sceneggiata per ottenere un regime carcerario meno opprimente. Invece, non sopportando più né la situazione all’interno del sistema penitenziario né l’isolamento, finisce suicida nel 2009.

Il libro di De Rosa si interroga e ci interroga su cosa ci sia alla radice dei comportamenti delittuosi.

Nell’indagare se i criminali siano cattivi o più spesso malati, ricorre a casi di cronaca e a personaggi che sono impressi nel nostro immaginario collettivo.

Racconta persone esaminando i parallelismi tra follia e violenza, come nel caso di Ali Agca, il mitomane e narcisista manipolatore che nel maggio del 1981 sparò contro Papa Wojtyla; ma anche nel caso del mostro del Circeo Angelo Rizzo, che nel 2005 torna a uccidere con le stesse dinamiche due donne a Campobasso, trent’anni dopo le violenze con altri camerati su Rosaria Lopez e Donatella Colasanti.

Il libro si chiude con l’utilizzo del disagio da parte dell’estremismo e il racconto della foreign fighter Maria Giulia Sergio. La ragazza, convertita all’Islam, parte per la Siria nel 2014, con la famiglia indottrinata in blocco, che finisce per essere condannata per terrorismo internazionale.

La follia è costantemente tirata in ballo, in casi e situazioni molto diverse, nelle tre sezioni che compongono questo saggio avvincente e ben strutturato.

Malattia e disagio, abbiamo visto, usati per strumentalizzare, per delegittimare, per annientare un avversario, per derubricare le dichiarazioni di un pentito come farneticazioni di un pazzo, per sospendere udienze, ma soprattutto per raccontare storie di uomini con grande incisività e col passo del grande narratore.

Un libro sulla follia e sul suo uso, che diventa un tassello piccolo e importante per fare chiarezza e dare un contributo alla conoscenza di questo Paese democratico.

Antonello Saiz

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